DIRITTO CIVILE. Interpretazione del concetto di "coltivatore diretto" ai fini del riscatto del fondo agricolo. Cass. civ. 27 gennaio 2011 n. 2019.



 Nella sentenza di seguito riportata viene chiesta alla Corte di legittimità un’interpretazione del concetto di “diretta e abituale coltivazione del fondo”.

La qualifica di coltivatore diretto, osserva la Suprema Corte, in relazione al requisito della "coltivazione abituale", previsto dalla L. n. 590 del 1965, art. 31 in linea generale e, quindi, anche ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione e di quello succedaneo di riscatto, può essere attribuita anche a chi svolge altra attività lavorativa principale, poichè non è richiesto che l'attività di coltivazione sia esercitata professionalmente. 
Tale requisito va inteso quale normale e usuale svolgimento di lavori agricoli, in maniera tale che l'attività agricola venga realizzata in modo stabile e continuativo, prevalentemente con lavoro proprio o dei componenti della propria famiglia, traendo da tale attività un reddito, pur se secondario.
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Cass. civ. Sez. VI, Ord., 27-01-2011, n. 2019
Svolgimento del processo e motivi della decisione
La Corte Letti gli atti depositati:
E' stata depositata la seguente relazione:
1 - Il fatto che ha originato la controversia è il seguente:
[…] ha agito nei confronti dell'alienante […] e dell'acquirente […] per il riscatto di un fondo agricolo in qualità di proprietario coltivatore del fondo confinante.
Con sentenza depositata in data 12 ottobre 2009 la Corte d'Appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Bassano del Grappa, che aveva respinto la domanda.
Alla Corte di Cassazione è stata devoluta la seguente questione di diritto: se risulti corretta l'interpretazione della Corte d'Appello del concetto di diretta e abituale coltivazione del fondo.
2 - Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ed sensi degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c..
3. - L'unico motivo ipotizza violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 817 del 1971, art. 7 e L. n. 590 del 1965, art. 31. Allo scopo di ottemperare al percetto dell'art. 360 bis c.p.c., n. 1. il ricorrente denuncia contrasto tra la decisione di diritto adottata dalla sentenza impugnata e la giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Quest'ultima va ribadita nel senso che effettivamente (Cass. 1106 del 2007) la qualifica di coltivatore diretto, in relazione al requisito della "coltivazione abituale", previsto dalla L. n. 590 del 1965, art. 31 in linea generale e, quindi, anche ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione e di quello succedaneo di riscatto, può essere attribuita anche a chi svolge altra attività lavorativa principale, poichè non è richiesto che l'attività di coltivazione sia esercitata professionalmente, cioè in modo tale che questa costituisca la principale fonte di reddito del soggetto, risultando sufficiente che detta attività sia "abituale", intendendosi questo requisito quale normale e usuale svolgimento di lavori agricoli, in maniera tale che l'attività agricola venga realizzata in modo stabile e continuativo (ancorchè - come detto - non professionale), prevalentemente con lavoro proprio o dei componenti della propria famiglia, traendo da tale attività un reddito, pur se secondario.
Ma la Corte territoriale non ha disapplicato questo principio, ma ha rilevato, in esito ad un accertamento di fatto basato anche sulla consulenza tecnica e con motivazione che non ha formato oggetto di cesura in questa sede, che il […] si limitava ad una modesta attività finalizzata all'alimentazione del proprio nucleo familiare e non al mercato, con un impegno lavorativo modesto e sporadico, espletato su un fondo di estensione minima.
4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;
Gli eredi di […], […] e […], e il resistente […], hanno presentato memorie; i ricorrenti hanno chiesto d'essere ascoltati in camera di consiglio;
La memoria del […] è stata depositata tempestivamente;
Le argomentazioni addotte dai ricorrenti con la memoria non sono condivisibili, poichè la Corte territoriale non ha deciso in difformità alla giurisprudenza della Corte, ma sulla base di un accertamento di fatto che esclude l'applicabilità della giurisprudenza cui i ricorrenti fanno riferimento.
5.- Ritenuto:
che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, rilevando, altresì, che anche recentemente (Cass. n. 2049 del 2010) è stato ritenuto necessario, ai fini del riscatto agrario il requisito della stabilità del lavoro;
che pertanto il ricorso va rigettato, essendo manifestamente infondato; le spese seguono la soccombenza; visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del giudizio di cassazione, liquidate, in favore di […], in complessivi Euro 1.800,00, di cui Euro 1.600,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge e, in favore del C., in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorati, oltre spese generali e accessori di legge.

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