Abuso da parte della P.A. di contratti a tempo determinato: il lavoratore ha diritto ad un equo indennizzo.

Se la P.A. abusa dei contratti a tempo determinato, il lavoratore ha diritto ad un equo indennizzo. Cass. S.U. n. 5072 del 15 marzo 2016.



Il tema del danno risarcibile nel caso di abusivo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione viene rimesso alle Sezioni Unite al fine di avere un orientamento chiaro e risolvere le contrastanti decisioni che si sono susseguite nel corso degli anni.

In primis le Sezioni Unite ribadiscono secondo cui nel pubblico impiego un rapporto di lavoro a tempo determinato in violazione di legge non è suscettibile di conversione in rapporto a tempo indeterminato, stante il divieto posto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, il cui disposto non è stato modificato dal D.Lgs. n. 368 del 2001.

Allo stesso tempo, però, l'illegittimo ricorso al contratto a termine è fonte di danno risarcibile per il lavoratore che abbia reso la sua prestazione lavorativa in questa condizione di illegalità e l'indennità spettante al lavoratore deve far si da ristorare per intero il pregiudizio subito dallo stesso, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.

  • Ma quale danno può configurarsi in queste ipotesi per il lavoratore?

Si può ipotizzare certamente, afferma la Suprema Corte, una perdita di chance nel senso che, se la pubblica amministrazione avesse operato legittimamente emanando un bando di concorso per il posto, il lavoratore, che si duole dell'illegittimo ricorso al contratto a termine, avrebbe potuto parteciparvi e risultarne vincitore.

Le energie lavorative del dipendente sarebbero state liberate verso altri impieghi possibili ed in ipotesi verso un impiego alternativo a tempo indeterminato.

Il lavoratore che subisce l'illegittima apposizione del termine o, più in particolare, l'abuso della successione di contratti a termine rimane confinato in una situazione di precarizzazione e perde la chance di conseguire, con percorso alternativo, l'assunzione mediante concorso nel pubblico impiego o la costituzione di un ordinario rapporto di lavoro privatistico a tempo indeterminato.

Non può però escludersi che una prolungata precarizzazione per anni possa aver inflitto al lavoratore un pregiudizio che vada oltre la mera perdita di chance di un'occupazione migliore.

  • Ma in tal caso su chi deve gravare l'onere probatorio di tale danno?

La prova del danno grava sul lavoratore che eserciti in giudizio la pretesa risarcitoria regolata dalla disciplina codicistica ex art. 1223 c.c., ma è evidente che la stessa risulta particolarmente difficile e non costituisce di certo un mero inconveniente di fatto.

Ed allora gli ermellini virano verso un'interpretazione adeguatrice che, con riferimento all'ipotesi dell'abuso, che costituisce una illegittimità qualificata, consenta di rinvenire nell'ordinamento nazionale un regime risarcitorio di tale abuso che soddisfi quell'esigenza di tutela del lavoratore.

Tale interpretazione viene ricercata e trovata in un ambito normativo omogeneo, sistematicamente coerente e strettamente contiguo, che è quello del risarcimento del danno nel rapporto a tempo determinato nel lavoro privato e non già in quella del risarcimento del danno in caso di licenziamento illegittimo in cui sia stata ordinata la reintegrazione nel posto di lavoro L. 20 maggio 1970, n. 300, ex art. 18, (Statuto dei lavoratori), nè in quella di licenziamento parimenti illegittimo in cui sia stata ordinata dal giudice la riassunzione L. n. 604 del 1966, ex art. 8, e neppure in quella di licenziamento illegittimo in cui non possa essere ordinata la reintegrazione ma ci sia solo una compensazione economica (L. n. 92 del 2012, art. 1, e successivamente, per i contratti di lavoro a tutele crescenti, D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 3).

Pertanto la fattispecie omogenea, sistematicamente coerente e strettamente contigua, viene individuata nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, che prevede, per l'ipotesi di illegittima apposizione del termine al contratto a tempo determinato nel settore privato, che il giudice condanni il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 (in tal senso già Cass. 21 agosto 2013, n. 19371).

In tal modo il lavoratore è esonerato dalla prova del danno nella misura in cui questo è presunto e determinato tra un minimo ed un massimo.

LA MASSIMA

Nell’ipotesi di abusivo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione, il lavoratore è esonerato dalla prova del danno nella misura in cui questo è presunto e determinato tra un minimo ed un massimo, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8. Cass. Sez.Un. n. 5072 del 15 marzo 2016.

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