Sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 quater della Legge 3/2012.

Spunti di riflessione alla luce dell'ordinanza di remissione alla corte costituzionale resa dal tribunale di lanciano il 17 marzo 2020.



A cura dell’Avv. Maurizio MILILLI

Con ordinanza depositata il 17 Marzo 2020, il Tribunale di Lanciano, in persona del Giudice Dott. Massimo Canosa, ha sottoposto alla Corte Costituzionale il giudizio di legittimità dell’art. 14 – quater della Legge 27 Gennaio 2012, n. 3 (Legge sul Sovraindebitamento), per supposta violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, “nella parte in cui non consente la conversione della procedura di accordo di composizione della crisi in quella di liquidazione del patrimonio del debitore, su richiesta di quest’ultimo, nei casi di mancata omologa dell’accordo per il voto contrario della maggioranza dei creditori espressa ai sensi dell’art. 11 L. 3/2012”.

I motivi che hanno portato a ritenere non manifestamente infondata e pienamente rilevante la questione di legittimità citata, hanno trovato la loro ragion d’essere in un procedimento di Accordo di Composizione della Crisi che prevedeva una proposta di ristrutturazione dei debiti, rivelatasi non soddisfacente rispetto alle pretese della maggioranza dei creditori che, infatti, chiamati ad esprimere il proprio consenso ai sensi dell’art. 11 della L 3/2012 ai fini dell’omologazione dell’accordo, esprimevano voto contrario alla proposta formulata.

Il mancato raggiungimento del voto di maggioranza ai fini dell’omologazione dell’accordo, ha spinto il difensore del debitore (redattore del presente contributo) ad avanzare, nel corso dell’udienza di verifica della medesima procedura di accordo, una richiesta di conversione della procedura, in quella di liquidazione.

Il dubbio di costituzionalità del Giudice a quo, muove dalla considerazione che, irragionevolmente, tale peculiare istanza di conversione, secondo la legislazione attuale, dovrebbe essere rigettata, posto che non rientrerebbe tra le ipotesi di conversione, tassativamente ed espressamente stabilite nell’art. 14-quater della L. 3/2012.

La domanda di conversione, difatti, troverebbe accoglimento esclusivamente nei casi “patologici” di: a) annullamento dell’accordo; b) cessazione degli effetti dell’accordo per mancata esecuzione, da parte del debitore, dei pagamenti alle amministrazioni pubbliche ed agli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie entro 90 giorni dalle scadenze previste (art. 11, comma 5, L. 3/2012); c) cessazione degli effetti dell’accordo per il compimento da parte del debitore, nel corso della procedura, di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori (art. 11, comma 5, L. 3/2012); d) revoca o cessazione degli effetti della diversa procedura di piano del consumatore.

La mancata previsione della detta possibilità di conversione, risulterebbe illogica, in considerazione della circostanza che con la procedura liquidatoria il debitore, mettendo a disposizione l’intero suo patrimonio, consente la maggior possibilità di soddisfazione dei crediti stessi.

Diversi sono stati, difatti, i profili che hanno portato il Tribunale di Lanciano a sottoporre la questione di legittimità relativa all’art. 14-quater della Legge n. 3/2012 alla Corte Costituzionale.

Prima di esaminarli, tuttavia, è opportuno tenere conto di quali siano, effettivamente, le finalità e la ratio della legge sul sovra indebitamento, come recentemente riformata dal D. Lgs n. 14 del 12 Gennaio 2019, che ha in parte modificato gli Istituti integrandoli nella disciplina fallimentare e risolvendo alcune questioni interpretative sorte nel corso del tempo.

Orbene l’art. 6 della Legge n. 3/2012, indica come finalità delle procedure di composizione della crisi, la possibilità, per i soggetti non fallibili, di “porre rimedio” alle situazioni di sovraindebitamento, consentendo ad essi di accedere, laddove ne sussistano i presupposti, al beneficio della esdebitazione .

Tale obiettivo, è stato oggi ancor più esplicitato nel nuovo codice della crisi che, nel disciplinare le finalità delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, all’art. 3, prevede espressamente che “obiettivo delle procedure disciplinate dal presente codice è pervenire al miglior soddisfacimento dei creditori salvaguardando i diritti del debitore, nonché, ove questi eserciti un’attività d’impresa, favorire il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche attraverso la rilevazione tempestiva della crisi medesima, in vista di soluzioni concordate con tutti o parte dei creditori, ovvero, in difetto, il proficuo avvio di una procedura liquidatoria”.

Ebbene, da entrambi gli articoli in commento, è possibile dedurre come la salvaguardia dei diritti del debitore sovra indebitato, al pari del soddisfacimento delle pretese creditorie, assuma una rilevanza imprescindibile nell’interpretazione delle successive norme regolanti gli istituti legati all’insolvenza dei soggetti non fallibili, posto che le procedure di composizione della crisi, in un’ottica pragmatica, altro non sono se non mezzi offerti per contemperare l’esigenza del creditore di vedere soddisfatto, al meglio delle possibilità concrete, il suo credito con quella del debitore incolpevole di poter riavviare la propria attività.

Tenuto conto di ciò, l’art. 14 – quater, apparirebbe illogico rispetto alla ratio della Legge n. 3/2012, se si considera che la possibilità di richiedere la conversione della procedura di accordo della crisi in quella di liquidazione del patrimonio (disciplinata dagli artt. 14-ter e ss.) viene accordata al debitore che abbia posto in essere condotte fraudolente (tali da portare all’annullamento dell’accordo già omologato) o che non abbia adempiuto (anche per fatti a sé imputabili) all’accordo omologato, e non al debitore che, di conseguenza ad una mera valutazione di convenienza dei creditori – peraltro non motivata-, non ne abbia ottenuto l’omologa.

Ulteriore sintomo della irragionevolezza insita nell’art. 14-quater, nella parte in cui non consente la conversione dell’accordo di composizione per la mancata omologa dovuta al dissenso della maggioranza dei creditori (ai sensi dell’art. 11 L. 3/2012), sarebbe da rinvenire nella previsione stabilita dall’art. 14-ter, che consente al debitore di optare inizialmente per l’accordo di composizione o per la liquidazione, in maniera alternativa.

Orbene, se in principio il debitore si trova a poter fare una scelta tra una procedura e l’altra e se, nonostante il suo comportamento fraudolento, ha la possibilità, successivamente, anche di convertire la procedura prescelta nell’altra alternativa, non si comprende per quale motivo analoga chance non possa essere accordata anche al debitore che subisca il voto insindacabile contrario dei creditori.

Tale lacuna normativa oltre a rappresentare un chiaro vulnus rispetto agli stessi obiettivi della legge sul sovraindebitamento, palesa una violazione sia del principio di eguaglianza ex art. 3 della Costituzione, che dell’art. 24, nella parte in cui preclude ad un soggetto di difendere e tutelare nel modo più ampio i propri diritti con le procedure previste dalla legge.

Difatti, la lacuna legislativa presente nell’art. 14-quater della Legge n. 3/2012, appare ancor più grave se si considerano le conseguenze negative che derivano per il debitore, tra cui rientrano la preclusione alla possibilità di accedere alla procedura esdebitatoria conseguente alla liquidazione del patrimonio ovvero la possibilità di ottenere la liquidazione solo tramite l’attivazione di un nuovo procedimento (con ulteriore aggravio di spese), con il rischio che il debitore, medio tempore, possa essere soggetto ad azioni esecutive individuali da parte dei creditori.

Tali profili, hanno indotto il Giudicante, condividendo l'impostazione difensiva, a ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14-quater della Legge 3/2012 nella parte in cui non consente la conversione della procedura di accordo di composizione della crisi in liquidazione del patrimonio del debitore, su richiesta di quest’ultimo, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo e, conseguentemente, dell’omologa, per il solo voto contrario della maggioranza dei creditori.

Del pari, la questione è stata ritenuta rilevante ai fini di un giudizio di legittimità, posto che, senza una pronuncia della Corte Costituzionale, la richiesta di conversione - presentata al Tribunale che ha trasmesso gli atti ai giudici delle leggi - non potrà che essere investita da un esito negativo, posta l’ impossibilità di operare un’estensione analogica delle ipotesi tassative di conversione stabilite dall’art. 14-quater Legge n. 3/2012.

E’, poi, del tutto irrilevante la circostanza che la Legge n. 3/2012 verrà a breve sostituita dal nuovo Codice della Crisi di impresa, in quanto l’attuale disciplina risulterà ancora applicabile, ratione temporis alle procedure di indebitamento instaurate antecedentemente al 15 Agosto 2020 (termine oggi ulteriormente prorogato al 01 settembre 2021).

Peraltro, v’è da dire che il D. Lgs n. 14/2019, se da un lato ha provveduto a rinominare le procedure di regolazione della crisi (il Piano del Consumatore, l’Accordo di Composizione della crisi e la Liquidazione del Patrimonio diventeranno, rispettivamente, Piano di ristrutturazione dei debiti, Concordato Minore e Liquidazione controllata del Sovra indebitato) e ad apportare novità alle procedure di conversione (si veda ad esempio l’art. 79 CCII, che prevede come il concordato minore sia approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto, e non più dai creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti), dall’altro ha lasciato sostanzialmente invariata la previsione dell’art. 14-quater della Legge n. 3/2012.

È espressamente prevista, infatti, all’art. 83 CCII, la possibilità di convertire il concordato minore (disciplinato dagli art. 74 e ss. del nuovo CCII) nella procedura liquidatoria: a) “in ogni caso di revoca o risoluzione”, sussistente il quale il giudice, su istanza del debitore, dispone la conversione; b) “nei casi di frode o di inadempimento”, richiesta che può essere effettuata anche da un creditore o dal pubblico ministero. In caso di conversione, inoltre, il giudice concede al debitore un termine per l’eventuale integrazione della documentazione e provvede ai sensi dell’art. 276.

Da ciò è possibile dedurre come neppure la riforma abbia colmato la lacuna legislativa presente nell’art. 14-quater della Legge 3/2012, con la conseguenza che, solo attendendo l’esito del Giudizio di legittimità costituzionale, si potrà avere chiarezza sulla questione esaminata.

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