Maltrattamenti in famiglia nei confronti del convivente more uxorio.

Tale delitto è disciplinato all’interno del codice penale dall’art. 572, che punisce la condotta di chiunque maltratti una persona della famiglia o comunque convivente, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità [...]



A cura della dott.ssa Daniela Cardillo

Sempre più spesso, assistiamo a delitti consumatisi in ambito familiare.

E’ ormai, all’ordine del giorno, purtroppo, sfogliare il quotidiano mattutino o accendere la tv e venire a conoscenza di nuovi casi, aventi ad oggetto reati commessi in danno della famiglia.

L’attuale problema che desta notevoli preoccupazioni è il silenzio.

Capita, infatti, che molte persone, per paura di esporre la propria situazione, “accettano” maltrattamenti nei propri confronti, che se non fermati in tempi brevi, possono poi sfociare in reati più gravi.

Ma vediamo, insieme, in cosa consiste il reato di maltrattamenti in famiglia.

Tale delitto è disciplinato all’interno del codice penale dall’art. 572, che punisce la condotta di chiunque maltratti una persona della famiglia o comunque convivente, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o un’arte.

Al secondo comma, poi, detto articolo prevede una serie di circostanze aggravanti, che si applicano nel caso in cui dal fatto derivi una lesione personale grave o gravissima.

  • In primis, la norma in esame tutela anche il convivente more uxorio?

Si. Analizzando la disposizione sancita dalla suddetta norma, infatti, si nota come il richiamo alla “famiglia” deve essere inteso come riferito ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo. Pertanto, anche la mera convivenza di fatto, rientra nella tutela di cui all’art. 572 c.p. Tale forma di affectio, è stata oggetto di pronunce giurisprudenziali che, hanno sempre riconosciuto una sorta di garanzia nei confronti del convivente more uxorio. Tuttavia, tale concezione è stata rafforzata dall’entrata in vigore della Legge 1 Ottobre 2012 n. 172, di ratifica della Convenzione del Consiglio d’ Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, che ha modificato il contenuto dell’art. 572 c.p., aggiungendo la locuzione “convivente” e allontanando, in tal modo, qualsivoglia genere di dubbio che poteva alimentare, seppur in termini ristretti, la portata della norma in esame.

A seguito della suddetta modifica normativa, dunque, non vi sono più spazi per mettere in discussione la configurabilità dei maltrattamenti in famiglia anche in danno del convivente quale soggetto passivo di tale delitto.

Com’è noto, il bene giuridico tutelato è la salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti nonché l’incolumità fisica e psichica della persona offesa; a nulla rilevando l’esistenza o meno di un rapporto di coniugio tra le parti in causa.

  • Quali sono gli elementi della convivenza more uxorio ?

• stabilità del rapporto

• reciproca assistenza

• protezione

In merito alla stabilità del rapporto, occorre precisare che ai fini della sua esistenza, benchè la convivenza sia soltanto di fatto, assume rilievo il comune intento della coppia di iniziare in progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà e protezione.

A conferma di quanto esposto, anche recente Giurisprudenza della Suprema Corte, con sentenza n. 8402 del 17 Febbraio 2016 ha riconosciuto la sussistenza del reato de quo, anche laddove l’imputato si fosse reso protagonista di frequenti allontanamenti dalla casa familiare, poiché continuava a pagare il canone di locazione e le bollette relative alle utenze dell’abitazione.

Elementi questi, che facevano comunque desumere un intento della coppia di proseguire una stabile convivenza.

Cio’ posto, tracciamo una breve esegesi della norma di cui all’art. 572 c.p.

Si tratta di un reato comune, potendo essere commesso da “chiunque”.

Per quanto concerne l’elemento soggettivo, è richiesto il dolo generico, ovvero la consapevolezza e la volontà dell’agente di porre in essere la condotta incriminata dalla legge.

L’elemento oggettivo, invece, risiede nella condotta dell’agente che deve manifestarsi in atti vessatori continui e oppressivi, capaci di determinare sofferenze fisiche (quali ad esempio percosse, lesioni) e morali ai danni della persona offesa, nonché di pregiudicare la sua libertà o il suo decoro, collegati da un nesso di abitualità.

Come si procede?

Una volta verificata la sussistenza degli elementi integranti tale fattispecie di reato, occorre sporgere denuncia. Il delitto è procedibile d’ufficio e quindi oltre che dalla stessa vittima, può essere denunciato da chiunque ne abbia avuto conoscenza.

La parte offesa può redigere un atto di querela e presentarlo alle autorità competenti o recarsi direttamente dalle forze dell’ordine quali ad esempio Carabinieri o polizia, che provvederanno a redigere verbale della dichiarazioni orali rilasciate dalla vittima con sua sottoscrizione. In questa fase non è obbligatoria l’assistenza di un avvocato.

Spetterà poi, ricevuta la notitia criminis, al pubblico ministero attraverso le indagini preliminari richieste dalla prassi del caso, verificare se sussistono, in concreto, gli elementi idonei a carico dell’indagato, per sostenere eventuale accusa in giudizio.

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