DIRITTO CIVILE. Cancellazione dall'albo degli avvocati e procedimento disciplinare. Cass. Sezioni Unite 24 novembre 2010 n. 23779.



Nota di Augusto Careni. Avvocato - Foro di Pescara.

La pronuncia in commento è di particolare interesse relativamente alla professione di avvocato e al corretto svolgimento della propria attività in relazione al Codice Deontologico Forense.

La vicenda ha inizio con l’apertura di un procedimento disciplinare da parte di un Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, il quale aveva inflitto ad un proprio iscritto la sanzione disciplinare della cancellazione dall’albo per non aver svolto un incarico professionale conferitogli da un proprio cliente, nonché per non aver comunicato alla propria assistita la necessità di compiere atti al fine di evitare la prescrizione e la decadenza del proprio diritto.
La decisione veniva impugnata dinanzi il CNF, il quale riduceva la sanzione disciplinare ad una sospensione dall’attività professionale per mesi sei, ritendendo che la valutazione disciplinare sia avvenuta non già solo ed esclusivamente sulla base delle dichiarazioni dell'esponente, ovvero, come nel caso di specie, di quelle del marito dell'esponente - in posizione di interesse personale alla vicenda -, ma anche dall'analisi delle risultanze documentali acquisite agli atti del procedimento, che rappresentano certamente criterio logico - giuridico inequivocabile a favore della completezza e definitività dell'istruttoria.
Le Suprema Corte adita conferma la decisione del Consiglio Nazionale Forense e si soffermano in primis sull’aspetto della “competenza” delle Sezioni Unite in materia disciplinare: al riguardo viene ribadito, riprendendo un ormai costante orientamento, che le decisioni del Consiglio nazionale forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione, ai sensi del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 56, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 gennaio 1934, n. 36, soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, con la conseguenza che l'accertamento del fatto, l'apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle incolpazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono formare oggetto del controllo di legittimità, salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell'uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito.
Sul punto centrale del caso, ovvero la sanzione disciplinare inflitta al professionista, i giudici di piazza Cavour confermano quanto deciso dal CNF, ritenendo "sussistente la responsabilità disciplinare dell’avvocato", ma rilevando tuttavia - nel contempo - "alcune carenze in ordine alle risultanze istruttorie, che si limitano alle sole prove testimoniali della esponente e di suo marito". Perplessità sorgono, di conseguenza, anche in ordine alla natura dell'incarico a suo tempo conferito al legale non essendo emersa nel corso dell’istruttoria la prova specifica - non già della responsabilità del professionista,  ma dell'oggetto dell'incarico conferito dalla cliente al legale.
Appare pertanto congrua, anche a giudizio degli “ermellini”, "la riduzione della sanzione della cancellazione dall'albo, applicata dal Consiglio dell'Ordine territoriale, con la diversa, ed immediatamente meno grave, sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per il tempo di sei mesi, riaffermando da un lato "la responsabilità del ricorrente nell'aver assunto un comportamento non scusabile, con evidente trascuratezza nei rapporti con la parte assistita", e tuttavia ribadendo, dall'altro, che "sussistono alcune "ombre" che non sono state del tutto fugate dalla istruttoria espletata e che comunque evidenziano una difficoltà ad individuare la natura dell'incarico a suo tempo affidato al professionista”.
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Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 24-11-2010, n. 23779
Svolgimento del processo
Il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Udine, con ricorso del 14 luglio 2010, ha impugnato per cassazione - deducendo un unico articolato motivo di censura -, nei confronti del Procuratore generale presso la Corte di cassazione e dell'Avvocato […]., la decisione del Consiglio nazionale forense n. 78/2010 dell'11 dicembre 2009 - 12 maggio 2010, con la quale il Consiglio nazionale forense, pronunciando sul ricorso dell'Avv.[…] avverso la decisione del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Udine in data 19 gennaio 2009 - che aveva inflitto al […] la sanzione disciplinare della cancellazione dall'albo degli avvocati -, sulle conclusioni del Procuratore generale - il quale aveva chiesto in rigetto del ricorso -, ha accolto il ricorso per quanto di ragione e, in parziale modifica della decisione impugnata, ha applicato all'Avv. B. la sanzione disciplinare della sospensione dall'attività professionale per sei mesi;
che il predetto Consiglio dell'Ordine territoriale - a seguito dell'esposto presentato in data 14 marzo 2008 dalla Signora […], che riferiva di aver conferito all'Avv.[…]., nel gennaio del 1997, incarico professionale al fine di promuovere azione di risarcimento del danno nei confronti della sua datrice di lavoro, s.p.a. […], per infortunio sul lavoro a causa del quale aveva riportato l'amputazione del dito medio della mano sinistra -, con deliberazione del 6 giugno 2008, aveva promosso l'azione disciplinare nei confronti dell'Avv. […], formulando i seguenti capi di incolpazione:
"1. Per non avere l'Avvocato […], contravvenendo al disposto di cui all'art. 38 del Codice Deontologico, adempiuto agli atti inerenti all'incarico professionale conferitogli dalla signora […] avente ad oggetto un'azione civile di risarcimento danni da promuovere nei confronti della ditta […] S.p.a., all'epoca […] S.p.a., con comportamento non scusabile e con trascuratezza degli interessi della parte assistita;
e per non avere, in violazione dell'art. 40 codice deontologico, comma 11 comunicato alla parte assistita la necessità del compimento degli atti ritenuti necessari al fine di evitare prescrizione e decadenze od altri effetti pregiudizievoli del diritto della stessa relativamente all'incarico conferitogli.
2. Per avere, contravvenendo al disposto di cui agli artt. 6 e 8 del Codice deontologico, in violazione dei doveri di lealtà, correttezza e diligenza, comunicato alla cliente, contrariamente al vero, di avere esperito l'azione di danno e che la stessa era giunta a conclusione.
3. Per non avere, contravvenendo al disposto di cui all'art. 42 Codice Deontologico, consegnato alla parte assistita la documentazione ricevuta per l'espletamento dell'incarico. Fatti commessi in (OMISSIS), in permanenza per il capo 3. Con la recidiva specifica";
che l'Avv. […], benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva;
che, con la decisione impugnata, il Consiglio nazionale forense ha ritenuto "sussistente la responsabilità disciplinare del ricorrente, anche se non può non rilevare alcune carenze in ordine alle risultanze istruttorie, che si limitano alle sole prove testimoniali della esponente stessa e di suo marito";
che in particolare, per quanto in questa sede rileva, il Consiglio nazionale forense:
a) ha richiamato innanzitutto il proprio costante orientamento giurisprudenziale, secondo cui "l'attività istruttoria espletata dal Consiglio territoriale deve ritenersi correttamente motivata allorquando la valutazione disciplinare sia avvenuta non già solo ed esclusivamente sulla base delle dichiarazioni dell'esponente, ovvero, come nel caso di specie, di quelle del marito dell'esponente - in posizione di interesse personale alla vicenda -, ma anche dall'analisi delle risultanze documentali acquisite agli atti del procedimento, che rappresentano certamente criterio logico - giuridico inequivocabile a favore della completezza e definitività dell'istruttoria"; b) quanto all'istruttoria compiuta dal Consiglio dell'Ordine territoriale, ha affermato che "Alcune perplessità sorgono in ordine alla natura dell'incarico a suo tempo conferito al legale, in relazione alla vicenda ed all'infortunio subito dalla […], nonchè alla liquidata pensione di invalidità, sulla base dell'accertato valore dell'infortunio da parte dell'Inail", e che, "nel caso che qui ci occupa, la prova non può dirsi compiutamente raggiunta, in quanto l'elemento di accusa in ordine alla violazione dell'art. 30 C.D., costituito dalla parola interessata della cliente e di suo marito, non trovano chiaro conforto in altri elementi tramite i quali risalire, con certezza, allo svolgimento dei fatti"; c) quanto al comportamento comunque tenuto dall'Avv.[…] nella vicenda in questione, ha osservato:
"Va anche detto che il ricorrente, nell'intera vicenda, ha tenuto un comportamento a dir poco non collaborativo, tradendo, in tal modo, una sua impossibilità a difendersi; non vi è una lettera dell'Avv. […] nel lungo periodo del rapporto professionale (dieci anni), nè vi è alcuna contestazione da parte dello stesso in ordine alla circostanza che un suo collaboratore ebbe ad accompagnare la signora […] presso lo studio del dott. […] per essere sottoposta a visita medico - legale presumibilmente necessaria per una futura causa"; d) ha conclusivamente affermato: "Alla luce di tanto, quindi, ferma la responsabilità del ricorrente nell'aver assunto un comportamento non scusabile, con evidente trascuratezza nei rapporti con la parte assistita, tuttavia questo Consiglio ritiene di accogliere parzialmente il ricorso, riducendo la sanzione, in quanto, come innanzi detto, sussistono alcune "ombre" che non sono state del tutto fugate dalla istruttoria espletata e che comunque evidenziano una difficoltà ad individuare la natura dell'incarico a suo tempo affidato all'avv. […] e di conseguenza ad accertare la violazione dell'art. 30 Codice deontologico".
Motivi della decisione
Con l'unico motivo con cui deduce:
"Violazione di legge per insufficiente e/o contraddittoria motivazione - R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 56, comma 3, in rif. all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e all'art. 111 Cost."), il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Udine critica la decisione impugnata, sostenendo che il Consiglio nazionale forense: a) è incorso in palese contraddizione nella motivazione, laddove afferma, da un lato, che "nel caso che qui ci occupa, la prova non può dirsi compiutamente raggiunta, in quanto l'elemento di accusa in ordine alla violazione dell'art. 30 del C.D. il ricorrente precisa che si tratta, in realtà, dell'art. 38 stesso Codice deontologico, costituito dalla parola interessata della cliente e di suo marito, non trovano chiaro conforto in altri elementi tramite i quali risalire, con certezza, allo svolgimento dei fatti" - cioè che non può dirsi raggiunta la prova della responsabilità dell'incolpato -, mentre dall'altro, contraddittoriamente appunto, che resta "ferma la responsabilità del ricorrente nell'aver assunto un comportamento non scusabile, con evidente trascuratezza nei rapporti con la parte assistita", con conseguente ingiusta applicazione di una sanzione di minor gravità rispetto alla irrogata cancellazione dall'albo, qual è la sospensione dall'attività professionale; b) è incorso - "a monte" della critica precedente - nell'errore di aver dubitato che "le dichiarazioni ampie, circostanziate e ribadite dall'esponente, confermate dal di lei marito a conoscenza diretta (di almeno taluno) dei fatti, la condotta processuale dell'incolpato (che lo stesso CNF ritiene sintomatica di "una sua impossibilità a difendersi" ... ) siano elementi di prova più che sufficienti per tranquillizzare circa la piena responsabilità disciplinare", tenuto conto della regola di giudizio del libero convincimento del giudice, applicata correttamente dal ricorrente Consiglio dell'Ordine territoriale;
Il ricorso non merita accoglimento;
che, conformemente al costante orientamento di queste sezioni unite, va premesso che le decisioni del Consiglio nazionale forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione, ai sensi del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 56, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 gennaio 1934, n. 36, soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, con la conseguenza che l'accertamento del fatto, l'apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle incolpazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono formare oggetto del controllo di legittimità, salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell'uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito;
Inoltre, secondo il medesimo orientamento, dette decisioni disciplinari debbono essere motivate, come ogni provvedimento giurisdizionale, in forza dell'art. 111 Cost., comma 6, con la conseguenza che esse possono esser censurate dinanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione anche per il vizio di motivazione, a condizione che tale vizio consista in omissioni, lacune o contraddizioni incidenti su punti decisivi, dedotti dalle parti o rilevabili d'ufficio, e che la sua deduzione non sia tesa ad ottenere un riesame delle prove e degli accertamenti di fatto, ovvero a sollecitare un sindacato sulla scelta discrezionale del consiglio dell'ordine quanto al tipo ed all'entità della sanzione, oppure a denunciare pretesi travisamenti del fatto, non essendo consentito alla Corte di cassazione di sostituirsi all'organo disciplinare nè nell'enunciazione di ipotesi di illecito nell'ambito della regola generale di riferimento, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, nè nell'apprezzamento della rilevanza dei fatti rispetto alle incolpazioni contestate (cfr., ex plurimis, le sentenze delle sezioni unite nn. 2637 del 2009, 20360 e 7103 del 2007, 4802 del 2005);
Interpretando la decisione impugnata alla luce di tali principi, emerge che con essa, contrariamente a quanto denunciato dal Consiglio dell'Ordine territoriale, il Consiglio nazionale forense: a) ha inequivocabilmente ritenuto "sussistente la responsabilità disciplinare del ricorrente" avv. […], rilevando tuttavia - nel contempo - "alcune carenze in ordine alle risultanze istruttorie, che si limitano alle sole prove testimoniali della esponente signora […] e di suo marito", ed affermando che tali carenze istruttorie ingenerano "Alcune perplessità ... in ordine alla natura dell'incarico a suo tempo conferito al legale, in relazione alla vicenda ed all'infortunio subito dalla […], nonchè alla liquidata pensione di invalidità"; b) ha osservato al riguardo che, infatti, la prova specifica - non già della responsabilità del professionista, come invece sostiene il ricorrente, ma - dell'oggetto dell'incarico conferito dalla signora Filippini all'Avv. […] "non può dirsi compiutamente raggiunta, in quanto l'elemento di accusa ... , costituito dalla parola interessata della cliente e di suo marito, non trovano chiaro conforto in altri elementi tramite i quali risalire, con certezza, allo svolgimento dei fatti"; c) ha conseguentemente ribadito la sussistenza della responsabilità disciplinare dell'Avv. […], fondandola però - a differenza del Consiglio dell'Ordine territoriale - sulle concorrenti circostanze che "non vi è una lettera dell'Avv. […] alla signora […] nel lungo periodo del rapporto professionale (dieci anni)" e che non "vi è alcuna contestazione da parte dello stesso in ordine alla circostanza che un suo collaboratore ebbe ad accompagnare la signora […] presso lo studio del dott. […] per essere sottoposta a visita medico - legale presumibilmente necessaria per una futura causa", circostanze le quali confermano che "il ricorrente, nell'intera vicenda, ha tenuto un comportamento a dir poco non collaborativo, tradendo, in tal modo, una sua impossibilità a difendersi", con quest'ultima affermazione stigmatizzando, con inequivocabile valutazione negativa, il comportamento processuale tenuto dall'Avv. […] nel corso del procedimento disciplinare, non costituito nè comparso dinanzi al Consiglio dell'ordine di Udine, e non comparso neppure dinanzi al Consiglio nazionale forense;
d) ha conclusivamente considerato giusto "ridurre" la sanzione della cancellazione dall'albo, applicata dal Consiglio dell'Ordine territoriale, ed irrogare invece la diversa, ed immediatamente meno grave, sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per il tempo di sei mesi, riaffermando da un lato "la responsabilità del ricorrente nell'aver assunto un comportamento non scusabile, con evidente trascuratezza nei rapporti con la parte assistita", e tuttavia ribadendo, dall'altro, che "sussistono alcune "ombre" che non sono state del tutto fugate dalla istruttoria espletata e che comunque evidenziano una difficoltà ad individuare la natura dell'incarico a suo tempo affidato all'avv. […]";
Dunque, alla luce della corretta ricostruzione dell'iter argomentativo seguito dalla decisione impugnata, è del tutto evidente che la contraddittorietà della motivazione - denunciata con i profili di censura sub a) - non sussiste;
Inoltre i profili di censura argomentati sub b) sono palesemente inammissibili, perchè essi mirano, in definitiva, a provocare - in contrasto con i dianzi richiamati e qui ribaditi orientamenti - l'esercizio del sindacato di questa Corte sulla valutazione degli elementi probatori effettuata dal Consiglio nazionale forense, in particolare circa il grado di attendibilità da attribuire alle deposizioni testimoniali rese dalla cliente dell'Avv. […] e dal marito della stessa in ordine all'oggetto ed allo svolgimento del rapporto professionale;
che, pertanto, il ricorso deve essere respinto;
che non sussistono i presupposti per pronunciare sulle spese del presente grado del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

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