La Corte di Giustizia UE si pronuncia sulla nozione di "licenziamento".
Il comportamento del datore di lavoro che proceda unilateralmente e a svantaggio del lavoratore ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto rientra nella nozione di licenziamento?
La Corte di Giustizia si è pronunciata, con sentenza n. 422 dell'11 novembre 2015, in relazione ad una controversia relativa al licenziamento di un dipendente da parte di una società.
I punti principali della decisione:
- L'articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a), della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, dev'essere interpretato nel senso che i lavoratori che beneficino di un contratto concluso a tempo determinato o per un compito determinato devono essere considerati lavoratori «abitualmente» impiegati, ai sensi di detta disposizione, nello stabilimento interessato.
- Al fine di accertare l'esistenza di un «licenziamento collettivo», ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a), della direttiva 98/59, che comporta l'applicazione della direttiva stessa, la condizione, prevista nel secondo comma di tale disposizione, che «i licenziamenti siano almeno cinque» dev'essere interpretata nel senso che essa non riguarda le cessazioni di contratti di lavoro assimilate a un licenziamento, bensì esclusivamente i licenziamenti in senso stretto.
LA MASSIMA
La direttiva 98/59 deve essere interpretata nel senso che il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso rientra nella nozione di «licenziamento» di cui all'articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a), della medesima direttiva. Corte di Gisutizia UE n. 422 dell'11 novembre 2015.
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In tema di impugnazione del licenziamento, non è necessario che l'atto pervenga all'indirizzo del datore di lavoro entro i sessanta giorni previsti dalla L. n. 604 del 1966, art. 6, per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare, in quanto, ai sensi dell'art. 410, cod. proc. civ., comma 2 (come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 36), il predetto termine si sospende a partire dal deposito dell'istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l'impugnativa scritta del licenziamento, presso la Commissione di conciliazione e cosଠdiviene irrilevante, in quanto estraneo alla sfera di controllo del lavoratore, il momento in cui l'ufficio provinciale del lavoro provvede a comunicare al datore la convocazione per il tentativo di conciliazione.
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DIRITTO DEL LAVORO. Licenziamento per riduzione del personale: valido il criterio di scelta fondato sul possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione. Cass. civ. 11 marzo 2011 n.5884.
In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla L. n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all'art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicché, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l'organico dell'intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l'imprenditore puಠlimitarsi all'indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso alla stregua della classificazione per aree funzionali - ciascuna caratterizzata dall'idoneità professionale allo svolgimento di una pluralità di mansioni -, tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all'esito della procedura, che, nell'ambito delle misure idonee a ridurre l'impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione.
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Licenziamento illegittimo: indennità sostitutiva e obbligo retributivo.
Tizio propose ricorso innanzi al giudice del lavoro competente al fine di vedersi dichiarare l’illegittimità del licenziamento verbale intimatogli dalla società per la quale lavorava; chiedeva altresì condanna della stessa al versamento delle retribuzioni maturate fino alla richiesta di reintegra e dell’indennità sostitutiva della stessa sulla base dell’opzione esercitata in tal senso dal lavoratore.
Licenziamento verbale: su chi grava l’onere probatorio?
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