La Corte Cost. si pronuncia sulla legittimità delle impugnazioni del PM delle sentenze di condanna.

E' legittimo quanto previsto dall'art. 593 c.p.p. laddove il PM può appellare solo le sentenze di condanna che modificano il reato o escludono circostanze aggravanti.



Vanno dichiarate infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 593 c.p.p., come sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. a), d.lg. 6 febbraio 2018, n. 11, recante "Disposizioni di modifica della disciplina in materia di giudizi di impugnazione in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere f), g), h), i), l) e m), della legge 23 giugno 2017, n. 103", nella parte in cui prevede che il pubblico ministero può appellare contro le sentenze di condanna solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.

In un sistema ad azione penale obbligatoria, non può ritenersi precluso al legislatore introdurre limiti all'esercizio della funzione giurisdizionale intesi ad assicurare la ragionevole durata dei processi e l'efficienza del sistema punitivo.

Pertanto, non può considerarsi irragionevole che, di fronte al soddisfacimento, comunque sia, della pretesa punitiva, lo Stato decida di rinunciare a un controllo di merito sul quantum della sanzione irrogata.

Corte Cost. n. 34 del 26 febbraio 2020

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