Omicidio di vendetta contro chi contrasta la mafia: azioni e soggetti legittimati.

Omicidio per vendetta contro chi contrasta la mafia: azioni e soggetti legittimati. Corte di cassazione, sezione III civile, 3 maggio 2016 n. 8646.



A cura della Dott.ssa Iolanda Raffaele

La Corte di Cassazione, sezione III civile, con la recentissima sentenza del 3 maggio 2016 n. 8646, si è pronunciata sull’ipotesi di omicidio commesso per vendetta contro chi abbia cercato di contrastare la mafia e ha sancito la possibile coesistenza e la contestualità dell’azione civile diretta dei congiunti per il risarcimento del danno contro chi è stato ritenuto colpevole in sede penale e dell’azione rivolta ad ottenere l’indennizzo previsto per questi casi dallo Stato.

In particolare, la Suprema Corte ha espresso il proprio giudizio sull’omicidio perpetrato, a seguito di un cruente pestaggio, da due appartenenti ad un clan camorristico nei confronti di un appuntato dei Carabinieri, che aveva sempre ostacolato le loro condotte illecite, cercando di dare una soluzione il più possibile adeguata e giusta.

Innanzitutto, ha individuato la vendetta quale causa evidente di commissione del delitto e ha sottolineato che l’attività di rappresaglia è stata posta in essere per agevolare le attività delle associazioni di tipo mafioso, in virtù dell’eccezionale forza deterrente che ne deriva sul territorio e che, da un punto di vista oggettivo, sussistono i requisiti per accedere al fondo di rotazione.

La sentenza ha inteso precisare che “ in mancanza di un’espressa limitazione nella normativa in esame, deve escludersi ... che quell’accesso sia consentito solo in favore di coloro che, oltre ad essere costituiti in un giudizio civile, abbiano anche previamente conseguito una condanna nei confronti degli autori dei delitti in sede esclusivamente civile e, cioè, al risarcimento dei danni, generica o specifica poco importa”.

Al contrario, “per chi ha prescelto la via dell’azione civile, si richiede soltanto la costituzione in un giudizio che abbia ad oggetto i danni derivanti da un delitto, tra quelli indicati nel primo comma dell’art. 4, il quale sia stato già accertato in sede penale”.

Si afferma, pertanto, che “la contemporaneità degli accertamenti - quello della responsabilità civilistica del condannato verso gli attori e quello dei presupposti per l’attivazione della responsabilità solidaristica dello Stato - non solo non è preclusa dal tenore testuale della disposizione, ma anzi risponde a minimali esigenze di economia processuale, agevolando, per tutte le parti coinvolte, la difesa in unico contesto, con possibilità per ciascuna di avvalersi nei confronti delle altre, di volta in volta controinteressate, delle risultanze e delle acquisizioni probatorie”.

Altresì, esprimendosi in materia di notifiche, la Corte di Cassazione ha spiegato che le particolari condizioni di espletamento del servizio di protezione dei collaboratori di giustizia comportano che la previsione dell’articolo 139 c.p.c., in tema di persone “addette alla casa”, a mani delle quali validamente operare la consegna dell’atto da notificare, deve essere estesa anche agli agenti delle forze dell’ordine che, per il fatto di essere presenti sul posto della residenza anagrafica del collaboratore di giustizia sotto protezione, di interporsi all’ufficiale notificante che tentava di raggiungere il destinatario e di ricevere l’atto stesso, devono essere considerati ivi presenti in quanto comandati per le finalità di protezione del collaboratore di giustizia.

Essi possono essere, allora, qualificati in una relazione, lato sensu, di servizio con questo soggetto, a tal punto da restare obbligati, in dipendenza del loro ufficio, alla successiva consegna dell’atto.

Si enuncia, dunque, il principio di diritto secondo cui “in caso di omicidio commesso per vendetta in danno di chi aveva fino ad allora contrastato le attività di un’organizzazione criminale di stampo mafioso, spetta ai congiunti della vittima, i quali agiscano contestualmente in via diretta per il risarcimento del danno da uccisione nei confronti dell’autore del crimine e per il caso in cui la relativa domanda sia accolta, il diritto di accesso ai benefici di cui alla legge 29 dicembre 1999, n. 512, nei limiti e con le modalità di erogazione previsti da tale legge e dai regolamenti di attuazione”. 

LA MASSIMA

In caso di omicidio commesso per vendetta in danno di chi aveva fino ad allora contrastato le attività di un’organizzazione criminale di stampo mafioso, spetta ai congiunti della vittima, i quali agiscano contestualmente in via diretta per il risarcimento del danno da uccisione nei confronti dell’autore del crimine e per il caso in cui la relativa domanda sia accolta, il diritto di accesso ai benefici di cui alla legge 29 dicembre 1999, n. 512, nei limiti e con le modalità di erogazione previsti da tale legge e dai regolamenti di attuazione. Cass. pen. 3 maggio 2016 n. 8646

Fai una domanda