DIRITTO PENALE. Truffa: integra un artificio la consegna di un assegno con dicitura idonea a trarre in inganno sulla relativa copertura. Corte Appello Roma n. 8072/2010.



 Nella sentenza 20 dicembre 2010, n. 8072, la Corte di Appello di Roma si pronuncia su una fattispecie di truffa (art. 640, c.p.), avvenuta in danno di un venditore di automobili, il quale aveva accettato come pagamento un assegno postale vidimato, rivelatosi successivamente contraffatto e privo di fondi. 

Già in primo grado, l’imputata era stata dichiarata colpevole del reato di truffa, poiché era stato provato che la stessa si era intestata l’autovettura, avendo, peraltro, fornito al notaio rogante le proprie generalità e copia del proprio documento di identità, ed aveva consegnato al venditore un assegno postale vidimato, rivelatosi poi, oltre che privo della relativa copertura, anche alterato e sottoscritto con firma illeggibile. 

La sentenza del Tribunale veniva impugnata dal difensore dell’imputata, il quale chiedeva, tra le altre cose, la sua assoluzione per non aver commesso il fatto: più precisamente il legale «deduceva, al riguardo, che gli elementi acquisiti non avevano fornito la prova certa della configurabilità dei requisiti – oggettivi e soggettivi – della contestata truffa».
La Corte di Appello, però, ha confermato integralmente l’impugnata pronuncia, affermando che «sotto il profilo oggettivo, […] la consegna di un assegno previa apposizione sullo stesso di una dicitura idonea a trarre in inganno sulla (in realtà inesistente) copertura del medesimo integra senza dubbio un artificio idoneo ai fini della contestata truffa, che con la consegna della vettura (e quindi con la produzione del danno) si è a tutti gli effetti consumata».
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Corte di Appello di Roma, Sez. II, Sentenza 20 dicembre 2010, n. 8072
Con sentenza emessa, a conclusione di un giudizio ordinario, in data 30.10.2009 dal Tribunale di Latina, H.J.M. veniva condannata alla pena di mesi 9 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa per il reato p. e p. dagli artt. 110 e 640 c.p., perché, in concorso con persona allo stato non identificata, con artifizi e raggiri consistiti nel consegnare a D'A.L.G. l'assegno postale n. (...) tratto sul c/c delle Poste Italiane n. (...) per l'importo di euro 22.000,00 quale mezzo di pagamento per l'acquisto dell'autovettura marca […], assegno non andato a buon fine in quanto portante la dicitura "assegno vidimato", con firma apocrifa, inducendo in errore il predetto D'A.L.G., si procurava un ingiusto profitto con altrui danno corrispondente al valore di mercato dell'autovettura.
In Latina, querela del 26.11.2003.
La responsabilità dell'imputata veniva dal Tribunale desunta dalla deposizione della parte offesa in ordine alle modalità con le quali si erano svolte le trattative per la vendita della sua autovettura (trattative poi sfociate nella conclusione di un contratto tra esso D'A.L.G. ed un uomo di carnagione olivastra presentatosi come "G.", che aveva richiesto l'intestazione della vettura ad una donna - l'odierna imputata - presentata come moglie dell'acquirente, e che aveva consegnato in pagamento l'assegno postale sequestrato di Euro 22.000,00 contenente la dicitura "vidimato" e risultato poi privo di provvista), e dalla sicura partecipazione della imputata all'acquisto, avendo la stessa fornito al notaio rogante le sue generalità e copie del suo documento di identità e della patente.
Avverso la sopra indicata decisione proponeva appello il difensore dell'imputata con atto depositato il 17.2.2010, in cui chiedeva:
1) col primo motivo, l'assoluzione della propria assistita per non aver commesso il fatto. Deduceva, al riguardo, che gli elementi acquisiti non avevano fornito la prova certa della configurabilità dei requisiti - oggettivi e soggettivi - della contestata truffa;
2) col secondo motivo, la riduzione della pena inflitta dal Tribunale, previa concessione - a suo avviso giustificata dall'incensuratezza - delle attenuanti generiche, e la concessione dei doppi benefici di legge.
A conclusione del giudizio di appello, la Corte ritiene, tuttavia, che la sentenza di primo grado meriti di essere integralmente confermata.
Premesso che l'appellante ha (sia pure con motivi addotti con argomentazioni al limite della ammissibilità) contestato, non l'astratta suscettibilità della condotta posta in essere dall'imputata di integrare un'ipotesi di concorso nel reato di truffa - per avere la medesima assicurato al concorrente la propria disponibilità ad intestarsi l'auto di cui all'imputazione oggetto della vendita stipulata previa l'assicurazione fornita dal concorrente al venditore della possibilità di effettuare il pagamento del prezzo con un assegno "vidimato" (e, quindi, a copertura garantita) poi effettivamente consegnato e rivelatosi un assegno postale privo di fondi preventivamente alterato mediante l'apposizione della dicitura "assegno vidimato" e sottoscritto con firma illeggibile - ma unicamente la ricorrenza di una prova della propria materiale partecipazione al fatto, si osserva che gli elementi di prova valorizzati dal Tribunale offrono indicazioni più che sufficienti per l'affermazione della penale responsabilità dell'imputata.
Giustificano, in particolare, il convincimento della Corte le dichiarazioni della persona offesa sulla intestazione del veicolo alla imputata (giusta una prassi dalla medesima osservata anche in un'altra occasione [cfr. la sentenza impugnata, relativamente alla truffa commessa ai danni di M.G. per la quale è sopravvenuta la prescrizione, e la documentazione - inequivocabile - in atti]) e le considerazioni incentrate sul determinante contributo causale apportato dall'imputata fornendo al notaio rogante le proprie generalità e la copia del documento di identità e della patente a lei intestati. Sotto questo profilo il genuino documento di identità dell'imputata era indispensabile per I'effettuazione della formale intestazione del veicolo e di fatto ha consentito la formale trascrizione del passaggio di proprietà dello stesso.
È appena il caso di dire, sotto il profilo oggettivo, che la consegna di un assegno previa apposizione sullo stesso di una dicitura idonea a trarre in inganno sulla (in realtà inesistente) copertura del medesimo integra senza dubbio un artificio idoneo ai fini della contestata truffa, che con la consegna della vettura (e quindi con la produzione del danno) si è a tutti gli effetti consumata.
II primo motivo di appello non è, pertanto, fondato.
Altrettanto deve affermarsi, tuttavia, in relazione all'ulteriore motivo addotto dalla difesa, in quanto la pena inflitta dal Tribunale non può considerarsi affatto eccessiva, tenuto conto della gravità del fatto ascritto all'imputata (si notino I'insidioso sistema costituito dalla consegna di assegni di apparente "copertura garantita", e il valore non irrilevante della vettura ceduta), che - tenuto conto della pluralità dei fatti posti in essere (vedi il citato episodio di cui è stato vittima M.G.) e dei soggetti coinvolti - vi è motivo di ritenere innestato in una complessa attività posta in essere dai concorrenti nel reato al fine di consentire ai medesimi l'acquisizione, a "costo zero", di veicoli di pregio in funzione del loro successivo riciclaggio, e quindi è sintomatico dell'inserimento della prevenuta, attraverso l'intestazione dei veicoli alla propria persona non in grado di ingenerare sospetti in quanto (all'epoca del fatto) incensurata, nell'attività di un pericoloso sodalizio criminoso impegnato nell'illecito "traffico" di veicoli acquisiti illecitamente. Sotto questo profilo non può, quindi, considerarsi esorbitante né la determinazione della pena in mesi 9 di reclusione, né la mancata concessione delle attenuanti generiche, per la quale rileva peraltro anche il precedente specifico che grava sull'imputata (cfr la condanna per truffa del 24.9.2007).
Non vi è ragione per concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, tenuto conto delle modalità del fatto sintomatiche, per le ragioni sopra esposte, di elevato pericolo di recidiva specifica, come purtroppo ha dimostrato il già menzionato precedente. 
P.Q.M.
La Corte, visti gli artt. 605, 592 c.p.p., conferma la sentenza del Tribunale di Latina in data 30.10.2009 appellata da H.J.M., che condanna al pagamento delle maggiori spese del grado. Fissa in giorni 60 il termine per il deposito della motivazione. 
Roma, 1.12.2010.

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