Diritto di satira: legittimità e limiti del suo valore di scriminante.

Peculiarità del diritto di satira rispetto al diritto di cronaca in relazione alla verità del fatto. Cass. 7 aprile 2016 n. 6787.



A cura della Dott.ssa Iolanda Raffaele.

La Corte di Cassazione, sez. III, con la sentenza del 7 aprile 2016 n. 6787, è intervenuta su una questione largamente diffusa in ambito giornalistico e non sempre di facile soluzione, offrendo delle valide indicazioni interpretative.

Ha inteso evidenziare la peculiarità del diritto di satira rispetto al diritto di cronaca, sottolineando che il primo non è soggetto al parametro della verità del fatto, poiché di per sé esprime, attraverso il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su un fatto, sempre che avvenga in modo apertamente difforme dalla realtà, tanto da potersene apprezzare subito l’inverosimiglianza e il carattere iperbolico.

In caso contrario, infatti, neanche la satira sfugge al limite della correttezza e della continenza delle espressioni o delle immagini utilizzate, rappresentando in ogni caso una forma di critica caratterizzata dal carattere corrosivo dei particolari mezzi espressivi.

La Suprema Corte ha, altresì, sottolineato che nessuna scriminante può ammettersi allorché la satira diventa forma di dileggio, disprezzo, distruzione della dignità della persona o quando comporta l’impiego di espressioni gratuite, volgari, umilianti o dileggianti, non necessarie all’esercizio del diritto, comportanti accostamenti volgari o ripugnanti o tali da comportare la deformazione dell’immagine pubblica del soggetto bersaglio e da determinare il disprezzo della persona o il ludibrio della sua immagine pubblica.

Altresì, a seguito della riforma introdotta con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modif. dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, non è ammessa la censura, in sede di legittimità, della valutazione del giudice di merito sul legittimo esercizio del diritto di satira in caso di impiego di un detto popolare, che comporti il rischio di identificazione di una persona con un escremento.

Essa deve essere, tuttavia, contestualizzata e deve essere riconosciuta come sorretta dall’intento di esasperazione grottesca o iperbolica di impraticabilità dell’ipotizzato paragone della condotta tenuta da quella persona, pubblicamente ammessa o riconosciuta, ad altra vicenda storica.

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