DIRITTO PENALE. Elemento oggettivo e soggettivo del reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p. Cass. pen. 10 ottobre 2011 n. 36503.



Nota dell'Avv. Rosalia Terrei

Nel reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p. l’oggetto giuridico non è costituto solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia, da comportamenti vessatori e violenti, connotati, da una chiara connotazione negativa, ma anche dalla tutela dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto integrale della loro personalità e delle loro pontezialità nello svolgimento di un rapporto fondato su costruttivi e socializzanti vincoli familiari aperti alle risorse del mondo esterno a prescindere da condotte pacificamente vessatorie e violente. In tale quadro poco conta la “soglia di sensibilità del minore vittima”, la quale, non solo per il grado di sviluppo psico-fisico della persona offesa, ma, soprattutto perché essa, oggettivamente disafferenziata dai contesti di riferimento (“gruppo dei pari di età”), di necessità, non può disporre di standard di peso della negativa e deteriore realtà in cui è costretta a vivere.
La persistenza delle metodiche di iperaccudienza e di isolamento, in palese violazione delle indicazioni e delle prescrizioni, segnala, al di là di ogni ragionevole dubbio  e secondo le massime di comune esperienza, la pacifica ricorrenza della intenzionalità che connota il delitto.
 
La Suprema Corte di Cassazione, con la decisione che segue, è chiamata a vagliare la legittimità di una pronuncia della Corte d’Appello di Bologna che conformandosi alla decisione del GUP di Ferrara, condannanava un nonno (materno) e una madre per maltrattamenti, nei confronti del figlio di quest’ultima, convivente con entrambi.
L’accusa aveva evidenziato come il reato ex art. 572 c.p. , era rintracciabile negli atteggiamenti iperprotettivi dei due imputati, che si sostanziavano nel non far frequentare con regolarità la scuola al minore, nell’impedire allo stesso di socializzare e nel dettare l’osservanza di regole di vita tali da incidere sullo sviluppo psichico del piccolo, causando allo stesso disturbi deambulatori. Infine, la condotta dei soggettivi attivi del reato era volta anche a denigrare la figura paterna e a rappresentarla agli occhi della vittima come negativa e violenta.
Il GUP di Ferrara, all’esito del giudizio abbreviato, riteneva responsabili del reato ascritto entrambi gli imputati.
La Corte d’Appello di Bologna confermava la pronuncia di primo grado, evidenziando che gli atti di maltrattamento verso il minore si erano materializzati attraverso atteggiamenti iperprotettivi, protratti in età preadolescenziale e in deprivazioni sociali e psicologiche, tali da ritardare gravemente lo sviluppo psicologico-relazionale e l’acquisizione di abilità in attività materiali e fisiche del minore.
Gli imputati avverso la sentenza della Corte d’Appello propongono Ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi che attengono all’elemento oggettivo del reato, a quello soggettivo e all’entità della sanzione.
Prima di analizzare i motivi di doglianza la Corte precisa che la sentenza di secondo grado va esaminata in stretta connessione con la sentenza di primo grado, in quanto entrambe le pronunce si seguono le medesime linee logiche e giuridiche.
In primo luogo gli imputati lamentano uno stravolgimento della norma al fine di ricondurvi condotte estraneee all’elemento oggettivo richiesto dalla fattispecie di reato.
Infatti, la difesa evidenzia che i comportamenti messi in atto dagli imputati, consistenti in atteggiamenti di ipercura, sono qualificabili come “fenomeni patologici” che nulla hanno a che vedere con i maltrattamenti come intesi dal legislatore, in quanto privi della connotazione negativa caratterizzante la condotta ex art. 572 c.p.
Secondo la difesa sarebbero sussumibili nella fattispecie penale di maltrattamenti il consentire al minore di vivere in stato di abbandono in strada per chiedere l’elemosina o la ripetuta esposizione del minore a contesti erotici, o ancora le percosse e le punizioni umilianti.
Elemento comune a tali condotte è la connotazione negativa intrinseca alle stesse, richiesta perlatro, secondo l’interpretazione difensiva, dalla stessa norma.
In senso contrario i comportamnti degli imputati integrano condotte iperprotettive, incompatibili con i maltrattamenti ex art. 572 c.p.  e che, animate da intenti positivi, avevano generato effetti negativi.
Il Collegio rigetta tale doglianza partendo dal dato normativo ed evidenziando che il bene protetto dall’art. 572 c.p. non è solo l’interesse statale alla salvaguardia della famiglia, da comportamenti vessatori, e dunque connotati negativamente, ma anche l’incolumità fisica e psichica delle persone tutelate dalla disposizione, a prescindere da condotte violente o vessatorie.
Sempre al fine di negare la materialità del reato, la difesa, evidenizando il benessere del minore nella realtà familiare, lamenta la mancanza, nel caso concreto, dell’imprescindibile relazione diretta tra il maltrattante e il maltrattato e del necessario rapporto causale, anch’esso diretto, tra il maltrattamento e il dolore-disagio della vittima.
Tale motivo di ricorso permette alla Corte di evidenziare come sia assolutamente irrilevante ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti, lo stato di benessere del minore, e la percezione del comportamento come tale. Infatti, resta salva l’impossibilità di scriminare la condotta ex art. 572 c.p. con il consenso dell’avente diritto.
In merito all’elemento soggettivo i ricorrenti lamentano il difetto del dolo, in quanto difetterebbe, in capo ai ricorrenti, qualsivoglia consapevolezza di creare il disagio.
Tale argomento difensivo è smontato dalla Corte che evidenzia come, se pur in orgine le condotte fossero state connotate da buona fede, tale profilo soggettivo, è mutato quando le stesse sono perdurate nonostante le prescrizioni degli esperti e gli interventi dell’autorità giudiziaria.
Infine, la difesa non condivide il trattamento sanzionatorio paritario inflitto dai giudici di merito, ritenendo al contrario che la posizione della donna meritava una riduzione della sanzione.
Anche in merito a tale ultimo motivo, la Corte di Cassazione, rigetta il ricorso.
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Cass. pen. 10 ottobre 2011 n. 36503.
 
FONTE del Testo Integrale della Sentenza: www.cortedicassazione.it

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