Potere del datore di lavoro: tra tempi di vita e tempi di lavoro.

A fronte del potere unilaterale del datore di lavoro di fissare le modalit temporali della prestazione pattuita. Cass. civ. sez. lav. n. 23600 del 05 novembre 2014.



LA NOTA

La disponibilità del lavoratore alla chiamata del datore di lavoro deve trovare un adeguato compenso, a fronte del potere unilaterale del datore di lavoro di fissare le modalità  temporali della prestazione pattuita.

Nel caso di specie il ricorrente aveva chiesto la dichiarazione di illegittimità del contratto di lavoro part time concluso con il datore di lavoro e la condanna dello stesso al risarcimento del danno in forma di indennità compensativa, per la disponibilità prestata a svolgere servizio a richiesta della datrice di lavoro pur in mancanza di una precisa predeterminazione della distribuzione dell'orario di lavoro, dal momento che questa riguardava solo il 30% del minimo dell'orario previsto.

La Corte di appello ha accolto il gravame condannando il datore di lavoro al pagamento di una somma pari alla metà della differenza tra la retribuzione spettante per un orario di lavoro a tempo pieno oltre al periodo in contestazione.

La Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi ha evidenziato che il credito in oggetto ha natura di indennizzo avente una causa autonoma riconducibile alla necessità di ristoro della maggiore penosità della prestazione e come tale soggetto alla prescrizione ordinaria.

Sulla scia di una pregressa pronuncia, la Corte di Cassazione, a fronte del potere unilaterale del datore di lavoro di fissare le modalità temporali della prestazione pattuita, la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro, pur non potendosi equiparare a lavoro effettivo, deve, comunque, trovare adeguato compenso, tenendo conto di un complesso di circostanze a tal fine significative, quali l'incidenza sulla possibilità di attendere ad altre attività, il tempo di preavviso previsto o di fatto osservato per la richiesta di lavoro "a comando", l'eventuale quantità di lavoro predeterminata in misura fissa, la convenienza dello stesso lavoratore a concordare di volta in volta le modalità della prestazione, (v. Cass. Sez. lav. n. 24566/2009).

 

LA SENTENZA.

Cassazione civile sez. lav. 05 novembre 2014 n. 23600.

Il giudice del lavoro del Tribunale di Genova rigettò la domanda di G.R. con la quale quest'ultimo aveva chiesto la dichiarazione di illegittimità del contratto di lavoro part-time concluso con la società A. s.p.a. e la condanna della medesima al risarcimento del danno, in forma di indennità compensativa, per la disponibilità prestata a svolgere servizio a richiesta della datrice di lavoro pur in mancanza di una precisa predeterminazione della distribuzione dell'orario di lavoro, dal momento che questa riguardava solo il 30% del minimo dell'orario previsto.

La Corte d'appello di Genova, investita dall'impugnazione del G., ha accolto il gravame con sentenza del 19/11 - 20/12/2010 ed ha condannato le società resistenti A. e A.s.p.a. al pagamento di una somma pari alla metà della differenza tra la retribuzione spettante per un orario di lavoro a tempo pieno e quella percepita per il periodo compreso tra il 17/11/1989 e l'entrata in vigore del ccnl del 1995, che prevedeva una maggiore specificazione dell'orario di lavoro. La Corte ha spiegato che la prescrizione eccepita dalle appellate doveva ritenersi interrotta per effetto della missiva inoltrata alla datrice di lavoro che conteneva la richiesta dei danni per la mancata programmazione dei turni lavorativi in conformità alla L. n. 863 del 1984. Inoltre, a fronte del potere unilaterale della parte datoriale di fissare le modalità temporali della prestazione pattuita nel regime contrattuale a tempo parziale non poteva non trovare adeguato compenso la disponibilità del dipendente alla chiamata del datore di lavoro.

Per la cassazione della sentenza ricorrono le società A. s.p.a. e A. s.p.a. con due motivi. Resiste con controricorso G.R.. Le parti depositano memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

DIRITTO

 1. Col primo motivo, proposto per violazione dell'art. 2099 c.c., e art. 2948 c.c., n. 4, le ricorrenti lamentano che la Corte d'appello avrebbe erroneamente disatteso l'eccezione di prescrizione quinquennale da esse sollevata in quanto, anche a voler riconoscere efficacia interruttiva alla lettera del legale di controparte del 31/12/1997, la domanda non avrebbe potuto trovare accoglimento che per il solo quinquennio antecedente 1992-1997 e non dall'inizio del rapporto di lavoro part-time risalente al 1989. Il motivo è infondato. Invero, la natura giuridica del credito in esame è quella che si evince dalla relativa domanda compiutamente qualificata dai giudici di merito nell'ambito dei loro poteri interpretativi come richiesta risarcitoria sotto forma di indennità compensativa della disponibilità prestata e della conseguente maggiore penosità della prestazione imposta al dipendente dal datore di lavoro, legittimato dalla "elasticità" della clausola a richiedere "a comando" parte della prestazione lavorativa dedotta nel contratto. Non si tratta, pertanto, di un credito connesso ad un emolumento spettante al lavoratore per legge o per contratto, per il quale opererebbe la prescrizione quinquennale, bensì di un indennizzo avente una causa autonoma riconducale alla necessità di ristoro della maggiore penosità della prestazione, soggetto come tale a prescrizione ordinaria.

2. Col secondo motivo le ricorrenti deducono, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione, da parte della Corte di merito, dell'art. 3, punto 13, del contratto collettivo del 21/12/1990, in quanto la stessa, nel valutare gli effetti della mancata prestazione di attività lavorativa a seguito di specifica "chiamata" della parte datoriale, non avrebbe considerato che l'inadempimento contrattuale imputabile al lavoratore poteva configurarsi esclusivamente nei casi di qualificata, reiterata ed ingiustificata mancanza di prestazione. Inoltre, secondo tale assunto difensivo, la Corte non avrebbe valutato quest'ultima circostanza, rilevante ai fini della decisione. Anche tale motivo è infondato per le seguenti ragioni: - Anzitutto, occorre rilevare che la Corte di merito è pervenuta al convincimento della rilevanza negoziale della disponibilità offerta dal lavoratore di eseguire prestazioni "a chiamata" proprio alla stregua della lettura delle circostanze di fatto esposte dalla difesa delle appellate nella memoria difensiva. Invero, la Corte ha evidenziato che in tale atto erano indicate le concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa oggetto di contratto, dopodichè ha rafforzato il suo convincimento sull'assunzione da parte del dipendente dell'obbligazione di rendersi disponibile anche per le chiamate effettuate in via d'urgenza alla luce del dato letterale della norma collettiva in esame. Infatti, questa prevedeva espressamente la responsabilità da inadempienza contrattuale del lavoratore a tempo parziale che senza sufficiente giustificazione e ripetutamente non effettuava la prestazione richiestagli o si rendeva di fatto irreperibile. A fronte di tale motivazione, adeguatamente illustrata e basata sulla lettura dell'atto difensivo delle società e sull'interpretazione letterale della norma collettiva summenzionata, le ricorrenti non indicano quale sarebbe stato a loro giudizio il canone ermeneutico disatteso dalla Corte di merito e, nel contempo, prospettano come circostanza di fatto decisiva quella che è, invece, il frutto di una loro interpretazione della stessa norma collettiva, contrapposta a quella fornita dalla Corte territoriale con giudizio immune da rilievi di legittimità. Tra l'altro, la Corte ligure si è attenuta al principio, già affermato da questa Suprema Corte, in base al quale, a fronte del potere unilaterale del datore di lavoro di fissare le modalità temporali della prestazione pattuita, la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro, pur non potendosi equiparare a lavoro effettivo, deve, comunque, trovare adeguato compenso, tenendo conto di un complesso di circostanze a tal fine significative, quali l'incidenza sulla possibilità di attendere ad altre attività, il tempo di preavviso previsto o di fatto osservato per la richiesta di lavoro "a comando", l'eventuale quantità di lavoro predeterminata in misura fissa, la convenienza dello stesso lavoratore a concordare di volta in volta le modalità della prestazione, (v. Cass. Sez. lav. n. 24566/2009). Nel caso di specie la motivazione dell'impugnata sentenza non risulta sindacabile in sede di legittimità, dal momento che individua le fonti di convincimento e giustifica in modo logicamente plausibile la decisione, dando conto di come l'elasticità della clausola fosse in grado di incidere in concreto sulla autonoma disponibilità dei tempi di lavoro da parte del dipendente, comprimendo, in misura non poco significativa (e come tale valutata anche ai fini della determinazione del quantum dell'integrazione), il discrimine, che non può che restare rigoroso, fra tempi di vita e tempi di lavoro, fra condizione di autonomia e situazione di soggezione ad un altrui potere di intervento e di organizzazione. Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza delle ricorrenti e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 4000,00 per compensi professionali e di Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2014. Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2014

LA MASSIMA

A fronte del potere unilaterale del datore di lavoro di fissare le modalità temporali della prestazione pattuita, la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro, pur non potendosi equiparare a lavoro effettivo, deve, comunque, trovare adeguato compenso, tenendo conto di un complesso di circostanze a tal fine significative, quali l'incidenza sulla possibilità di attendere ad altre attività, il tempo di preavviso previsto o di fatto osservato per la richiesta di lavoro "a comando", l'eventuale quantità di lavoro predeterminata in misura fissa, la convenienza dello stesso lavoratore a concordare di volta in volta le modalità della prestazione.Cassazione civile sez. lav. 05 novembre 2014 n. 23600.

CONSULTA ANCHE:

- DIRITTO DEL LAVORO. L'illegittimo rifiuto del datore di lavoro di concedere le ferie richieste non autorizza il lavoratore ad agire "in autotutela".

- DIRITTO DEL LAVORO. Rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo: potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Cass. civ. n. 7675 del 02 aprile 2014.

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