Il commercialista omette la presentazione delle dichiarazioni fiscali del cliente: è truffa?

Il professionista che pone in essere una serie di artifizi e raggiri al fine di celare al cliente una propria inadempienza commette il reato di truffa?



LA NOTA
 Il professionista che pone in essere una serie di artifizi e raggiri al fine di celare al cliente una propria inadempienza commette il reato di truffa. Ad affermarlo è la Cassazione nella sentenza n. 49472 del 2014, nella quale viene fornita una interessante ed esaustiva analisi sulla corretta qualificazione giuridica della condotta si un professionista inadempiente nei confronti del cliente.
Il caso è quello di un commercialista che, avendo il mandato professionale di consulenza fiscale e tributaria, in costanza del rapporto ometteva di presentare le dichiarazioni fiscali del cliente. Successivamente compieva anche una serie di artifizi e raggiri finalizzate a tenere nascoste tali inadempienze al cliente, il quale gli rinnovava la fiducia ed il mandato professionale.
Il professionista tra i motivi di ricorso in cassazione sosteneva che tali condotte non fossero qualificabili come truffa - in quanto mancherebbe l'ingiusto profitto non potendo essere considerata la modesta somma di Euro 1.735,00 corrisposta, nel corso degli anni, per la sola consulenza fiscale e tributaria di volta in volta richieste - ma al limite   
come semplice inadempimento di natura civilistica.
Tale assunto non è condiviso dalla Suprema Corte, la quale in materia di truffa contrattuale riafferma nuovamente che il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l'altra parte, con condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l'elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all'art. 640 c.p.
Né può essere elemento in difesa del professionista l’aver incassato una somma esigua, in quanto secondo i giudici di piazza Cavour l’ingiusto profitto era consistito proprio nel fatto che il cliente continuando a fidarsi delle rassicurazioni ingannevoli del professionista, gli aveva rinnovato il mandato professionale e, quindi, continuò a corrispondergli il compenso pagarlo.
Per la Corte quindi il professionista che, per nascondere una propria inadempienza, compia artifizi e raggiri nei confronti del cliente, che, quindi, all'oscuro dell'inadempienza, gli rinnovi il mandato professionale continuando a retribuirlo, commette il reato di truffa contrattuale nel corso dell'esecuzione del contratto di prestazione d'opera intellettuale. L'ingiusto profitto deve essere individuato nel rinnovo del mandato professionale e nella percezione del relativo compenso, rinnovo che non sarebbe avvenuto ove il cliente fosse stato messo a conoscenza della inadempienza in cui il professionista era incorso.

 

LA SENTENZA

Cass. pen. 49472 del 11 novembre 2014

FATTO

1. Con sentenza del 21/11/2013, la Corte di Appello di Caltanissetta confermava la sentenza con la quale, in data 04/10/2011, il giudice monocratico del Tribunale della medesima città aveva ritenuto A.U.P. colpevole del reato di truffa aggravata nei confronti di B.C. per avere, in costanza di rapporto di consulenza fiscale e contabile, omesso di presentare dichiarazioni fiscali del suddetto B., fornendogli, con artifizi e raggiri, garanzie sulla corretta tenuta della contabilità e degli adempimenti fiscali procurandosi l'ingiusto profitto della percezione, per l'attività fittizia svolta, della somma di Euro 1.735,00.

2. Avverso la suddetta sentenza, l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

2.1. violazione dell'art. 640 c.p.: il ricorrente sostiene che, nel fatto addebitatogli, sarebbe ravvisabile solo un inadempimento di natura civilistica e non anche il reato di truffa in quanto mancherebbe l'ingiusto profitto tale non potendo essere considerato la modesta somma di Euro 1.735,00 corrisposta, nel corso degli anni, per la sola consulenza fiscale e tributaria di volta in volta richieste: "in altri termini non risulta in alcun modo che l' A. abbia percepito somme diverse da quelle strettamente professionali, per la tenuta della contabilità fiscale - tributaria".

2.2. violazione dell'art. 157 c.p., il ricorrente sostiene che, comunque, il reato si sarebbe prescritto in quanto la notifica dell'ultima cartella di pagamento era avvenuta nel 2002;

2.3. violazione dell'art. 133 c.p., per avere la Corte ritenuto congrua la pena inflitta dal primo giudice.

DIRITTO

1. violazione dell'art. 640 c.p.: la censura è manifestamente infondata. Sono pacifici i seguenti fatti:

a) l'imputato era legato al B. da un contratto di prestazione d'opera intellettuale (ex art. 2230 c.c.) avente ad oggetto la tenuta della documentazione contabile e fiscale della ditta di cui era titolare il B., nonchè la compilazione e presentazione delle dichiarazioni fiscali. L'imputato, in questa sede, ha sostenuto che egli ricevette somme di denaro solo per la tenuta della contabilità fiscale - tributaria. Tuttavia, si tratta di una censura di merito del tutto apodittica che risulta smentita in modo categorico da entrambi i giudici di merito (cfr, in particolare, la sentenza di primo grado) e che non risulta neppure coltivata con i motivi di appello. Infatti, con il primo motivo di appello, l'imputato ammise di non avere presentato le dichiarazioni dei redditi riconoscendo la gravità del fatto. L'imputato si difese sostenendo che non aveva conseguito un ingiusto profitto "in quanto si è sempre occupato anche della predisposizione delle dichiarazioni dei redditi e di altri profili della contabilità del soggetto interessato, comunque da retribuire": cfr primo motivo di appello;

b) per la suddetta prestazione professionale, l'imputato riceveva un determinato compenso consistente in una somma di denaro o in compensazioni con le riparazioni che il B. effettuava alla di lui autovettura;

c) l'imputato non presentò alcuna dichiarazione fiscale (cagionando, quindi, al B., notevoli danni) e, ciononostante celò, con artifizi e raggiri (descritti analiticamente nel capo d'imputazione e, soprattutto, nella sentenza di primo grado), la sua inadempienza al B. continuando, quindi, a rimanere consulente finchè, alla fine, l'inadempienza venne scoperta. La fattispecie in esame, come correttamente ritenuto da entrambi i giudici di merito, va qualificata come truffa contrattuale consumata nel corso dell'esecuzione contrattuale. Questa Corte di legittimità, infatti, ha ripetutamente ritenuto che "in materia di truffa contrattuale il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l'altra parte, con condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l'elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all'art. 640 c.p.": explurimis Cass. 41073/2004 Rv. 230689.

Il ricorrente, come si è detto, articola la sua difesa su due piani:

a) non vi sarebbe la prova che egli era stato pagato anche per la presentazione delle dichiarazioni fiscali;

b) non sarebbe configurabile alcun ingiusto profitto (elemento materiale essenziale per la configurabilità del reato di truffa) tale non potendo essere considerato la modesta somma di Euro 1.735,00 corrisposta, nel corso degli anni, per tutta l'attività di consulenza prestata. La censura, nei termini in cui è stata dedotta, è mal posta e fuorviante. La censura sub a), come si è già detto, è inammissibile, trattandosi di censura in fatto, nuova e, comunque, non coltivata neppure in appello. La doglianza sub b), una volta ritenuto - così come stabilito da entrambi i giudici di merito - che, nel contratto di prestazione professionale era compresa anche la compilazione e presentazione delle dichiarazioni fiscali, è fuorviante perchè il ricorrente non considera che l'ingiusto profitto che trasse dalla condotta truffaldina (artifizi e raggiri) consistette proprio nel fatto che il B., continuando a fidarsi delle rassicurazioni ingannevoli dell'imputato, gli rinnovò il mandato professionale e, quindi, continuò a pagarlo (poco o molto, è irrilevante ai fini della configurabilità del delitto): la qual cosa non avrebbe di certo fatto se l'imputato, lealmente, avesse ammesso la negligenza professionale e l'inadempimento in cui era incorso. Ed è proprio per tale motivo che il ricorrente correttamente è stato ritenuto colpevole del reato di truffa contrattuale perchè, ove gli artifizi e raggiri fossero stati effettuati al solo fine di celare al cliente il danno che era stato provocato dalla negligente condotta, la truffa non sarebbe stata ipotizzabile: ex plurimis Cass. 17106/2011 Rv. 250250. La censura, va, quindi, disattesa alla stregua del seguente principio di diritto: "il professionista che, per nascondere una propria inadempienza, compia artifizi e raggiri nei confronti del cliente, che, quindi, all'oscuro dell'inadempienza, gli rinnovi il mandato professionale continuando a retribuirlo, commette il reato di truffa contrattuale nel corso dell'esecuzione del contratto di prestazione d'opera intellettuale. L'ingiusto profitto va individuato nel rinnovo del mandato professionale e nella percezione del relativo compenso, rinnovo che non sarebbe avvenuto ove il cliente fosse stato messo a conoscenza della inadempienza in cui il professionista era incorso".

2. violazione dell'art. 157 c.p.: la censura è generica e fuorviante nei termini in cui è stata dedotta. Il ricorrente, infatti, sostiene che il dies a quo dal quale far decorrere il termine ultimo per la prescrizione coincide con la notifica dell'ultima cartella di pagamento avvenuta nel 2002 perchè in tale data si sarebbe verificato l'effetto della truffa. Al che deve replicarsi che il ricorrente confonde il danno subito dal B. a seguito della sua inadempienza (accertamenti fiscali per notevoli importi) con la consumazione del reato di truffa. Invero, come questa Corte ha reiteratamente statuito, il reato di truffa contrattuale si consuma nel momento in cui si realizza il conseguimento del bene da parte dell'agente con la conseguente perdita dello stesso da parte della persona offesa (ex plurimis: Cass. 20025/2011 Rv. 250358; Cass. 49932/2012 Rv. 254110): il che, nella fattispecie in esame, corrisponde all'ultima retribuzione percepita dall'imputato ovvero nel momento in cui il B. risolse il contratto una volta che scoprì l'inadempienza di cui l'imputato si era reso colpevole. Sul punto, l'imputato nulla ha dedotto, nè alcunchè si desume da entrambe le sentenze di merito. L'unico dato utile risulta dal capo d'imputazione che ferma la condotta fraudolenta all'anno 2006. La declaratoria di inammissibilità preclude la rilevabilità della prescrizione in applicazione del principio di diritto secondo il quale "l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p.": ex plurimis SSUU 22/11/2000, De Luca, Riv 217266 - Cass. 4/10/2007, Impero. Stessa regola vale nell'ipotesi in cui, in ipotesi, la prescrizione fosse maturata prima dell'impugnata sentenza, dovendosi ribadire il principio secondo il quale "l'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., l'estinzione del reato per prescrizione, pur maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello, ma non dedotta nè rilevata da quel giudice": SSUU 23428/2005 riv 231164; Cass. 6693/2014 riv 259205; Cass. 25807/2014 riv 259202. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

PQM

DICHIARA inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2014

LA MASSIMA

Il professionista che, per nascondere una propria inadempienza, compia artifizi e raggiri nei confronti del cliente, che, quindi, all'oscuro dell'inadempienza, gli rinnovi il mandato professionale continuando a retribuirlo, commette il reato di truffa contrattuale nel corso dell'esecuzione del contratto di prestazione d'opera intellettuale. L'ingiusto profitto va individuato nel rinnovo del mandato professionale e nella percezione del relativo compenso, rinnovo che non sarebbe avvenuto ove il cliente fosse stato messo a conoscenza della inadempienza in cui il professionista era incorso. Cass. pen. 49472 del 11 novembre 2014 (dep. Il 27.11.2014)

CONSULTA ANCHE:

- DIRITTO PENALE. Il reato di truffa aggravata nella timbratura del cartellino del dipendente pubblico. Cass. pen. 4 gennaio 2011 n. 38.

- DIRITTO PENALE. Esercizio abusivo della professione medica: quando scatta la truffa? Cass. pen. 9 febbraio 2011 n. 4641.

- DIRITTO PENALE. Esposizione del contrassegno per invalidi: reati di sostituzione di persona e truffa? Cass. pen. 17 giugno 2011 n. 24454.

- DIRITTO PENALE. Mandato di arresto europeo, truffa continuata e siti internet fantasma. Cass. n. 18428 del 30 aprile 2014.

Fai una domanda