Una prima valutazione del DPCM per contenere l'edipemia da COVID-19.



A cura dell'Avv. Augusto Careni

Propongo un articolo sul Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’8 marzo 2020 e che prevede una serie di misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19.

Questo breve scritto si incentrerà esclusivamente sull’art. 1 del DPCM in quanto è certamente l’articolo che maggiormente ha suscitato polemiche e contestazioni da diversi settori della vita pubblica e privata.

Da una prima lettura l’art. 1 del DPCM non è esente da lacune e diversi incisi possono lasciare aperte varie interpretazioni sulla corretta applicazione delle misure adottate.

L’art. 1 recita: “Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 […] sono adottate le seguenti misure:

  1. evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché' all'interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”.

La lettera a) dell’art. 1 indica il termine “evitare” ogni spostamento, ma il termine evitare non indica il divieto di spostamento al di fuori del territorio oggetto del decreto, è invece evidentemente da intendersi come un invito o una scelta preferibile ma comunque lasciata al senso civico del cittadino.

La lettera a) prosegue prevedendo “salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute”.

Cosa deve intendersi per “spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative”?

Anche qui rimane ampia incertezza, si possono comprovare le esigenze lavorative esibendo un contratto di lavoro? Un semplice appuntamento scritto in agenda o un accordo verbale per incontrare altre persone? Un colloquio di lavoro? E tante altre ipotesi che potrebbero rientrare tra i validi motivi per lo spostamento.

Si parla inoltre di “situazioni di necessità” che da una interpretazione letterale del testo non devono neanche essere comprovate, per cui ogni individuo potrebbe liberamente dichiarare le più disparate necessità che molto difficilmente potrebbero essere contestate dall’autorità preposta al controllo, ciò proprio a causa della genericità e della soggettività delle situazioni dichiarabili.

Anche gli spostamenti “per motivi di salute” non devono essere comprovati stando ad una interpretazione letterale del testo, quindi in sostanza non viene richiesta alcuna documentazione o certificazione medico-sanitaria attestante i motivi di salute che impongano uno spostamento.

Non viene posto inoltre alcun divieto di spostamento neanche per i soggetti con “sintomatologia da infezione respiratoria e febbre (maggiore di 37,5° C)”, in quanto in questo caso è “solo” “fortemente raccomandato di rimanere presso il proprio domicilio e limitare al massimo i contatti sociali, contattando il proprio medico curante”.

L’unico effettivo divieto posto dal decreto è in relazione ai “soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus” i quali non possono spostarsi dalla propria abitazione o dimora.

Dunque, diversamente da quanto si è letto in questi giorni sulla stampa e sugli organi di informazione, il governo non ha adottato alcuna misura restrittiva assoluta per la regione Lombardia e per le province espressamente indicate nel decreto, se non per gli individui già affetti dal virus o sottoposti alla misura della quarantena.

Ciò in parte spiega anche l’indignazione del Presidente del Consiglio sulla circolazione della bozza del decreto prima che venisse firmato e quindi divenisse definitivo, in quanto ciò ha creato un ingiustificato allarmismo e la preoccupazione del tutto ingiustificata di non poter spostarsi dai territori direttamente interessati dal decreto.

Al di la di queste considerazioni resta il fatto che l’art. 1 avrebbe potuto essere impostato in modo diverso, prevedendo probabilmente obblighi e soprattutto divieti di spostamento molto più stringenti che forse avrebbero contrastato in modo più incisivo il diffondersi dell’epidemia. Non è chiaro infatti perché si sia optato per un “invito” piuttosto che ad un “divieto” di spostamento, rimettendo in sostanza al senso civico e di solidarietà del singolo scelte delle quali, in un momento di estrema gravità ed urgenza, dovrebbe farsi carico lo stato con norme chiare e stringenti che non debbano lasciare spazi di interpretazione.

Non mancheranno certamente casi nel corso del periodo di validità del decreto in cui le forze di polizia, tenute a monitorare l’esecuzione delle misure previste dall’art. 1, si troveranno ad interpretare questa o quella motivazione addotta dal singolo a giustificazione del proprio spostamento, interpretazione che evidentemente stando al testo del decreto non potrà che essere estremamente larga ed includente ogni necessità indicata dal singolo.

Non può infatti chiedersi alle forze di polizia di valutare se le motivazioni di carattere lavorativo, medico o personale alla base degli spostamenti siano rientranti tra quelle previste nel decreto, ciò in quanto le forze di polizia non hanno “competenze” tecnico-scientifiche e perché in generale rivestono una qualifica “esecutiva” e non di valutazione-interpretazione che invece è rimessa ad altre autorità.

Stringenti obblighi non sarebbero necessari se ogni singolo cittadino si sentisse parte di un popolo e non di una massa: il senso civico di ognuno e l'appartenenza allo Stato-comunità basterebbero per evitare ogni spostamento "non necessario". 

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