SUCCESSIONE DELLE LEGGI PENALI

Il fenomeno della successione delle leggi penali nel tempo è disciplinato dall'art. 2, c.p., che si applica tutte le volte in cui il legislatore non provvede a dettare una disciplina transitoria finalizzata a regolare il passaggio tra la vecchia e la nuova disciplina. Nel rispetto del principio di irretroattività (art. 11, disp. prel. c.c.; art. 25, comma II, Cost.), l'art. 2, c.p. dispone che: "nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato (comma I). Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano la esecuzione e gli effetti penali (comma II). Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'articolo 135 (comma III). Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (comma IV). Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti (comma V). Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge e nei casi di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti (comma VI)". Riguardo a quest'ultimo comma, però, la Corte costituzionale, con sentenza n. 51 del 19.2.1985, ha dichiarato la sua illegittimità costituzionale, nella parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste, le disposizioni contenute nel secondo e terzo comma del presente articolo.