Art. 28 Codice Penale. Interdizione dai pubblici uffici.

28. Interdizione dai pubblici uffici.

L'interdizione dai pubblici uffici [c.p. 19, n. 1] è perpetua o temporanea [c.p. 29, 37, 79; c.p.p. 662].

L'interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che dalla legge sia altrimenti disposto, priva il condannato:

1. del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico;

2. di ogni pubblico ufficio, di ogni incarico non obbligatorio di pubblico servizio, e della qualità ad essi inerente di pubblico ufficiale [c.p. 357] o d'incaricato di pubblico servizio [c.p. 358];

3. dell'ufficio di tutore [c.c. 346] o di curatore [c.c. 392], anche provvisorio, e di ogni altro ufficio attinente alla tutela o alla cura [c.c. 350, 355, 393; c.p. 541, 564, 569];

4. dei gradi e delle dignità accademiche, dei titoli, delle decorazioni o di altre pubbliche insegne onorifiche;

5. degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro ente pubblico (1);

6. di ogni diritto onorifico, inerente a qualunque degli uffici, servizi, gradi o titoli e delle qualità, dignità e decorazioni indicati nei numeri precedenti;

7. della capacità di assumere o di acquistare qualsiasi diritto, ufficio, servizio, qualità, grado, titolo, dignità, decorazione e insegna onorifica, indicati nei numeri precedenti.

L'interdizione temporanea priva il condannato della capacità di acquistare o di esercitare o di godere, durante l'interdizione, i predetti diritti, uffici, servizi, qualità, gradi, titoli e onorificenze.

Essa non può avere una durata inferiore a un anno, né superiore a cinque [c.p. 79] (2).

La legge determina i casi nei quali l'interdizione dai pubblici uffici è limitata ad alcuni di questi [c.p. 98, 512] (3).

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(1) La Corte costituzionale, con sentenza 7-13 gennaio 1966, n. 3 (Gazz. Uff. 15 gennaio 1966, n. 12), ha dichiarato, fra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, secondo comma, n. 5, c.p., limitatamente alla parte in cui i diritti in esso previsti traggono titolo da un rapporto di lavoro; inoltre, a norma dell'art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del terzo comma dello stesso art. 28 c.p., nei limiti di cui sopra e, con sentenza 2-19 luglio 1968, n. 113 (Gazz. Uff. 20 luglio 1968, n. 184), ha dichiarato, fra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, secondo comma, n. 5, c.p., per quanto attiene alle pensioni di guerra. A seguito della prima delle due sentenze della Corte costituzionale, ora citate, è stata emanata la L. 8 giugno 1966, n. 424, che abroga norme che prevedono la perdita, la riduzione o la sospensione delle pensioni a carico dello Stato o di altro ente pubblico.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 7-13 gennaio 1966, n. 3 (Gazz. Uff. 15 gennaio 1966, n. 12), ha dichiarato, fra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, secondo comma, n. 5, c.p., limitatamente alla parte in cui i diritti in esso previsti traggono titolo da un rapporto di lavoro; inoltre, a norma dell'art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del terzo comma dello stesso art. 28 c.p., nei limiti di cui sopra e, con sentenza 2-19 luglio 1968, n. 113 (Gazz. Uff. 20 luglio 1968, n. 184), ha dichiarato, fra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, secondo comma, n. 5, c.p., per quanto attiene alle pensioni di guerra. A seguito della prima delle due sentenze della Corte costituzionale, ora citate, è stata emanata la L. 8 giugno 1966, n. 424, che abroga norme che prevedono la perdita, la riduzione o la sospensione delle pensioni a carico dello Stato o di altro ente pubblico.

(3) Vedi l'art. 42, R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, sull'ordinamento forense.