No ai danni da perdita di chance se non dimostrati in concreto.

Il creditore ha l'onere di provare i danni da perdita di chance mediante la realizzazione in concreto dei presupposti funzionali al raggiungimento del risultato sperato. Cass. 24 ottobre 2017 n. 25102



La Cassazione con la sentenza del 24 ottobre 2017 n. 25102 si pronuncia sull'onere della prova in relazione ai danni da perdita di chance.

In particolare la Corte è chiamata a pronunciarsi sul caso di un creditore che voglia ottenere i danni derivanti dalla perdita di chance: quest'ultimo ha l'onere di provare la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti funzionali al raggiungimento del risultato sperato.

L'onere della prova può essere dato anche solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità.

Il danno risarcibile deve comunque essere una conseguenza immediata e diretta della condotta illecita che ha impedito la relizzazione in concreto di alcuni dei presupposti funzionali al raggiungimento del risultato sperato.

  • IL CASO

?La società Alfa ha citato in giudizio davanti al Tribunale competente il Comune e la Società Beta per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dell'allagamento dei locali adibiti a sala gioco per la rottura di una tubatura della condotta idrica.

La Beta, eccependo l'infondatezza della domanda nei suoi confronti perchè la rottura della tubatura era stata causata dal cedimento della strada,ha chiamato in causa la società Gamma per sentirla condannare a manlevarla o rivalerla nel caso in cui fosse stata condannata al risarcimento del danno.

Il Comune ha chiesto il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti non essendoci alcun nesso di causalità tra il suo comportamento ed i danni lamentati.

La Gamma ha chiesto il rigetto della domanda di manleva per danni inclusi nella franchigia di Euro 75.000,00, e per danni indiretti, esclusi dalla garanzia.

Al predetto giudizio veniva riunito un altro pendente con il quale l'Assicurazione Y aveva proposto domanda nei confronti della Beta e del Comune per ottenere la condanna degli stessi al pagamento della somma di Euro 540.000,00,che aveva corrisposto nelle more alla Alfa, in virtù della garanzia che si era obbligata prestarle con una polizza che la stessa aveva stipulato per i danni subiti e conseguenti ad inondazioni alluvioni ed allagamenti.

Riuniti i giudizi, il Tribunale di Napoli ha dichiarato la Beta esclusiva responsabile dell'evento dannoso ed ha condannato la Gamma al pagamento in favore della Alfa della somma di Euro 785. 224,77 oltre accessori, con il limite della franchigia di Euro 75.000; ha dichiarato il diritto di surrogazione della Assicurazione Y nei confronti della Alfa fino alla concorrenza di Euro 540.000 oltre accessori.

La Corte di appello, con sentenza depositata in data 23 maggio 2014, ha modificato la sentenza di primo grado in relazione alla condanna diretta della Gamma al risarcimento del danno, condannando la Beta al risarcimento del danno in favore della Alfa  nella misura di Euro 245. 224,77, oltre accessori, ed alla restituzione in favore dell'Assicurazione della somma di Euro 540.000,oltre accessori, dichiarando che la Gamma era obbligata a garantire e manlevare la Beta delle somme pagate in esecuzione della sentenza in favore della Alfa e della Assicurazione Y.

Avverso questa decisione propone ricorso la Alfa con un articolato motivo.

  • La decisione della Corte di Cassazione

?La Corte di Cassazione rigetta entrambi i ricorsi riuniti incentrandosi principalmente sull'onere della prova dei danni da perdita di chance.

La ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha rigettato il risarcimento del danno in ordine al mancato guadagno e alla perdita di chance.

Sostiene che per tutto il periodo,durato circa otto mesi, dall'allagamento alla ripresa dell'attività,non aveva conseguito gli introiti, che avrebbe ottenuto se avesse potuto espletare pienamente la propria attività.

Prosegue affermando che la società ha dimostrato il verificarsi dell'evento, il mancato funzionamento delle apparecchiature di gioco, la chiusura forzata dei locali per tutto il tempo necessario alla ristrutturazione e di conseguenza ha diritto ad ottenere risarcimento del danno per il mancato incremento patrimoniale subito, liquidato quantomeno in via equitativa.

La ricorrente denunzia che i giudici di appello hanno omesso di consultare la documentazione depositata,decisiva in quanto indiscutibilmente offriva elementi idonei ad individuare le voci passive dell'attività esercitata.

La Corte di Cassazione ritiene tale motivo infondato in quanto in relazione al risarcimento da lucro cessante il primo giudice ha rigettato la domanda, ritenendo che questa non avesse provato il guadagno precedente alla chiusura conseguenza dall'allagamento.

La Corte d'appello ha accertato che, sebbene vi fosse agli atti documentazione contabile relativa al periodo seguente alla riapertura, da cui risulta la redditività complessiva per l'anno 2006, non era possibile determinare neanche equitativamente l'entità del mancato guadagno, poichè non erano noti i costi di gestione dell'attività sicuramente ingenti, per il compenso ai dipendenti, l'affitto della sala,i consumi, la manutenzione.

La Corte ha ritenuto che la mancanza di questi dati precludeva una determinazione anche equitativa del danno da lucro cessante che non poteva essere riconosciuto.

Inoltre non risultava provato alcun ulteriore danno da perdita di chance,in quanto non si poteva presumere,dato che la sala giochi al momento dell'allagamento aveva appena aperto da un mese e che tra i danni oggetto di risarcimento erano compresi anche i costi della campagna pubblicitaria per la riapertura.

La Corte di Cassazione afferma che la Corte d'appello ha correttamente applicato la regola dell'art. 2056 c.c., comma 1, che richiama l'art. 1226 c.c. - secondo cui:

"se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa" -, conformemente alla consolidata interpretazione che di tale norma ha dato questa Corte, per cui l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicchè grava sulla parte interessata l'onere di provare non solo l'"an debeatur" del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi "in re ipsa", ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, si da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso (cfr. Cass, Sentenza n. 8615 del 12/04/2006; Sentenza n. 9244 del 18/04/2007; Sentenza n. 20990 del 12/10/2011; Ordinanza n. 27447 del 19/12/2011; Sentenza n. 127 del 08/01/2016;Sentenza n.20889 del 17/10/2006).

Infatti l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ., espressione del più generale potere di cui all'art. 115 cod. proc. civ., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall'altro non ricomprende anche l'accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l'onere della parte di dimostrare la sussistenza e l'entità materiale del danno, nè esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinchè l'apprezzamento equitativo sia per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell'"iter" della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno Cass. Sentenza n. 13288 del 07/06/2007.

I giudici di appello - afferma la Cassazione - hanno dato conto adeguatamente dei motivi per cui non hanno proceduto alla liquidazione equitativa del danno da lucro cessante e da perdita di chance in assenza di prova da parte della ricorrente dell'entità del guadagno al momento dell'allagamento e,pur essendovi la prova della redditività dell'attività al momento della riapertura dei locali, tale dato era comunque inidoneo a determinare l'entità del mancato guadagno in mancanza dei costi di gestione dell'attività sicuramente ingenti.

In tale valutazione i giudici di appello si sono attenuti alla costante giurisprudenza di legittimità, non avendo la parte fornito gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali ragionevolmente poteva disporre, affinchè l'apprezzamento equitativo fosse per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell'Iter" della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno.

La Corte d'appello ha rigettato la domanda per difetto di prova sul quantum, in quanto i danneggiati hanno omesso di produrre in giudizio la documentazione fiscale o commerciale anteriore all'evento (produzione certamente possibile essendo tali documenti nella disponibilità della parte) attestante i ricavi prodotti, ed ha ritenuto di non poter verificare, alla stregua della documentazione attestante l'entità del guadagno alla ripresa dell'attività senza indicazione dei costi sostenuti,la variazione negativa subita l'attività commerciale e dunque quale fosse effettivamente la entità della riduzione dei ricavi,determinata dalla temporanea interruzione dell'attività economica nelle more del ripristino dei locali danneggiati.

In particolare in relazione al danno da perdita di chance la decisione di basa sull'orientamento giurisprudenziale di legittimità, che qui si ribadisce, per il quale, in tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere i danni derivanti dalla perdita di "chance" - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non una mera aspettativa dì fatto ma un'entità patrimoniale a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta (così Cass. n. 1752/05).

Con la precisazione che quando, come nel caso di specie, le chances che si assumono perdute attengono alla futura attività lavorativa del soggetto danneggiato,la sola dimostrazione dell'esistenza di un evento dannoso non è sufficiente a far presumere anche la perdita della possibilità di futuri maggiori guadagni, spettando al danneggiato l'onere di provare, anche presuntivamente, che il danno gli ha precluso l'accesso a situazioni tali che, se realizzate, avrebbero fornito anche soltanto la possibilità di maggiori guadagni.

In applicazione di questi principi di diritto, la Corte di Appello ha ritenuto che non erano stati provati elementi tali da far presumere l'ulteriore danno da perdita di chance, essendo l'attività iniziata solo da un mese al momento del verificarsi dell'evento dannoso.

LA MASSIMA

Il creditore che voglia ottenere i danni derivanti dalla perdita di chance ha l'onere di provare, anche solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti funzionali al raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere una conseguenza immediata e diretta. Cass. 24 ottobre 2017 n. 25102

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