DIRITTO AMMINISTRATIVO. Interventi lesivi sul piano dell'impatto ambientale, legittimazione dei singoli e criterio della vicinitas. Cons. St. n. 1979 del 31 marzo 2011.



Sulla scia di recente orientamento giurisprudenziale  (Cfr. Cons. St. sez. V, 26 febbraio 2010 n. 1134), la sentenza in esame relativa a fattispecie di interventi asseritamente lesivi sul piano dell’impatto ambientale, evidenzia  che il criterio della vicinitas costituisce la base del riconoscimento della legittimazione dei singoli che agiscano a tutela del bene ambiente e, in particolare, a tutela di interessi incisi da atti che li ledono direttamente e personalmente, unitamente all’intera collettività che insiste sul territorio (cfr. Cons. St., Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3849); vicinitas cui va però attributo il senso non di stretta contiguità, bensì di stabile e significativo collegamento, da indagare caso per caso, del ricorrente con la zona il cui ambiente si intende proteggere (cfr. Cons. St., Sez. VI, 27 marzo 2003, n. 1600).

"La distanza da 600 a 2000 metri non sia di ostacolo alla configurazione della ripetuta situazione di vicinitas, intesa nel significato predetto, avuto riguardo alla natura ed alla potenzialità dell’impianto autorizzato con gli atti regionali impugnati in primo grado, in particolare all’enorme quantità ed eterogeneità dei rifiuti di cui si consente lo smaltimento o il recupero (1.705.960 t/a) e di quelli da stoccare. In altri termini, tanto basta a qualificare e differenziare la posizione giuridica soggettiva dei ricorrenti in primo grado ed il loro interesse a far valere l’illegittimità dell’autorizzazione alla installazione ed al funzionamento dell’impianto di cui trattasi a tutela dell’integrità delle proprie attività, siano esse agricole o zootecniche, anche con connotati industriali, svolte sui fondi di pertinenza”.
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Cons. St. n. 1979 del 31 marzo 2011.
1. Con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno accolto, ai fini in questa sede rilevante, i ricorsi n. 121/2009, 128/2009, 169/2009 ed i motivi aggiunti al ricorso n. 24/2009 relativi agli atti della procedura culminata nel rilascio, in favore della Dafin s.p.a., dell’autorizzazione unica, ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003, per la realizzazione e l’esercizio in zona industriale P.i.p. del Comune di M. di una Centrale per la produzione di energia elettrica a vapore (o Centrale termoelettrica) della potenza termica di 49,9 MWt e della potenza elettrica di 12 MWe, alimentata a biomasse.
La D. appella contestando gli argomenti posti a fondamento del decisum di prime cure.
Resistono le parti originariamente ricorrenti.
Si sono costituite in giudizio le parti in epigrafe specificate.
Le parti hanno affidato al deposito di apposite memorie l’ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.
All’udienza del 25 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. Vanno preliminarmente esaminati i motivi di appello con cui si ripropongono molteplici questioni afferenti alla ricevibilità , all’ammissibilità ed alla procedibilità dei ricorsi accolti con la sentenza gravata.
2.1. Devono in primo luogo essere respinte, alla stregua delle considerazioni che seguono, le eccezioni volte a contestare la tardività della notifica e del deposito dei motivi aggiunti al ricorso 24/2009, e del ricorso n. 128/2009:
a)la notifica di entrambi i gravami si appalesa tempestiva considerando quale dies a quo, in conformità al dettato del comma 1 dell’art. 21 della legge n. 1034/1971 ed a costante indirizzo giurisprudenziale, la scadenza del termine di pubblicazione della delibera comunale mediante affissione all’albo pretorio;
b)nella specie, in ogni caso, l’effetto lesivo si è concretamente prodotto solo con la definizione del procedimento amministrativo con il rilascio dell’autorizzazione unica ex art- 12 del d.lgs n. 387/2003;
c)anche i depositi dei due ricorsi risultano tempestivi in applicazione del consolidato indirizzo interpretativo che, in ossequio ai principi fissati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale in subiecta materia, computa il decorso il termine per il deposito del ricorso dalla data della consegna del plico al destinatario mentre il momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario rileva ai soli fini della valutazione della tempestività del ricorso;
d)vista la ricevibilità e l’ammissibilità dei motivi aggiunti al ricorso n. 24/2009, non si ravvisa la sussistenza, in capo all’appellante, dell’interesse a dedurre la violazione del principio del ne bis in idem dedotta con riferimento al ricorso n. 128/2009 ;
e)attesa l’ammissibilità e la ricevibilità dei motivi aggiunti al ricorso n. 24/2009 e del ricorso n. 128/2009, con cui è stata impugnata la delibera del Consiglio comunale n. 25/2008, risulta infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso n. 169/2009 formulata in ragione dell’omessa impugnazione di determinati atti connessi e presupposti, con particolare riguardo alla citata deliberazione consiliare.
2.2. Vanno respinte anche le censure con cui si deduce la carenza di legittimazione attiva e la carenza di interesse in capo ai ricorrenti B.T. ed E.S..
Secondo la recente e condivisibile giurisprudenza della Sezione (Cons. Stato, sez. V 26 febbraio 2010, n. 1134), relativa proprio a fattispecie di interventi asseritamente lesivi sul piano dell’impatto ambientale, il criterio della vicinitas costituisce la base del riconoscimento della legittimazione dei singoli che agiscano a tutela del bene ambiente e, in particolare, a tutela di interessi incisi da atti che li ledono direttamente e personalmente, unitamente all’intera collettività che insiste sul territorio (cfr. Cons. St., Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3849); vicinitas cui va però attributo il senso non di stretta contiguità, bensì di stabile e significativo collegamento, da indagare caso per caso, del ricorrente con la zona il cui ambiente si intende proteggere (cfr. Cons. St., Sez. VI, 27 marzo 2003, n. 1600).
Nel caso esaminato da questa Sezione con la citata decisione n. 1134/2010 si è ritenuto che la “distanza da 600 a 2000 metri non sia di ostacolo alla configurazione della ripetuta situazione di vicinitas, intesa nel significato predetto, avuto riguardo alla natura ed alla potenzialità dell’impianto autorizzato con gli atti regionali impugnati in primo grado, in particolare all’enorme quantità ed eterogeneità dei rifiuti di cui si consente lo smaltimento o il recupero (1.705.960 t/a) e di quelli da stoccare. In altri termini, tanto basta a qualificare e differenziare la posizione giuridica soggettiva dei ricorrenti in primo grado ed il loro interesse a far valere l’illegittimità dell’autorizzazione alla installazione ed al funzionamento dell’impianto di cui trattasi a tutela dell’integrità delle proprie attività, siano esse agricole o zootecniche, anche con connotati industriali, svolte sui fondi di pertinenza”.
Nella specie, tale situazione di stabile e significativo collegamento con l’area destinata alla realizzazione dell’impianto progetto risulta apprezzabile con riguardo ad entrambi i citati ricorrenti in prime cure.
Si deve, infatti, convenire con i Primi Giudici che tali soggetti, nella veste di proprietario di terreni limitrofi a quelli interessati dall’intervento e di titolare di un’attività commerciale a distanza di poche centinaia di metri dal sito dell’insediamento progettato, risultano titolari di posizioni differenziate e qualificate in ragione di un rapporto di vicinitas che necessita di positiva valutazione in relazione alla dimensioni ed all’impatto dell’intervento nonché all’incidenza potenziale dell’intervento medesimo sui valori urbanistici, sull’integrità ambientale e sugli interessi strettamente economici. Va poi osservato, quanto alla posizione del ricorrente T.B., che sussiste in capo allo stesso uno specifico interesse a contestare la costruzione, in prossimità del fondo di sua proprietà, di un imponente impianto di produzione di energia da fonti alternative.
Va soggiunto che il riconoscimento della legittimazione e dell’interesse di detti soggetti privati è idoneo a sorreggere, sul piano dell’ammissibilità, tutti i ricorsi accolti con la sentenza appellata, sì da consentire al Collegio di non approfondire le questioni relative alla sussistenza di idonea posizione legittimante in capo al Codacons ed all’associazione M. Viva.
2.3. Deve essere infine respinto, per terminare lo scrutinio delle questioni preliminari, il motivo d’appello con cui si deduce l’inammissibilità, per mancata notifica a tutte le amministrazioni resistenti, del ricorso n. 169/2009. Si deve, infatti, osservare che il provvedimento oggetto di gravame e produttivo della lesione lamentata è solo l’autorizzazione regionale resa all’esito del procedimento unitario, con la conseguenza che, in ossequio a pacifica giurisprudenza,deve ritenersi non necessaria la notifica nei confronti degli enti che hanno adottato atti di natura endoprocedimentale e, comunque, determinazioni non interessate da specifiche censure in relazione ai profili di lesione lamentati. (cfr., ex multis, : Cons. Stato IV, 2.5.2007, n. 129) . Va poi osservato, quanto alla delibera 25/2008, che essa risulta autonomamente impugnata con i motivi aggiunti al ricorso n. 24/2009 e con il ricorso n.- 128/2009.
3. Si può ora passare all’esame dei motivi che attengono al merito della controversia.
3.1. Va in primo luogo respinto il motivo con cui si contesta l’accoglimento delle censure proposte in prime cure all’indirizzo della delibera n. 25/2008 del Consiglio Comunale.
Dall’esame degli atti di causa si evince, infatti, che detta delibera di C.C. 25/2008 introduce, nella forma dell’interpretazione della disciplina urbanistica, una variante sostanziale delle Norme tecniche di attuazione della zona D del Piano di insediamenti produttivi del Comune di M. laddove consente la realizzazione di un impianto di produzione termoelettrica alto fino a 40 metri in area (Artigianato e piccola industria), per la quale è ammesso solo l’insediamento di fabbricati artigianali di altezza massima non superiore a otto metri.
L’appellante evidenzia che la pagina 8 delle N.t.a. , dopo avere fissato, per la zona D, un limite massimo di altezza dei fabbricati nell’area artigianale pari a otto metri, .prevede tuttavia che <<sono consentite altezze diverse per tipologie particolari (silos, etc.)>>.Si deve, tuttavia, convenire con il Primo Giudice che, sulla scorta di un’interpretazione teleologica della prescrizione, detta eccezione non può essere dilatata fino al punto da consentire la realizzazione, in un’area di piccoli opifici artigianali alti al massimo otto metri, di un edificio completamente eterogeneo sul in versante sostanziale e strutturale, ossia un impianto di produzione termoelettrica, che non è un piccolo opificio ma una struttura voluminosa alta fino a 40 metri. Merita, in particolare, condivisione l’assunto centrale che sorregge la sentenza appellata, ossia l’osservazione che il riferimento esemplificativo ai silos richiama strutture che non fanno parte della sagoma del fabbricato, ma si aggiungono ad esso, come silos, ciminiere, torri e similari volumi tecnici e non è estensibile, in assenza di una rituale variante, al progettato impianto a biomasse, che non è una pertinenza, né un volume tecnico, ma un fabbricato che supera gli otto metri di altezza (50 metri il camino, 40 metri la copertura caldaia, 31 metri l’edificio), come tale incidente sul piano degli standards e delle opere di urbanizzazione.
Va infine osservato che non assume rilievo, con riferimento all’area in esame, la previsione dettata dall’art. 12, comma 7, del d.lgs n. 387/2003 in ordine alla localizzabilità degli impianti in esame in zona agricola; e che, in ogni caso, muovendo dal non corretto presupposto della non necessità di una variante, l’autorizzazione unica non è stata supportata dalle indagini e dalle valutazioni necessarie ai fini della produzione dell’effetto di variante urbanistica ai sensi del comma 3 del medesimo art. 12.
3.2. Sono infondate anche le censure mosse al capo della sentenza che ha disposto l’annullamento dell’autorizzazione unica in ragione della mancanza di un’istruttoria e di una motivazione idonee a sorreggere la decisione di non sottoporre la realizzazione del progetto in esame alla procedura di valutazione di impatto ambientale.
Va premesso che la sentenza del primo Giudice sfugge al primo rimprovero mosso dall’appellante circa l’indebita ingerenza nel merito amministrativo, posto che, come si avrà modo di specificare in seguito, la sentenza ha colto la sussistenza di meri vizi di legittimità, segnatamente in ragione del difetto di adeguata istruttoria e di idonea motivazione, alla luce dell’apporto tecnico fornito, a seguito di apposta ordinanza istruttoria, da un organo statale Commissione tecnica di verifica per la v.i.a. e la v.a.s. insediata presso il Ministero dell’ambiente, dotato di specifica competenza in subiecta materia.
Va poi osservato che le censure al riguardo dedotte in primo grado dai ricorrenti sono suffragate dalle risultanze della verificazione espletata da detta Commissione (parere n. 353 del 15.10.2009), che hanno evidenziato la sussistenza di obiettivi elementi di criticità e di perplessità in ordine alla mancata sottoposizione del progetto alla valutazione di impatto ambientale, anche in considerazione delle lacune nell’informazione di dettaglio del progetto medesimo.
Si deve convenire con l’appellante in ordine al superamento del problema della necessità della VIA per l’impianto di depurazione di acque reflue nel caso in cui venga dato effettivamente seguito, sul piano operativo, alla comunicazione comunale di assenso ad accogliere nel depuratore comunale della zona P.i.p. i reflui provenienti dal costruendo impianto. Si deve altresì dare atto all’appellante che il riferimento progettuale ad una produzione di potenza pari a 49.9 MW rende non necessaria la Via ex lege prevista solo per gli impianti di produzione di energia elettrica con potenza termica superiore a 50 MW, ai sensi dell’allegato 4 del D.Lgs. n. 152/2006, come modificato dal D.Lgs. n. 4/2008, senza che sia possibile dare rilievo a mere congetture circa l’intento elusivo perseguito dall’impresa ed in merito all’effettivo rispetto di siffatta soglia.
Resta tuttavia fermo, alla luce della documentazione in atti, l’addebito, confermato dalla relazione predisposta dalla Commissione ministeriale, in merito alla mancanza di un adeguato approfondimento istruttorio - a sua volta riconducibile alla carenza della documentazione allegata all’istanza e delle informazioni di dettaglio del progetto - idoneo a suffragare la decisione di escludere l’intervento progettato dalla procedura VIA. In particolare, non risulta adeguatamente approfondita, sul versante istruttorio e sul piano motivazionale, la questione della qualificabilità, alla luce delle caratteristiche del progetto e del tipo di trattamenti di disalcoolazione effettuati, delle vinacce ( o di componenti delle stesse) comprese tra le biomasse utilizzate come combustibili, alla stregua di sottoprodotti del processo di vinificazione o di distillazione ex art. 1, comma 2 bis, del decreto legge n- 171/2008 o di rifiuti il, cui trattamento avrebbe necessitato nella specie della sottoposizione a procedura VIA in base alla disciplina dettata dal codice dell’ambiente di cui al D.Lgs. n. 152/2006..
3.3.L’esame degli atti di causa evidenzia anche la sussistenza dei profili di illegittimità apprezzati dal Primo Giudice con riferimento alle conclusioni cui è pervenuta l’amministrazione regionale in sede di valutazione di incidenza naturalistica. Con la determina n. 203 del 12.12.2008, la Regione Molise – Servizio Conservazione natura e v.i.a. – ha infatti escluso la necessità di una valutazione di incidenza sull’area SIC., sul mero presupposto apodittico dell’assenza di effetti significativi sull’ habitat naturale senza esporre le ragioni, legate ai caratteri del progetto ed agli specifici valori di interessati dal regime protezionistico, poste a fondamento del convincimento raggiunto.
Le censure proposte in sede di appello non confutano le principali omissioni colte al riguardo nel ricordato parere in merito all’analisi delle possibili interferenze tra l’intervento in oggetto ed il SIC Macchia Nera- Colle Serracina, ossia:
a) la scarsa rappresentatività, sul piano della durata e del periodo, della campagna di misurazione ante operam posta in atto al fine di valutare gli impatti sulla componente atmosferica e la ricaduta al suolo degli inquinanti;
b)la mancata considerazione, quanto all’analisi delle condizioni post operam, degli impatti relativi alla ricaduta di inquinanti stante la genericità delle indicazioni fornite al riguardo;
c)i profili di criticità e di sensibilità collegati alla presenza, segnalata nella nota regionale n. 8075 del 9/4/2009, a distanza di circa un KM dall’intervento , di un habitat prioritario (91AA Boschi di quercus pubescens), potenzialmente interessato da ricadute di inquinanti capaci di compromettere la tutela della vegetazione.
Dette omissioni, non colmabili attraverso il recepimento del parimenti lacunoso studio di incidenza predisposto dalla società istante, assumono particolare gravità alla luce della sensibilità dei beni giuridici interessati dalla tutela e della conseguente necessitò di un’analisi particolarmente attenta e puntuale.
3.4. .Con riguardo agli ulteriori profili di censura occorre rimarcare che:
a) la questione della compatibilità sismica dell’intervento è positivamente risolta, allo stato, dalla relazione datata 13.7.2009 prot. n. 11200 della Direzione Generale IV – Regione Molise, la quale evidenzia che il progetto ricade in zona 3, elusa dalla necessità dell’autorizzazione sismica;
b) le divergenze che permangono tra le valutazioni tecniche intervenute in ordine alle distanze tra la sponda del fiume Trigno, il bosco e l’area dell’intervento e la non esaustività delle indicazioni all’uopo fornite dalla Conferenza di servizi e dalle note dell’Autorità di bacino datate 20.1.2009 nn. 429 e 446, rendono necessario un riesame approfondito della questione in sede di riedizione della procedura;
c) la rammentata illegittimità della delibera del Consiglio Comunale di M. n. 25 del 26.11.2008, implica l’indefettibile conseguenza del travolgimento del parere di conformità edilizia e urbanistica reso dall’ Ufficio Tecnico Comunale sulla base dell’erroneo presupposto della non corretta interpretazione della normativa urbanistica sulla quale ci si è soffermati in precedenza.
4 Le considerazioni che precedono impongono la reiezione dell’appello e la conferma, pur se con motivazione parzialmente diversa, della sentenza appellata.
La complessità delle questioni affrontate giustifica, tuttavia, la compensazione delle spese relative al presente grado di giudizio. I –
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge e, per l’effetto, conferma, con diversa motivazione, la sentenza appellata.Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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