DIRITTO PENALE. L'uso privato del telefono dell'ufficio: reato di peculato per "appropriazione"? Cass. pen. 10 gennaio 2011 n. 256.



 L’uso privato del telefono dell’ufficio da parte di un dipendente della P.A. configura sempre e comunque il reato di peculato per “appropriazione” di cui al all’art. 314, comma I, c.p.?

In primis occorre evidenziare il principio, ormai consolidato, che allorchè il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, disponendo, per ragione dell'ufficio o del servizio, dell'utenza telefonica intestata all'Amministrazione, la utilizzi per effettuare chiamate di interesse personale, il fatto lesivo si sostanzia propriamente nella "appropriazione", che attraverso tale uso si consegue, delle energie, formate da impulsi elettronici, entrate a far parte della sfera di disponibilità della pubblica amministrazione, occorrenti per le conversazioni telefoniche.
L'oggetto giuridico del delitto di peculato si identifica con la tutela del patrimonio della pubblica amministrazione da quanti sottraggano o pongano a profitto proprio o di altri denaro o cose mobili, rientranti nella sfera pubblica, di cui sono in possesso per ragione del loro ufficio o servizio.
La norma penale presuppone, quindi, che le cose oggetto di peculato abbiano un valore economico, per cui il reato non sussiste nel caso in cui, non soltanto esse ne siano prive, ma anche là dove abbiano valore di tale modesta entità da non arrecare alcuna lesione all'integrità patrimoniale della pubblica amministrazione.
Pertanto affinchè sia integrato l’elemento materiale del reato di peculato, la condotta di abusiva appropriazione deve avere ad oggetto cose di valore economico intrinseco apprezzabile e tali da arrecare un reale e altrettanto apprezzabile danno patrimoniale per la pubblica amministrazione.
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Cass. pen. 10.01.2011, n. 256.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 10 maggio 2010, la Corte di appello di Catania, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale della stessa città che aveva ritenuto […] colpevole del reato di peculato continuato, riduceva la pena inflittagli ad anni uno e mesi quattro di reclusione, confermando nel resto.
In motivazione, la Corte di appello aveva disatteso la tesi sostenuta dall'imputato, sottufficiale appartenete all'arma dei carabinieri, secondo cui la condotta contestatagli, consistita nell'uso delle utenze telefoniche d'ufficio per effettuare numerose telefonate private, potesse integrare il reato di abuso d'ufficio o di peculato d'uso.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione il difensore fiduciario dell'imputato, deducendo l'erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione sulla configurabilità del reato di peculato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.
E' principio oramai consolidato che - allorchè il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, disponendo, per ragione dell'ufficio o del servizio, dell'utenza telefonica intestata all'Amministrazione, la utilizzi per effettuare chiamate di interesse personale - il fatto lesivo si sostanzia propriamente nella "appropriazione", che attraverso tale uso si consegue, delle energie, formate da impulsi elettronici, entrate a far parte della sfera di disponibilità della pubblica amministrazione, occorrenti per le conversazioni telefoniche (da ultimo, Sez. 6, n. 26595 del 06/02/2009, dep. 26/06/2009, Torre, Rv. 244458). Pertanto, correttamente le condotte contestate all'imputato sono state considerate ai fini della configurabilità del delitto di peculato per "appropriazione" di cui all'art. 314 c.p., comma 1.
Peraltro, il valore economico della "cosa" sottratta, se non ha rilievo per la configurabilità delle fattispecie meno gravi di abuso d'ufficio o di peculato d'uso, acquista decisiva importanza ai fini della sussistenza dell'elemento materiale del reato di peculato.
Invero, la fattispecie del peculato de qua integra un reato plurioffensivo, in quanto configura, da un lato, un delitto di abuso della situazione giuridica di cui il soggetto è titolare e, dall'altro, un delitto contro il patrimonio pubblico e così volto a tutelarne la sua integrità economica e la sua destinazione pubblicistica. Nel rapporto tra i due interessi tutelati quello cui dare prevalenza, anche in considerazione degli elementi costituitivi della fattispecie de qua, non può che essere il pubblico patrimonio, in quanto il peculato si realizza con l'appropriazione a proprio profitto e per finalità diverse da quelle d'ufficio di un bene economico rientrante nella sfera pubblica. Pertanto, l'oggetto giuridico del delitto di peculato si identifica con la tutela del patrimonio della pubblica amministrazione da quanti sottraggano o pongano a profitto proprio o di altri denaro o cose mobili, rientranti nella sfera pubblica, di cui sono in possesso per ragione del loro ufficio o servizio.
La norma penale presuppone, quindi, che le cose oggetto di peculato abbiano un valore economico, per cui il reato non sussiste nel caso in cui, non soltanto esse ne siano prive, ma anche là dove abbiano valore di tale modesta entità da non arrecare alcuna lesione all'integrità patrimoniale della pubblica amministrazione.
Quanto si è posto in risalto comporta che, per il delitto di cui all'art. 314 c.p., comma 1, l'elemento materiale è integrato allorchè la condotta di abusiva appropriazione abbia avuto a oggetto cose di valore economico intrinseco apprezzabile e tali da arrecare un reale e altrettanto apprezzabile danno patrimoniale per la pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 25273 del 09/05/2006, dep. 20/07/2006, Montana, Rv. 234838), Valore economico su cui, nel caso in esame, ha posto l'accento - senza peraltro determinarlo - il giudice di primo grado, per affermarne soltanto la "modesta entità", mentre è stato del tutto trascurato dalla Corte d'appello che ha ritenuto di considerare soltanto il numero di telefonate.
2. Per tali considerazioni, la sentenza impugnata deve essere annullata e rinviata al giudice d'appello per nuovo esame sul punto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte d'appello di Catania per nuovo giudizio.

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