Coppie omosessuali e rifiuto di procedere alle pubblicazioni matrimoniali.

E' legittima la mancata estensione del regime matrimoniale alle unioni omoaffettive? Cass. n. 2400 del 9 febbraio 2015.



IL CASO
La Corte d'Appello di Roma, a conferma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda dagli appellanti finalizzata a poter procedere alle pubblicazioni di matrimonio da loro richieste e negate dall'ufficiale di stato civile. 
i reclamanti avevano dedotto:
- che non si rintracciava nel codice civile e nella Costituzione una norma definitoria del matrimonio, secondo il paradigma eterosessuale;
- che un'interpretazione orientata dal diritto europeo, dalle Carte ineternazionali e dalla giurisprudenza CEDu consentiva al giudice di colmare il vuoto normativo relativo alla macnata considerazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso;
- che il principio di tipicità delle norme che limitano la libertà personale non avrebbe consentito d'introdurre un divieto di contrarre matrimonio non espressamente previsto;
- che il diniego costituiva violazione dell'art. 3 Cost. perchè introduceva una discriminazione per una condizione personale e dell'art. 2, perchè non consentiva il pieno sviluppo di una sfera relazionale a carattere costitutivo in una formazione sociale come l'unione tra due persone dello stesso sesso costituzionalmente protetta, oltre che ampiamente riconosciuta dalle fonti internazionali ed europee da ritenere vincolanti anche in virtù del rinvio contenuto nell'art. 117 Cost.
LA Corte d'Appello ha rigettato la domanda sulla base delle seguenti argomentazioni:
1) le eccezioni d'illegittimità costituzionale delle norme civilistiche relative al matrimonio erano state risolte dalla pronuncia della Corte Cost. n. 138 del 2010.
2) l'eccezione fondata sul parametro relativo all'art. 22 Cost. è infondata non essendo le norme ordinarie che regolano l'istituto matrimoniale rivolte a cagionare la privazione per motivi politici della capacità giuridica: tali norme si limitano a stabilire le condizioni per l'esercizio del diritto al matrimonio;
3) non vi è ragione per la rimessione di alcuna questione alla Corte di Giustizia del Lussemburgo dal momento che sia l'art. 12 CEDU che l'art. 9 della Carta di Nizza rinviano alla discrezionalità legislativa dei singoli stati per la scelta e la disciplina dei modelli matrimoniali.
4) la sentenza della CEDU schalk e Kopf contro Austria ha confermato che il matrimonio omosessuale non rientra tra le garanzie della Convenzione;
5) le unioni omosessuali si trovano in una situazione simile a quella delle coppie eterosessuali quanto all'esigenza di riconoscimento e protezione giuridica della relazione, ma non ne sono discriminate nè sotto il profilo dell'art.8, nè dell'art. 14, nè dell'art. 12 perchè queste norme non obbligano gli Stati contraenti a consentire l'accesso al matrimonio.
Avverso tale proposto le parti soccombenti hanno proposto ricorso per Cassazione.
Si è costituito tardivamente il Ministero dell'Interno.

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso per le seguenti motivazioni. I ricorrenti evidenziavano che la sentenza n. 4184 del 2012 delal Corte di Cassazione ha stabilito che la nozione di matrimonio da accogliere nel nostro ordinamento comprende anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso, superando l'impianto della pronuncia della Corte Cost. n. 138 del 2010.

Alla luce della giurisprudenza sopravvenuta e dei nuovi contributi della dottrina devono essere riverificate le questioni di legittimità costituzionale già esaminate e quelle nuove.

I ricorrenti deducevano quindi:

Nel primo motivo:

- violazione degli artt. 1,3,10,117 primo comma Cost.;

- art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e 12 della CEDU per avere la Corte d'Appello fondato la propria decisione sulla ineludibilità della differenza di sesso tra i nubendi superata invece dalla sentenza n. 4184 del 2012 che ha affermato che "l'art. 12 CEDU ha privato di rilevanza giuridica la diversità di sesso tra i nubendi dovendo tale norma essere interpretata secondo quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo alla luce dell'art. 9 della Carta di Nizza".

Così da riconsiderare - affermavano i ricorrenti - l'impianto della sentenza n.138 del 2010 della Coret Costituzionale con riferimento ai parametri interposti costituiti dagli art5t. 12 CEDu e 9 Carta di Nizza. Alla base della linea difensiva veniva affermato che il paradigma eterosessuale si è sgretolatograzie all'appartenenza dell'Italia ad un sistema multilivello di tutela dei diritti che ha introdotto nel nostro ordinamento una nozione di matrimonio che comprende quello omosessuale. Non può affermarsi una totale discrezionalità del legialstore a fronte di due assunti incontrovertibili:

a) la nozione di matrimonio è diventata gender neutral;

b) il diritto al matrimonio ha natura di diritto fondamentale e se il legislatore ordinario può disporre liberamente di questo diritto può anche privarlo di efficacia.

Nel secondo motivo:

- violazione delle medesime norme per avere la Corte d'Appello ritenuta la necessità di un intervento legislativo per fondare il diritto a contrarre matrimonio.

La Corte di Cassazione n. 4184 del 2012 la riserva assoluta di legislazione è fondata sugli artt. 12 CEDU e 9 Carta dei diritti fondamentali, secondo l'interpretazione della Corte di Strasburgo: la lettura originalista dell'art. 29 Cost. è stata sostanzialmente superata dalla giurisprudenza di legittimità in quanto ispisrata dai principi CEDU e della Carta di Nizza.

Nel terzo motivo viene dedotta l'illegitttimità costituzionale degli artt. 107, 108, 143, 143 bis, 143 ter, 156 bis c.c. rispetto agli artt. 2,3,10, secondo comma, 22, 29, 117 comma 1 Cost. e 9 e 21 della Carta di Nizza, nonchè degli artt. 12 e 14 CEDU sulla base delle seguenti argomentazioni:

- artt. 107, 108, 143, 143 bis, 143 ter, 156 bis c.c. rispetto agli artt. 2,3,10, secondo comma, 22, 29, 117 comma 1 Cost. e 9 e 21 della Carta di Nizza, nonchè degli artt. 12 e 14 CEDU. In particolare, i ricorrenti hanno evidenziato che gli artt. 2 e 3 Cost. devono essere considerati unitariamente al fine di verificare se non via sia un'ingiustificata lesione del diritto al matrimonio sulla base di una mera condizione personale: se il diritto al matrimonio è un diritto fondamentale lo Stato non può disconoscerne il godimento se non a fronte di un interesse prevalente; non può sostituirsi al titolare del diritto nella scelta delle modalità del suo esercizio, non puòl ingiustificatamente contrarre questa rilevante espressione della libertà personale.

Deve esserci l'esigenza - affermavano i ricorrenti - dell'inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario per poterlo sacrificare: tale interesse non ricorre e non può trarsi dalla concezione originalista dell'art. 29 Cost. del tutto anacronistica.

Nella dimensione antidiscriminatoria dell'invocata estensione del diritto al matrimonio deve tenersi conto anche del principio di tutela delle minoranze: il matrimonio determina uno status dotato di una componente di dignità pubblica imprescindibile per l'autodefinizione personale.

"Il divieto di contrarre matrimonio equipara le coppie dello stesso sesso agli interdetti, il che contrasta anche con l'art. 22 Cost.".

I ricorrenti chiedono quindi rimettere alla Corte Costituzionale la questione per:

- per violazione del diritto all'autodeterminazione nelle scelte matrimoniali (art. 2 Cost);

- per violazione della dignità sociale delle persone omosessuali che vivono stabilmente una condizione di coppia (art. 3);

- per violazione del divieto di discriminazione delle perfsone in ragione di una condizione meramente personale (art. 3 Cost, 21 Cartta di Nizza, 12 e 14 CEDU, art. 10, primo comma e 117 Cost.);

- per violazione del diritto a contrarre matrimonio in condizioni di uguaglianza con le persone non omosessuali (artt. 2,3,29 Cost.);

- per restrizione della capacità di diritto pubblico che deriva dal divieto (art. 22 Cost.).

La Corte di Cassazione osserva che la questione relativa alla legittimità e conformità costituzionale del diniego di procedere alle pubblicazioni matrimoniali relative ad un'unione tra due persone dello stesso sesso è identica a quella già affrontata dalla Corte Cost. n. 138 del 2010.

La Corte è quindi partita nel verificare se possa pervenirsi all'affermazione della configurabilità giuridica di un'unione matrimoniale tra persone dello stesso sesso, senza l'intervento del legislatore ordinario e se l'assenza di tale istituto sia compatibile con il sistema costituzionale integrato attuale dei diritti fondamentali.

Secondo la sentenza n. 138 del 2010 deve escludersi che la mancata estensione del modello matrimoniale alle unioni tra persone dello stesso sesso determini una lesione dei parametri integrati della dignità umana e dell'uguaglianza, i quali assumono pari rilievo nelle situazioni individuali e nelle situazioni relazionali rientranti nelle formazioni sociali costituzionalmente protette ex artt. 2 e 3 Cost..

Secondo la Corte per formazione sociale "deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l'unione omosessuale, quale stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone - nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge - il riconsocimento giuridico con i connessi diritti e doveri. Si deve escludere, tuttavia, che l'aspirazione a tale riconoscimento (che necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveriu dei componenti della coppia) possa essere realizzata soltanto attraverso un'equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio".

Nella pronuncia vi è l'espresso riconoscimento del rilievo costituzuionale ex art. 2 delle unioni tra persone dello stesso sesso e si avverte l'esigenza di rimettere al legislatore "nell'esercizio della sua piena discrezionalità, d'individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni omosessuali", unitamente alla possibilità della Corte stessa d'intervenire a tutela di specifiche situazioni.

L'art. 12, ancorchè formalmente riferito all'unione matrimoniale eterosessuale, non esclude che gli Stati membri estendano il modello matrimoniale anche alle persone dello stesso sesso, ma nello stesso tempo non contiene alcun obbligo al riguardo.

Nell'art. 8, che sancisce il diritto alla vita privata e familiare, è senz'altro contenuto il diritto a vivere una relazione affettiva tra persone dello stesso sesso protetta dall'ordinamento, ma non necessariamente mediante l'opzione del matrimonio per tali unioni.

Nel nostro sistema giuridico di diritto positivo il matrimonio tra persone dello stesso sesso è inidoneo a produrre effetti perchè non previsto tra le ipotesi legislative di unione coniugale.

"Il nucleo affettivo-relazionale che caratterizza l'unionhe omo-affettiva, invece, riceve un diretto riconoscimento costituzionale dall'art. 2 Cost e mediante il processo di adeguamento e di equiparazione imposto dal rilievo costituzionale dei diritti in discussione può acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina legialstiva detemrina una lesione di diritti fondamentali scaturenti dalla relazione in questione".

E' per tale ragione che la Corte di Cassazione ha escluso la contrarietà all'ordine pubblico del titolo matrimoniale estero pur riconoscendone l'inidoneità a produrre nel nostro ordinamento gli effetti del vincolo matrimoniale: l'operazione di omogeneizzazione può essere svolta dal giudice comune, e non soltanto dalla Corte Costituzionale, in quanto tenuto ad un'interpretazione delle norme non solo costituzionalmente orientata, ma anche convenzionalmenmte orientata (Corte Cost. n. 150 del 2012).

La Corte di Cassazione conclude evidenziando che la legittimità costituzionale e convenzionale della scelta del legialstore ordinario in ordine alle forme ed ai modelli all'interno dei quali predisporre per le unioni tra persone dello stesso sesso uno statuto di diritti e doveri coerente con il rango costituzionale di tali relazioni conduce ad escludere il fondamento delle censure prospettate, non solo sotto il profilo della creazione giurisprudenziale dell'unione coniugale tra persone dello stesso sesso, risultando tale operazione ben diversa da quell consentita (Cass. n. 4148 del 2012) di adeguamento ed omogeneizzazione nella titolarità e nell'esercizio dei diritti, ma anche delle prospettate censure d'incostituzionalità.

LA MASSIMA

È legittima la mancata estensione del regime matrimoniale alle unioni omoaffettive in linea con quanto affermato dalla sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale, il cui approdo non può ritenersi superato dalle successive decisioni della Corte di Strasburgo, ancorché il sicuro rilievo costituzionale ex art. 2 Cost. di tali formazioni sociali presupponga – come anche ribadito nella successiva sentenza n. 170 del 2014 della Corte costituzionale – l’individuazione di adeguate forme di garanzia e di riconoscimento, la cui determinazione appartiene alla discrezionalità del legislatore. Cass. n. 2400 del 9 febbraio 2015.

 

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