DIRITTO DEL LAVORO. Pensione di anzianita' e risarcimento del danno. Cass. sez. lav. n. 21454 del 19 settembre 2013.



Il danno lamentato dal lavoratore che si sia visto rigettare la domanda di pensione di anzianità proposta sulla base di comunicazioni errate fornitegli dall’INPS, in ordine alla propria posizione contributiva, deve essere inteso come illecito contrattuale. Peraltro, sulla base della costante giurisprudenza, il danno va risarcito in un importo commisurabile a quello delle retribuzioni perdute fra la data della cessazione del rapporto di lavoro e quella dell’effettivo conseguimento della detta pensione, in forza del completamento del periodo di contribuzione a tal fine necessario, ottenuto col versamento di contributi volontari, da sommarsi a quelli obbligatori antecedentemente accreditati.

Cassazione civile sezione lavoro, n. 21454 del 19 settembre 2013. 

Conf.: Cass. n. 3195/2012, Cass. n. 15083/2008.

Nota dell’Avv. Nunzia Liberatoscioli
Nella sentenza n. 21454 del 19 settembre 2013, la Corte di Cassazione si pronuncia in ordine alla domanda di risarcimento dei danni lamentati da un lavoratore che, facendo affidamento sulle errate informazioni fornitegli dall’INPS, circa il raggiungimento dei requisiti contributivi necessari per la pensione di anzianità, rassegnava le proprie dimissioni dal lavoro ma la relativa domanda di pensione veniva respinta proprio per insufficienza dei contributi versati.
La Corte di Appello rigettava la domanda attorea, adducendo che le informazioni rese dall’ente previdenziale erano contenute in semplici estratti-conto assicurativi, privi di sottoscrizione e senza formale valore certificativo in ordine alla reale situazione contributiva dell’assicurato, e che, comunque, quest’ultimo era incorso in errore circa il calcolo dei periodi contributivi e tale errore era riconoscibile. Pertanto, l’interessato avrebbe dovuto acquisire maggiori e più sicure informazioni sulla propria situazione contributiva e solo allora rassegnare eventualmente le dimissioni dal lavoro.
Ribaltando la decisione del giudice di merito, la Corte di Cassazione ha, invece, accolto il ricorso, precisando, innanzitutto, che, secondo la giurisprudenza prevalente, “il danno subito dal lavoratore che sia stato indotto alla anticipata cessazione del rapporto di lavoro, a seguito di errata comunicazione dell’INPS sulla propria posizione contributiva, e che si sia visto rigettare la domanda di pensione di anzianità per insufficienza dei contributi versati, in quanto fondato sul rapporto giuridico previdenziale, è riconducibile ad illecito contrattuale” (cfr., ex multis: Cass. 3195/2012 e 15083/2008).
Per di più, sposando la tesi del ricorrente, secondo la quale, i documenti rilasciati da un ente pubblico devono sempre reputarsi idonei a ingenerare – sia nell’esercizio dei poteri autoritativi, sia nell’ambito dei rapporti contrattuali – un legittimo affidamento del cittadino circa la correttezza dei dati forniti, la Suprema Corte ha confermato il principio della tutela del legittimo affidamento, ribadendo che si tratta di “uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni” e, in quanto tale, “costituisce un principio generale tanto dell’ordinamento costituzionale interno” – innestandosi a sua volta nel principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3, Cost.) – “quanto del diritto e dell’ordinamento comunitari”.
La Corte ha poi precisato che “il diritto di esigere la tutela del legittimo affidamento si estende a chiunque si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione gli ha dato aspettative, fondate su informazioni e dichiarazioni dalla stessa rilasciate, posto che la Pubblica Amministrazione è tenuta a rispettare l’affidamento e l’attendibilità delle sue dichiarazioni, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375, c.c.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97, Cost.”. In questa prospettiva, insomma, la Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di “non frustrare la fiducia di soggetti titolari di diritti indisponibili, fornendo informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative”, che possano incidere negativamente sul conseguimento e godimento di beni essenziali della vita, come quelli garantiti dall’art. 38, Cost.
E tutto ciò vale pure nei casi in cui non venga richiesta e rilasciata una vera e propria certificazione, ma la Pubblica Amministrazione fornisca informazioni errate inerenti un cittadino contenute in un altro documento, come, ad esempio, nel caso in esame, un estratto-conto assicurativo.
In definitiva, secondo la Corte di Cassazione, il danno lamentato dal lavoratore che si sia visto rigettare la domanda di pensione di anzianità proposta sulla base di comunicazioni errate fornitegli dall’INPS, in ordine alla propria posizione contributiva, deve essere inteso come illecito contrattuale. Peraltro, sulla base della costante giurisprudenza, il danno va risarcito “in un importo commisurabile a quello delle retribuzioni perdute fra la data della cessazione del rapporto di lavoro e quella dell’effettivo conseguimento della detta pensione, in forza del completamento del periodo di contribuzione a tal fine necessario, ottenuto col versamento di contributi volontari, da sommarsi a quelli obbligatori antecedentemente accreditati”.
Tuttavia, il cittadino ha l’onere di usare l’ordinaria diligenza e non porsi in maniera passiva di fronte all’altrui comportamento dannoso, bensì, sempre senza subire rischi o sacrifici notevoli, deve, ai sensi dell’art. 1227, c.c., cooperare attivamente con il debitore proprio per evitare l’aggravamento del danno derivante dall’inadempimento di quest’ultimo, pertanto, nel rispetto dei principi di diritto espressi dalla Suprema Corte, spetterà al giudice di merito, al quale la sentenza viene rinviata, valutare il contenuto degli atti sui quali l’interessato aveva basato la propria domanda di pensione, per verificare l’esistenza di situazioni idonee a limitare la responsabilità dell’INPS.


Cassazione Civile, Sez. Lavoro, n. 21454 del 19 settembre 2013
FATTO
B.U. agiva nei confronti dell'INPS per il risarcimento dei danni che assumeva essergli derivati dalle errate informazioni fornite dall'INPS, sulla cui base aveva rassegnato le dimissioni dal lavoro nel convincimento di avere raggiunto il requisito contributivo per accedere alla pensione di anzianità.
La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 28 marzo 2008, riformando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda, osservando che le informazioni erano state fornite a mezzo di estratti-conto assicurativi, privi di sottoscrizione, contenenti risultanze di archivio, rilasciati a semplice richiesta dell'interessato, i quali non potevano valere come atti certificativi della situazione contributiva dell'assicurato, ma avevano un valore solo conoscitivo; che sarebbe stato onere dell'interessato chiedere il rilascio di una formale certificazione da parte dell'ente previdenziale; che solo sulla base di quanto attestato e sottoscritto da un funzionario in grado di rappresentare la volontà dell'Istituto il B. avrebbe potuto, con tutta ragionevolezza, assumere le proprie impegnative determinazioni.
Osservava ulteriormente che l'errore era comunque riconoscibile, riguardando periodi contributivi parzialmente sovrapponibili; che sia l'assicurato, che era a conoscenza della propria storia lavorativa, sia il patronato, soggetto esperto e qualificato in materia, avrebbero potuto incrociare i dati relativi ai periodi lavorativi risultanti dal libretto di lavoro con quelli emergenti dall'archivio informativo dell'INPS, riscontrando l'errore, e in caso di dubbio richiedere all'INPS una formale certificazione dell'effettivo stato contributivo; che, al contrario, l'appellato, dopo una domanda esplorativa presentata tramite il patronato, non si era preoccupato di acquisire più affidabili riscontri e si era dimesso dal lavoro nell'errata convinzione di avere raggiunto il requisito contributivo per la pensione di anzianità.
Soggiungeva che, anche a volere ravvisare la responsabilità dell'INPS, non poteva escludersi il concorso di colpa dell'interessato, il quale aveva assunto l'intempestiva determinazione di rassegnare le dimissioni senza acquisire più tranquillizzanti e documentate certezze sul perfezionamento del diritto.
Escludeva, infine, che il danno potesse essere costituito dai ratei pensionistici maturati dal 1 aprile 1996 al 31 dicembre 1996, come ritenuto dal giudice di primo grado, anzichè dalle retribuzioni non percepite nello stesso periodo: difatti, il B., se avesse saputo della sovrapposizione dei periodi contributivi che ritardavano a fine anno 1996 il momento di maturazione del requisito contributivo, avrebbe certamente continuato nell'attività lavorativa fino al perfezionamento delle condizioni di accesso al trattamento;
di conseguenza il danno risarcibile era costituito dal ristoro per la mancata percezione della retribuzione nel periodo suindicato, con conseguente versamento contributivo, destinato ad incidere sulla misura del trattamento finale.
Per la cassazione di tale sentenza B.U. propone ricorso affidato ad un unico motivo ed illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c. Resiste con controricorso l'INPS.
DIRITTO
Con unico motivo il ricorrente, denunciando violazione di legge in relazione agli artt. 1175 e 1176 c.c., R.D. n. 1422 del 1924, art. 78, e L. n. 88 del 1989, art. 54, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, censura la sentenza per avere trascurato di considerare che anteriormente al 2004 l'INPS, per sua stessa ammissione, non era in grado di rilasciare estratti conto certificativi e ciò non poteva che avvalorare la tesi dell'impossibilità di emettere una formale attestazione, valida agli stessi fini.
Inoltre, i documenti rilasciati dall'Istituto, provenendo da un ente pubblico, devono sempre reputarsi idonei a ingenerare, in chi li riceve, un legittimo affidamento circa l'esattezza e la correttezza dei dati forniti, presumendosi che l'Ente abbia posto in essere, nel rilasciarli, quella doverosa opera di controllo dei dati risultanti dai propri archivi e destinati ad essere forniti a richiesta degli interessati.
Nel formulare il relativo quesito di diritto il ricorrente chiede se, nell'impossibilità di rilasciare veri e propri estratti conto certificativi da parte dell'INPS - o comunque ed in ogni caso - possa essere attribuito valore certificativo alle comunicazioni fornite dall'Istituto agli assicurati sulla loro posizione contributiva e dunque alle situazioni contributive da essi descritte così che le errate informazioni in eccesso rese ai richiedenti circa il numero dei contributi versati (solo apparentemente sufficienti al riconoscimento della pensione di anzianità) possano costituire per l'INPS, ai sensi della L. n. 88 del 1989, art. 54, fonte di responsabilità contrattuale, tale da potersi ritenere che l'Istituto sia tenuto al risarcimento dei danni causati all'interessato a seguito della interruzione del rapporto di lavoro per dimissioni, conseguenti alle suddette comunicazioni, sulla correttezza delle quali il lavoratore aveva riposto pieno affidamento circa l'insorgenza del proprio diritto.
Il ricorso è meritevole di accoglimento nei termini e nei limiti che seguono.
Secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte (v. tra le più recenti, Cass. sent. 3195 del 2012 e 15083 del 2008; ex plurimis, Cass. sent. n. 19340 del 2003, n. 5002 del 2002, n. 6995 e 6867 del 2001, n. 14953 del 2000, n. 9776 del 1996), il danno subito dal lavoratore che sia stato indotto alla anticipata cessazione del rapporto di lavoro, a seguito di errata comunicazione dell'Inps sulla propria posizione contributiva, e che si sia visto poi rigettare la domanda di pensione di anzianità per insufficienza dei contributi versati, in quanto fondato sul rapporto giuridico previdenziale, è riconducibile ad illecito contrattuale.
Questa Corte già in altre occasioni ha avuto modo di esaminare la questione di lavoratori che avevano rassegnato le dimissioni sul presupposto, poi rivelatosi errato, di avere maturato i requisiti di anzianità necessari per beneficiare della pensione dopo avere esaminato gli estratti conto provenienti dall'INPS attestanti il raggiungimento di un numero di contributi utile a tal fine (ex plurimis, Cass. n. 1104 del 2003; v pure Cass. n. 6995 del 2001 e n.5002 del 2002) ed ha affermato che il lavoratore indotto alle dimissioni da colpevole comportamento dell'INPS, che gli abbia erroneamente comunicato il perfezionamento del requisito contributivo per il conseguimento della pensione di anzianità, ha diritto al risarcimento del danno in un importo commisurabile a quello delle retribuzioni perdute fra la data della cessazione del rapporto di lavoro e quella dell'effettivo conseguimento della detta pensione, in forza del completamento del periodo di contribuzione a tal fine necessario, ottenuto col versamento di contributi volontari, da sommarsi a quelli obbligatori anteriormente accreditati.
Più recentemente, la sentenza 10 novembre 2008, n. 26925, ha affermato che, in tema di erronea comunicazione al lavoratore, da parte dell'Inps, della posizione contributiva utile al pensionamento, l'ente risponde del danno derivatone per inadempimento contrattuale, salvo che provi che la causa dell'errore sia esterna alla sua sfera di controllo e l'inevitabilità del fatto impeditivo nonostante l'applicazione della normale diligenza.
Trattasi di obbligazione di origine legale, ma attinente ad un rapporto intercorrente tra due parti, per cui la responsabilità per inosservanza della stessa è di natura contrattuale. In tale quadro di riferimento, a norma dell'art. 1218 c.c., colui che agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno conseguente all'inadempimento di tale obbligazione ha l'onere di provare unicamente la fonte del suo diritto e di allegare la circostanza dell'inadempimento o del non esatto adempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento o dell'impedimento rappresentato dalla impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
La nozione di causa non imputabile al debitore che induce l'impossibilità della prestazione o dell'esatta prestazione è stata costantemente precisata in termini di fatto oggettivo esterno alla sfera di dominio del debitore, che determina l'impossibilità della prestazione nonostante l'esaurimento di tutte le possibilità di ovviarvi adoperando la normale diligenza richiesta nelle relazioni contrattuali. L'art. 1218 c.c., pone espressamente a carico del debitore la prova che l'inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, prova che esige la dimostrazione dello specifico impedimento, che ha reso impossibile la prestazione (Cass. n. 3294 del 2004). Ne deriva che, nell'ipotesi in cui l'INPS abbia comunicato all'assicurato una indicazione erronea del numero dei contributi versati, il danneggiato non ha l'onere di provare la colpa o il dolo dell'autore dell'illecito.
Si è in particolare evidenziato l'obbligo che fa carico all'Istituto, ai sensi della L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 54, di comunicare all'assicurato che ne faccia richiesta, i dati relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica ("è fatto obbligo agli enti previdenziali di comunicare, a richiesta esclusiva dell'interessato o di chi ne sia da questi legalmente delegato o ne abbia diritto ai sensi di legge, i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica"; l'ultimo periodo di questa norma dispone che: "La comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa descritta").
Il Collegio non ignora il precedente di questa Corte (sent. n. 7683 del 2010) nel quale si afferma che nell'ipotesi in cui l'INPS abbia fornito all'assicurato una erronea indicazione (in eccesso) del numero dei contributi versati, solo apparentemente sufficienti a fruire di pensione di anzianità, va esclusa la responsabilità dell'INPS per il danno sofferto dall'interessato a causa della successiva interruzione del rapporto di lavoro per dimissioni e del versamento dei contributi, ove la situazione contributiva sia stata comunicata dall'ente a prescindere da una domanda dell'interessato, con la specificazione della provvisorietà dei dati forniti e dell'eventuale presenza di errori, al fine di verificare, con la collaborazione dell'assicurato, la sua posizione contributiva. Nella fattispecie ivi esaminata, l'interessato aveva agito per ottenere la condanna dell'Istituto al risarcimento del danno cagionatogli dall'erroneità delle indicazioni contenute negli estratti contributivi inviati dall'Istituto, comunicati a titolo puramente informativo e contenenti l'esplicito avvertimento della possibilità di inesattezze. L'ipotesi è stata ritenuta non riconducile alla fattispecie di certificazione rilasciata a domanda dell'assicurato e sottoscritta dal funzionario responsabile di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 54, cosicchè non poteva fondare una responsabilità dell'Inps per il danno cagionato dalla inesattezza dei dati forniti (dimissioni dal posto di lavoro nel presupposto di avere diritto alla pensione di anzianità con una certa decorrenza), danno che l'interessato avrebbe potuto evitare chiedendo la prevista certificazione ai sensi di legge.
Muovendo dal rilievo che la norma di cui all'art. 54. cit. "presuppone una specifica richiesta dell'interessato, e proprio per la indicata funzione attribuita dalla legge alla comunicazione cui l'ente previdenziale è tenuto in ordine alla situazione previdenziale e pensionistica dell'assicurato", è stato osservato che "legittimamente costui fa affidamento sulla esattezza dei dati a lui forniti"; "senza specifica richiesta, quindi, si versa fuori della fattispecie prevista dalla legge" e "conformemente al dettato normativo" deve escludersi che le comunicazioni abbiano valenza certificativa (sent. cit., in motivazione).
Al riguardo, deve osservarsi che, seppure al caso in esame (al pari di quello vagliato nel richiamato precedente) non sia direttamente applicabile la L. n. 88 del 1989, art. 54, che presuppone una specifica richiesta dell'interessato diretta ad ottenere una certificazione dell'Istituto, nondimeno merita tutela l'affidamento di un iscritto all'ente previdenziale pubblico. Il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni limitandone l'attività legislativa e amministrativa (v., per recenti applicazioni in materia tributaria, Cass. n. 21513 del 2006; Cass. n. 9308 del 17 aprile 2013). Esso trova la sua base costituzionale nel principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3 Cost.).
Come osservato da questa Corte nella sentenza n. 17576 del 2002, svariate pronunce dalla Corte costituzionale e della Corte di Giustizia dell'U.E. indicano che la tutela del legittimo affidamento costituisce un principio generale tanto dell'ordinamento costituzionale interno, quanto del diritto e dell'ordinamento comunitari. Anche il Giudice amministrativo ha sempre considerato i principi della buona fede e del legittimo affidamento tra i canoni regolatori ultimi dei rapporti tra Pubblica Amministrazione ed amministrati nelle più diverse fattispecie.
Il diritto di esigere la tutela del legittimo affidamento si estende a chiunque si trovi in una situazione dalla quale risulti che l'amministrazione gli ha dato aspettative, fondate su informazioni e dichiarazioni dalla stessa rilasciate, posto che la pubblica amministrazione è tenuta a rispettare l'affidamento e l'attendibilità delle sue dichiarazioni, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost.. In particolare, la pubblica amministrazione è gravata dell'obbligo di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi indisponibili, fornendo informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative.
Informazioni di tale natura devono ritenersi non conformi a correttezza, in quanto rese da enti pubblici dotati di poteri di indagine e certificazione, nonchè incidenti su interessi al conseguimento e godimento di beni essenziali della vita, come quelli garantiti dall'art. 38 Cost..
Tale situazione ricorre in qualunque ipotesi in cui la Pubblica Amministrazione fornisce notizie o comunicazioni errate relative alla posizione di un amministrato e, dunque, pure nel caso che, sebbene non sia richiesta (e rilasciata) una vera propria certificazione L. n. 88 del 1989, ex art. 47, informazioni relative alla posizione di un assicurato siano contenute in un altro documento rilasciato dalla P.A., quale un estratto conto assicurativo.
Nè vale ad escludere la responsabilità dell'Istituto la circostanza dell'assenza di sottoscrizione dell'estratto conto, cui fa cenno la sentenza impugnata. Al riguardo è sufficiente osservare (cfr. Cass. 4297 del 1993) che gli estratti contributivi su moduli a stampa rilasciati dall'INPS sono la riproduzione di un documento elettronico e come tali non abbisognano, per spiegare i loro effetti, di alcuna sottoscrizione, per cui, ancorchè privi di firma del funzionario INPS che ne attesti la provenienza, fanno piena prova dei fatti in essi rappresentati, ossia della corrispondenza tra i dati ivi riportati e le registrazioni risultanti dagli archivi elettronici.
L'assenza di valore certificativo del documento, in quanto non emesso all'esito di un procedimento amministrativo all'uopo specificamente avviato su richiesta formale dell'interessato, non costituisce dunque causa di esonero dalla responsabilità gravante sull'INPS. Secondo la tesi dell'Istituto, nei documenti informatici si richiedeva esplicitamente la collaborazione dell'assicurato per il riscontro del corretto versamento dei contributi; la possibile presenza di errori nell'estratto conto sollecitava un controllo del destinatario della comunicazione.
In proposito, deve osservarsi che, benchè sia da escludersi in via generale che l'ordinamento imponga all'assicurato l'obbligo di verificare l'esattezza dei dati forniti dall'INPS - e dunque persistendo, in difetto di tale adempimento, il nesso causale tra erroneità delle comunicazioni e danno indotto dalle stesse, per avervi il destinatario fatto affidamento -, ben può trovare applicazione - in relazione alle circostanze del caso concreto - il principio di cui all'art. 1227 c.c., comma 2, che impone l'onere di doverosa cooperazione della parte creditrice per evitare l'aggravamento del danno indotto dal comportamento inadempiente del debitore.
In tema di risarcimento del danno da inadempimento, l'art. 1227 c.c., comma 2, nel porre la condizione della "inevitabilità", ex latere creditoris, con l'uso dell'ordinaria diligenza, non si limita a richiedere al creditore stesso un mero comportamento inerte ed omissivo di fronte all'altrui comportamento dannoso, ovvero il semplice astenersi dall'aggravare, con il fatto proprio, il pregiudizio già verificatosi, ma, secondo i principi generali di correttezza e buona fede di cui all'art. 1175 c.c., gli impone altresì una condotta attiva o positiva funzionale a limitare le conseguenze dannose del detto comportamento, dovendosi peraltro intendere ricomprese nell'ambito dell'ordinaria diligenza, all'uopo richiesta, soltanto quelle attività non gravose, non eccezionali, non comportanti rischi notevoli e/o rilevanti sacrifici (ex plurimis, tra le più recenti, Cass. n. 20684 del 2009, n. 6735 del 2005 e Cass. n. 15231 del 2007).
Resta dunque da verificare in concreto l'eventualità - prospettata dall'INPS nelle sue difese e non ancora vagliata dal giudice di merito - che l'estratto contributivo recasse espressioni tali da ingenerare nel destinatario un ragionevole dubbio circa l'esattezza e/o la definitività dei dati esposti, sì che eventuali determinazioni da questi assunte senza adeguate cautele possa rilevare ai fini di una limitazione della responsabilità dell'Istituto per concorso di colpa del soggetto creditore ex art. 1227 c.c., comma 2.
Spetterà al giudice di merito, in sede di riesame fattuale dei documenti rilasciati all'assicurato, verificare il contenuto dichiarativo dell'estratto conto assicurativo ai suddetti fini, attenendosi ai seguenti principi di diritto.
La buona fede quale criterio di comportamento opera non soltanto in rapporti obbligatori di diritto privato ma anche in quelli tra pubblici poteri e cittadini. Essa infatti esprime un principio costituzionale non scritto ma ricavato dall'art. 3 cpv. Cost., e vincola la pubblica amministrazione a rispettare, così nell'esercizio dei poteri autoritativi come nell'ambito dei rapporti contrattuali, l'affidamento e l'attendibilità delle sue dichiarazioni. Sussiste perciò l'obbligo, a carico dell'Amministrazione, di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi indisponibili, tra l'altro fornendo informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative. Queste ultime, in particolare, non sono conformi a correttezza in quanto rese da enti pubblici dotati di poteri di indagine e certificazione, nonchè incidenti su interessi al conseguimento e godimento di beni essenziali della vita, come quelli garantiti dall'art. 38 Cost..
La provvisorietà o comunque incertezza dei dati raccolti deve distogliere l'ente pubblico dal comunicarli in qualsiasi forma, fino al sollecito perfezionamento dei necessari accertamenti.
Il cittadino, che riceve un danno ingiusto da dichiarazioni non veritiere rese da una pubblica amministrazione, deve essere risarcito in misura diminuita ai sensi dell'art. 1227 cpv. c.c., qualora abbia trascurato le espressioni cautelative usate dalla medesima e idonee a far dubitare dell'esattezza dei dati esposti.
Per tali motivi, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione, che si pronuncerà anche sulle spese relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2013.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2013

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