L'avvocato sottoscrive per autentica un atto offensivo: è concorso nel reato di calunnia?

Sottoscrivere per autentica un atto offensivo del proprio assistito costituisce per l'avvocato un concorso del reato di calunnia? Cass. pen. n. 50756 del 28 dicembre 2015.



Interessante caso sottoposto alla decisione della Cassazione in relazione alla calunnia in atti giudiziari.

Il caso in esame riguarda un avvocato al quale era stato contestato il reato ex art. 368 c.p. per avere - quale difensore di fiducia di un imputato - predisposto e redatto atti processuali (nello specifico un'istanza di avocazione di indagini presentata al P.G. della Repubblica presso la Corte d'appello di Bologna ed un'opposizione alla richiesta di archiviazione) riferibili entrambi ad un procedimento penale pendente innanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna e nei quali veniva accusato il Pubblico Ministero di fatti individuabili come reati di omissione di atti d'ufficio e abuso in atti d'ufficio.

La decisione della Corte di Appello.

La Corte di Appello sulla calunnia in atti atti giudiziari si è espressa come segue. 

Assolto in primo grado, in appello (su ricorso della parte civile) la Corte territoriale in parziale riforma della sentenza di assoluzione dichiarava l’avvocato responsabile, ai fini civili, dei reati di calunnia continuata di cui all'imputazione, condannandolo al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede, con il riconoscimento di una provvisionale di euro cinquemila in favore della costituita parte civile.

L’avvocato propone ricorso per cassazione sostenendo che la Corte d'Appello, preso atto della insussistenza dell'elemento materiale della calunnia con riferimento alle frasi contenute negli atti oggetto di imputazione e dovendosi escludere qualsiasi alterazione della realtà alla luce dei numerosi atti processuali richiamati nel secondo motivo di ricorso, ove si deducevano, altresì, vizi motivazionali avrebbe confermare la sentenza di assoluzione.

Si poneva in evidenza inoltre che, sulla base degli atti processuali, nell'istanza di avocazione il ricorrente aveva riportato fatti processuali veri, sia con riferimento al non compimento di alcun atto d'indagine, sia riguardo alla mancanza di una pronuncia sulla richiesta di sequestro preventivo espressamente indicata nell'allegato all'istanza di avocazione - escludendo la sussistenza degli elementi costitutivi del reato.

Per l’aspetto che in questa sentenza è di maggiore interesse l’avvocato evidenziava violazioni di legge in relazione agli artt. 368, 51, 99 e 598 c.p., artt. 24 e 27 Cost., art. 47, comma 3 e art. 48, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali U.E., per avere tutti gli atti processuali, nonché la stessa sentenza della Corte di Cassazione (che ha deciso sul ricorso del dell’imputato assistito dall’avvocato) escluso qualsiasi forma di responsabilità del ricorrente con riferimento ai delitti di calunnia e diffamazione, omettendo di fare menzione alcuna di rapporti concorsuali e/o di corresponsabilità dell’imputato con il suo difensore di fiducia, limitatosi ad esercitare i suoi diritti e poteri di difensore di fiducia con la mera autenticazione di firma dei su richiamati atti processuali, in realtà sottoscritti e presentati dal solo imputato. Se tale tesi non venisse affermata, scrive l’avvocato-imputato nel proprio ricorso, si esporrebbe il difensore al rischio di essere condannato per aver consigliato il suo assistito di intraprendere una impugnativa, o per avere materialmente redatto e depositato, ma non sottoscritto, un atto in suo nome e per suo conto, violando in tal modo i principi posti a tutela del diritto di difesa.

La decisione della Corte di Cassazione.

La motivazione alla base della decisione della Cassazione trae spunto dalla corretta qualificazione giuridica del reato di calunnia, quale reato istantaneo, la cui consumazione si esaurisce con la comunicazione all'Autorità giudiziaria di una falsa incolpazione a carico di persona che si sa essere innocente, ossia, nel caso della calunnia formale, nel momento in cui una delle Autorità indicate nell'art. 368 c.p. riceve l'informazione calunniosa, e, nella diversa ipotesi di calunnia materiale o indiretta, nel momento in cui una di tali Autorità venga a conoscenza delle tracce simulate del reato, in modo che possa iniziarsi un procedimento penale contro una persona determinata.

L'ipotesi delittuosa in esame, dunque, si esaurisce con il verificarsi della su descritta lesione giuridica e si realizza attraverso la presentazione di atti specificamente individuati dal legislatore (denuncia, querela, istanza, richiesta), secondo tassative indicazioni che non consentono di far rientrare nella schema descrittivo tipico della calunnia fatti, per quanto simili, che non rispondano ad una delle accennate forme.

Ne discende che, qualora una persona avalli in vari modi la denuncia calunniosa presentata da altri, non risponde di concorso nel delitto di calunnia, in quanto i comportamenti successivi alla consumazione di tale reato o integrano una ipotesi autonoma di calunnia, oppure costituiscono un fatto posteriore sotto tale riflesso penalmente irrilevante.

La partecipazione alla realizzazione del reato, anche sul piano soggettivo, può risultare dunque penalmente apprezzabile soltanto ove se ne provi la coincidenza, ciò che non è avvenuto nel caso in esame, con analogo stato soggettivo di colui che è stato l'autore del fatto-reato previsto dall'art. 368 c.p.

Per la compartecipazione nel delitto di calunnia, a norma dell'art. 110 c.p. ss., occorre pertanto provare che l'imputato, benchè non abbia materialmente firmato nè presentato in sede giudiziaria gli atti contenenti affermazioni calunniose, ne abbia effettuato la stesura di pieno concerto con la persona incaricata di presentarli.

Nel caso in esame, tuttavia, per il Giudici della VI sez. penale non può ritenersi che il ricorrente abbia agito di concerto con il coimputato, essendosi egli, nell'esercizio della sua attività di difensore, limitato a predisporre e redigere gli atti che vengono qui in considerazione, atti che, tuttavia, risultano essere stati materialmente firmati e presentati dal solo assistito, e dal difensore invece sottoscritti unicamente per autentica, con il logico corollario che quest'ultimo non ha affatto inteso assumersene la paternità determinando i presupposti per l'avvio delle attività d'indagine sui fatti ivi denunziati.

La Corte ha quindi deciso per l'annullamento senza rinvio della decisione impugnata. 

 

LA MASSIMA

Ai fini della configurabilità del reato di concorso nel delitto di calunnia a carico dell’avvocato-difensore, non è penalmente apprezzabile soltanto la coincidenza con l’analogo stato soggettivo di colui che è stato l'autore del fatto-reato previsto dall'art. 368 c.p. Per la compartecipazione nel delitto di calunnia, a norma dell'art. 110 c.p. ss., occorre provare che l'imputato, benchè non abbia materialmente firmato nè presentato in sede giudiziaria gli atti contenenti affermazioni calunniose, ne abbia effettuato la stesura di pieno concerto con la persona incaricata di presentarli.Cass. Pen. n. 50756 del 28 dicembre 2015.

 

Una fattispecie analoga è stata affrontata dalla sentenza n. 34821 emessa dalla Cassazione penale il 1 luglio 2009 .

Il caso era quello di un atto di opposizione a precetto, deposiato presso la la cancelleria di un tribunale e trasmesso in copia alla procura della Repubblica, contenente accuse infondate di abuso ed omissione in atti d'ufficio riguardo all'adozione di provvedimenti in materia di separazione personale fra coniugi

La Cassazione ha evidenziato che: 

Ai fini della configurabilità dell'elemento soggettivo del delitto di calunnia è irrilevante la circostanza di avere agito nell'espletamento del mandato difensivo, quando la redazione di un atto giudiziario contenga la falsa incolpazione di un magistrato per uno o più reati, esorbitando dai limiti funzionali posti dalla legge al corretto esercizio del diritto di difesa. Cassazione penale sez. VI, 1 luglio 2009, n.34821

Il difensore può essere chiamato a rispondere per calunnia in relazione all'espletamento del suo mandato?

Sulla scia anche di precedente giurisprudenza "il difensore non può essere chiamato a rispondere della sussistenza dei fatti denunziati solo quando la prestazione professionale si limiti ad espletare il mandato nei limiti consentiti dalla legge, e non, invece, quando si lasci coinvolgere volontariamente nell'azione criminosa posta in essere dal cliente".

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