Risarcimento danni alla struttura sanitaria: occhio alla competenza territoriale!

Richiesta di risarcimento danni alla struttura sanitaria: attenzione alla competenza territoriale. Cass. civ. n. 27391 del 24 dicembre 2014.



L’individuazione del foro competente si basa sullo specifico rapporto intercorso tra utente e struttura sanitaria (pubblica o privata in convenzione). Se riguarda soltanto la prestazione inizialmente preventivata, la competenza è del foro ove ha la sede la struttura sanitaria; se invece il rapporto è proseguito con ulteriori prestazioni aggiuntive non inizialmente preventivate, trova applicazione il D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 33, comma 2, lett. m), in quanto nel rapporto, necessariamente da considerarsi su base unitaria, la struttura sanitaria  si è posta direttamente nei confronti dell'utente come "professionista", dovendosi quindi applicare il foro del consumatore.

La sentenza n. 27391 del 2014 della VI Sezione civile della Cassazione, pone in rilievo un interessante e quanto mai attuale tematica, ovvero quella relativa alla competenza territoriale nell’ipotesi di azione di risarcimento danni nei confronti di una struttura sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale o convenzionata.
La Suprema Corte, con una pronuncia particolarmente argomentata, pone alla base dell’individuazione del foro competente una necessaria distinzione: 

  • 1. Ipotesi in cui la struttura sanitaria (pubblica o privata in convenzione) abbia agito nei confronti dell’utente per le cure già preventivate e senza ulteriori prestazioni aggiuntive.

In tal caso, infatti, l'azienda sanitaria pubblica (o privata in convenzione) non agisce come un "professionista" alla stregua della nozione fissata dall'art. 3, lett. c) del codice. Nè può considerarsi che detta attività sia espressione dell'esercizio di una professione, in quanto essa è diretta all'assicurazione del servizio e ciò esclude che si verta in ipotesi di esercizio di una professione ai sensi delle norme dell'art. 2229 c.c. e segg., per l'assorbente ragione che l'attività professionale secondo tali norme è finalizzata alla consecuzione di un compenso. 
Neppure potrebbe argomentarsi che professionali sono comunque le attività del personale servente dell'azienda sanitaria, che riceve remunerazione per il loro espletamento: è sufficiente osservare che rispetto al rapporto che si instaura fra l'azienda e l'utente tale remunerazione non viene in evidenza. Ma nemmeno viene in evidenza rispetto al rapporto che si instaura fra il personale dell'azienda e l'utente, secondo la giurisprudenza della Corte che ormai tende a configurare una responsabilità contrattuale (talvolta definita da "contatto") anche nel rapporto fra l'utente ed il personale sanitario. 
Per i giudici di legittimità si è, in sostanza, in presenza di attività professionale, ma non nel senso supposto dall'art. 3, lett. c) del d.lgs. n. 205 del 2006, il quale, in relazione alla tutela dell'art. 33 in genere suppone che il carattere professionale dell'attività del soggetto "professionista" si ponga in riferimento al contratto stipulato con il "consumatore".

  • 2. Cosa accade nell’ipotesi in cui il rapporto fra l'utente e la struttura sanitaria del S.S.N. (o convenzionata) abbia corso con l'espletamento di una serie di prestazioni aggiuntive a quella inizialmente preventivata? 

Per i giudici del palazzaccio in tal caso trova applicazione alla controversia di risarcimento danni derivanti dall'esecuzione della prestazione, introdotta dall'utente contro la struttura, il D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 33, comma 2, lett. m), in quanto nel rapporto, necessariamente da considerarsi su base unitaria, la struttura sanitaria (nella specie un'Azienda Ospedaliera Universitaria del S.S.N.) si è posta direttamente nei confronti dell'utente come "professionista", trovando applicazione il foro del consumatore.

 

LA SENTENZA

Cassazione civile n. 27391 del 24 dicembre 2014.

FATTO E DIRITTO

1. L'Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena ha proposto regolamento di competenza contro l'ordinanza del 13 novembre 2013, con la quale il Tribunale di Crotone, investito nel gennaio del 2013 da D.F.L. della domanda intesa ad ottenere il risarcimento dei danni per la cattiva esecuzione di un intervento chirurgico alla mano sinistra per l'asportazione di corpi estranei presso il reparto di chirurgia di essa ricorrente, ha disatteso l'eccezione di incompetenza territoriale del foro di Crotone a beneficio della competenza, secondo i fori relativi alle cause in materia di obbligazioni, del Tribunale di Modena, proposta dalla qui ricorrente ed ha dichiarato la propria competenza per territorio sulla controversia sulla base dell'operare del foro del consumatore.

1.1. A sostegno dell'istanza di regolamento la ricorrente ha addotto in primo luogo che l'applicazione nella controversia del foro del consumatore - sostenuta dal Tribunale sulla base della mera invocazione di precedenti di merito e senza considerare il principio di diritto affermato da questa Corte con l'ord. n. 8093 del 2009 - sarebbe da escludersi proprio alla luce di quest'ultimo. In secondo luogo e gradatamente che l'applicabilità del foro del consumatore, in quanto supponente una responsabilità contrattuale, sarebbe da escludersi alla luce del D.L. n. 158 del 2012, art. 3, comma 1, convertito nella L. n. 189 del 2012, il quale avrebbe ricondotto la responsabilità del personale sanitario all'ambito della responsabilità extracontrattuale.

2. Il D.F. non ha svolto attività difensiva.

3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione con il procedimento di cui all'art. 380-ter c.p.c., è stata fatta richiesta al Pubblico Ministero presso la Corte di formulare le sue conclusioni ed all'esito del loro deposito, ne è stata fatta notificazione all'avvocato della ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell'odierna adunanza. Parte ricorrente ha depositato memoria.

4. All'esito della camera di consiglio e della decisione il Presidente ha sostituito il relatore designato con altro membro del Collegio, che è stato incaricato di redigere la presente ordinanza.

5. Nelle sue conclusioni il Pubblico Ministero ha chiesto accogliersi l'istanza di regolamento di competenza e dichiararsi la competenza del Tribunale di Modena condividendo la prospettazione della ricorrente nel senso che il foro del consumatore non possa operare in relazione alla controversia sulla base del principio di diritto affermato da Cass. (ord.) n. 8093 del 2009. Ha, invece, rilevato che il secondo motivo dell'istanza sarebbe infondato alla stregua del principio di diritto affermato da Cass. n. 4030 del 2013.

6. Il Collegio rileva che l'istanza di regolamento di competenza non può essere accolta all'esito dell'esercizio da parte della Corte dei poteri di statuizione sulla competenza in sede di regolamento, che Essa deve esercitare sulla questione di competenza oggetto dei motivi anche al di là di quanto essi prospettano, dando rilievo sia alle norme in senso statico sia alle norme in senso dinamico che nel processo di merito nel disponevano la regolamentazione e ciò in particolare se il giudice di merito le abbia male applicate per pronunciare sulla competenza (ex multis, Cass. (ord.) n. 9783 del 2009). Espressone di questa logica è l'ulteriore principio di diritto affermato da Cass. sez. un. n. (ord.)14569 del 2002, nel senso che "Avendo l'istanza di regolamento di competenza la funzione di investire la Corte di cassazione del potere di individuare definitivamente il giudice competente, onde evitare che la sua designazione sia ulteriormente posta in discussione nell'ambito della stessa controversia, i poteri di indagine e di valutazione, anche in fatto, della Corte possono esplicarsi in relazione ad ogni elemento utile acquisito sino a quel momento al processo, senza essere limitati dal contenuto della sentenza impugnata nè dalle difese delle parti, e possono conseguentemente riguardare anche questioni di fatto non contestate nel giudizio di merito e che non abbiano costituito oggetto del ricorso per regolamento di competenza".

Queste le ragioni.

7. In primo luogo e concernendo la problematica una questione che logicamente appare preliminare si deve rilevare che il secondo motivo dell'istanza di regolamento è privo di fondamento, giusta il principio di diritto (soltanto adombrato da Cass. n. 4030 del 2013) affermato da Cass. (ord.) n. 8940 del 2014 nel senso che Il D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 3, comma 1 come modificato dalla Legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, nel prevedere che "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve", fermo restando, in tali casi, "l'obbligo di cui all'art. 2043 c.c.", non esprime alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l'irrilevanza della colpa lieve.".

Tanto si osserva a prescindere da ogni problema circa la rilevanza sul piano temporale della norma, che è sopravvenuta rispetto alla vicenda di cui è processo.

3. Una volta acclarato che l'esame della questione di competenza deve avvenire sul presupposto che nel caso di specie si verta in tema di responsabilità contrattuale e che, dunque, in linea astratta rilevi il foro del consumatore, il Collegio rileva che anche il primo motivo dell'istanza di regolamento, pur condiviso dal Pubblico Ministero, non è fondato. L'applicazione del principio di diritto di cui a Cass. (ord.) n. 8093 del 2009, dal quale la Corte non intende discostarsi, avendolo ribadito in più occasioni (si vedano Cass. (ord.) n. 6824 del 2010; (ord.) n. 18138 del 2010; (ord.) n. 3142 del 2011; (ord.) n. 13202 del 2011; (ord.) 12149 del 2012), infatti, non risulta giustificata nella fattispecie in dipendenza dell'atteggiarsi del rapporto contrattuale in esecuzione del quale la struttura sanitaria pubblica si impegnò ad eseguire la prestazione.

E ciò - si badi - proprio sulla base delle argomentazioni e motivazioni che dall'ord. n. 8093 del 2009 erano state prospettate.

3.1. Va ricordato che tale decisione ha affermato i via generale i seguenti due principi di diritto: "La disposizione di cui all'art. 101, comma 1, del codice del consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206) non sottrae i diritti dell'utente dal servizio pubblico al suo operare ove, in relazione alla specifica modalità del rapporto di utenza, le norme di tale codice risultino applicabili, ma consente solo allo Stato e alla Regione, nell'ambito delle rispettive competenze, di dettare norme che applichino i principi stabiliti dal codice tenendo conto delle peculiarità del singolo servizio pubblico e delle modalità di espletamento dello stesso."; "La disciplina di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, comma 2, lett. u), concernente il foro del luogo di residenza del consumatore, è inapplicabile ai rapporti tra pazienti e strutture ospedaliere pubbliche o private operanti in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale: sia perchè, pur essendo l'organizzazione sanitaria imperniata sul principio di territorialità, l'assistito può rivolgersi a qualsiasi azienda sanitaria presente sul territorio nazionale, sicchè se il rapporto si è svolto al di fuori del luogo di residenza del paziente tale circostanza è frutto di una sua libera scelta, che fa venir meno la "ratio" dell'art. 33 cit.; sia perchè la struttura sanitaria non opera per fini di profitto, e non può quindi essere qualificata come "imprenditore" o "professionista".

3.2. La motivazione con cui venne giustificato, dopo la spiegazione delle ragioni giustificative del primo principio di diritto, il secondo principio di diritto fu la seguente: "Affermata, dunque, la tendenziale riferibilità del codice anche all'utente del servizio pubblico, in mancanza di adozione di una specifica normativa da parte dello Stato e delle regioni per gli ambiti di loro rispettiva competenza (normativa che potrebbe esprimersi anche con atti di normazione secondaria), deve ritenersi in linea tendenziale che all'utente del servizio pubblico la disciplina del codice possa applicarsi previo riscontro della idoneità del relativo rapporto ad essere ricondotto sotto le norme del codice del consumo di volta in volta considerate. E' a questa stregua che va verificata la compatibilità della norma dell'art. 33, comma 2, lett. u), con la posizione dell'utente del servizio sanitario nazionale quando instauri una controversia inerente la prestazione di tale servizio.

3.1. Sotto tale profilo, con riferimento alla posizione dell'utente del servizio sanitario nazionale quando controverta direttamente con l'azienda ospedaliera pubblica (come nel caso di specie), la quale, secondo una delle possibili modalità di fruizione delle prestazioni del servizio sanitario nazionale, gli abbia erogato una prestazione, deve considerarsi che, nella logica del funzionamento del pubblico servizio costituito dal c.d. servizio sanitario nazionale, l'erogazione del servizio è garantita attraverso una organizzazione imperniata sul principio di territorialità, cioè nel senso che vi sono tante articolazioni della complessiva organizzazione preposte ognuna ad un certo territorio. La fruizione del servizio, invece, non è, però, necessariamente collegata alla residenza dell'utente se non in via tendenziale, essendovi, com'è noto, la possibilità di beneficiare del servizio, sia pure di solito attraverso un imput che parte dall'articolazione del servizio del luogo di residenza, in una qualsiasi articolazione dell'organizzazione. Ebbene questo rapporto fra l'organizzazione del servizio, strutturata su base territoriale, ed il diritto alla fruizione da parte dell'utente, che non è ancorato all'articolazione territoriale di residenza, evidenzia una circostanza che pone l'utente, quando si rivolge ad una articolazione diversa dal suo luogo di residenza, in una posizione che non è apparentabile a quella del consumatore di cui alla lett. u) dell'art. 33 citato. Il collegamento della struttura ad un certo territorio, ove posto in relazione con la libera scelta dell'utente di fruire del servizio al di fuori dell'ambito dell'articolazione del suo luogo di residenza, palesa cioè una situazione nella quale, essendo frutto di una scelta dell'utente fruire del servizio al di fuori dell'ambito riferibile al suo luogo di residenza, il responsabile della radicazione della vicenda all'ambito territoriale della struttura cui si è rivolto è esclusivamente l'utente, il quale, d'altro canto, è pienamente consapevole che l'articolazione cui si è rivolto è predisposta per operare in un certo ambito territoriale. E' pertanto, pienamente ragionevole che la vicenda del contenzioso che nasce dall'erogazione del servizio non sia soggetta al foro del consumatore. A queste considerazione deve aggiungersi -superando i dubbi affacciati nella relazione - che l'azienda ospedaliera pubblica non riveste la qualità di "professionista", che è essenziale per l'applicabilità della norma de qua. Ciò, perchè l'azienda sanitaria pubblica (anche se oramai sostanzialmente configurabile come un soggetto privato e non pubblico, gestito con criteri manageriali, com'è per la A.S.L.), quando eroga la prestazione non agisce nell'esercizio di un'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale, non potendo l'attività che ha permesso di eseguire la prestazione a favore dell'utente considerarsi espressione di attività di quel genere e, quindi, un'attività economica, per l'assorbente ragione che il suo svolgimento deve avvenire senza il necessario rispetto del principio di economicità, atteso che comunque l'erogazione del servizio deve essere assicurata anche se cagiona perdite. L'azienda sanitaria pubblica, dunque, non agisce come un "professionista" alla stregua della nozione fissata dall'art. 3, lett. c) del codice. Nè può considerarsi che detta attività sia espressione dell'esercizio di una professione, come adombrato dalla relazione: il momento finalistico dell'attività, in quanto essa è diretta all'assicurazione del servizio esclude che si verta in ipotesi di esercizio di una professione ai sensi delle norme dell'art. 2229 c.c. e segg., per l'assorbente ragione che l'attività professionale secondo tali norme è finalizzata alla consecuzione di un compenso. Neppure potrebbe argomentarsi che professionali sono comunque le attività del personale servente dell'azienda sanitaria, che riceve remunerazione per il loro espletamento: è sufficiente osservare che rispetto al rapporto che si instaura fra l'azienda e l'utente tale remunerazione non viene in evidenza. Ma nemmeno viene in evidenza rispetto al rapporto che si instaura fra il personale dell'azienda e l'utente, secondo la giurisprudenza della Corte che ormai tende a configurare una responsabilità contrattuale (talvolta definita da "contatto") anche nel rapporto fra l'utente ed il personale sanitario. Onde, l'applicazione del foro di cui all'art. 33, comma 2, lett. u) non potrebbe discendere di riflesso nemmeno sotto tale profilo, cioè per la configurabilità del foro inderogabile almeno rispetto al detto personale. Si è, in sostanza, in presenza di attività professionale, ma non nel senso supposto dall'art. 3, lett. c), il quale, in relazione alla tutela dell'art. 33 in genere suppone che il carattere professionale dell'attività del soggetto "professionista" si ponga in riferimento al contratto stipulato con il "consumatore".

Alla soluzione dell'inapplicabilità dell'art. 33, comma 2, lett. u) deve pervenirsi anche a proposito di una struttura convenzionata. Ciò, anzitutto per la ragione che vale l'argomento della territorialità dell'espletamento del servizio e della libera scelta dell'utente di fruirne fuori del suo luogo di residenza. Inoltre, se è vero che essa si presenta come un'azienda diretta a perseguire un utile proprio in ragione dell'espletamento della prestazione sanitaria coperta dal Servizio Sanitario Nazionale, tale veste viene in rilievo quando essa stipula la convenzione con gli organismi di diritto pubblico a ciò abilitati, mentre, una volta instaurata la convenzione, la fornitura del servizio all'utente avviene con modalità del tutto identiche a quelle seguite dalla struttura pubblica, senza cioè che l'essere l'azienda sanitaria privata convenzionata un imprenditore si ponga come tale.

Ciò è tanto vero che l'utente del servizio sanitario nazionale si rivolge ad essa come si sarebbe rivolto alla struttura pubblica.

Anche in questo caso valgono, poi, le medesime considerazioni svolte a proposito dell'atteggiarsi del rapporto fra l'utente ed il personale della struttura sanitaria privata. Va semmai precisato che, qualora il rapporto fra l'utente e la struttura sanitaria convenzionata abbia corso con l'espletamento di eventuali prestazioni aggiuntive direttamente a carico dell'utente e non del Servizio Sanitario Nazionale, allora l'art. 33, comma 2, lett. u) potrà venire in rilievo, in quanto nel rapporto, necessariamente da considerarsi su base unitaria, l'azienda sanitaria si è posta direttamente nei confronti dell'utente come "professionista".

Resta da dire del caso in cui abbia corso l'espletamento di una prestazione sanitaria direttamente da parte di un'azienda sanitaria privata non convenzionata e, quindi, sulla base di un normale rapporto privatistico con l'utente che abbia scelto di non rivolgersi al Servizio Sanitario Nazionale. In questo caso l'azienda si pone senza dubbio come "professionista" ed il foro del consumatore è applicabile, senza che ne derivi alcuna incoerenza con il collocarsi di detta azienda nell'ambito dello stesso pubblico servizio inerente la sanità.

Nè l'applicabilità del detto foro in questo caso comporta una disparità di trattamento ai sensi dell'art. 3 fra l'utente che scelga di rivolgersi al Servizio Sanitario Nazionale e quello che si rivolge alla struttura sanitaria privata: la disparità è insussistente, perchè quest'ultimo, che già come cittadino subisce sul piano fiscale l'incidenza del costo del detto servizio, se ne accolla direttamente un altro, di modo che le due situazioni sono diverse fra loro.

4. Rimane a questo punto da considerare un argomento svolto nell'ambito del secondo motivo e che la relazione, postasi nell'ottica da cui il Collegio ha parzialmente dissentito a proposito della non ricorrenza del "contratto" nel rapporto fra l'utente e la struttura pubblica o convenzionata, non ha considerato perchè sostanzialmente assorbito.

L'argomento è quello desunto da Cass. n. 369 del 2007 in ordine al riconoscimento della posizione di consumatore del terzo beneficiario della polizza assicurativa, nonchè dalla pregressa ord. n. 235 del 2004 della Corte costituzionale sulla stessa questione. Di tale principio si invoca l'estensione analogica alla posizione dell'utente del servizio Sanitario nazionale, perchè anche costui, come il detto beneficiario, non sopporta il costo del servizio, ma è beneficiario pur sempre di un costo, quello necessario per il funzionamento diretto od indiretto del Servizio Sanitario Nazionale, sopportato da altri, cioè nella sostanza da tutti i consociati che adempiono agli obblighi fiscali e così consentono il finanziamento del Servizio, e, sul piano formale, dal soggetto che sul piano pubblicistico opera, ai vari livelli, la destinazione delle somme alle varia strutture sanitarie o le impiega per il c.d. convenzionamento.

L'invocazione del principio stabilito da Cass. n. 369 del 2007 non è, tuttavia, pertinente, perchè, come ad altri effetti ha evidenziato questa Corte (si veda Cass. (ord.) n. 29276 del 2008), esso trova spiegazione nell'essere il beneficiario della polizza assicurativa direttamente titolare del diritto previsto dal contratto e, quindi, partecipe del regolamento contrattuale che gli attribuisce il diritto. Sicchè quello che viene in rilievo è il rapporto fra il "professionista" ed il "consumatore" che ha stipulato la polizza, in quanto esso stesso ha attribuito un diritto al beneficiario, che lo esercita sulla base del contratto.

L'utente che si avvale del Servizio Sanitario Nazionale, viceversa, non esercita un diritto che nasce dal rapporto fra la struttura pubblica che stipula la convenzione con un'azienda sanitaria privata o un diritto che trae titolo dal rapporto in forza del quale l'azienda sanitaria pubblica - tra l'altro certamente non riconducibile alla figura del contratto - agisce nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale ricevendo le erogazioni di pubblico danaro occorrenti per l'espletamento del servizio".

4. Ora dall'esame degli atti emerge che nella specie ricorre la situazione cui l'ordinanza n. 8093 del 2009 alludeva in chiusura del paragrafo 3. del "considerato in diritto" con l'affermare che qualora il rapporto fra l'utente e la struttura sanitaria convenzionata abbia corso con l'espletamento di eventuali prestazioni aggiuntive direttamente a carico dell'utente e non del Servizio Sanitario Nazionale, allora l'art. 33, comma 2, lett. u) potrà venire in rilievo, in quanto nel rapporto, necessariamente da considerarsi su base unitaria, l'azienda sanitaria si è posta direttamente nei confronti dell'utente come "professionista". Nel fascicolo di parte del D.F., che si trova nel fascicolo d'ufficio del giudizio dinanzi al Tribunale di Crotone, è presente un documento che giustifica tale conclusione. Si tratta del documento 3 (come tale indicato anche nell'indice presente come prima pagina del fascicolo) di provenienza del "Servizio Sanitario Regionale Emilia-Romagna - Azienda Ospedaliera Universitaria di Modena -Policlinico - Ufficio contabilità prestazioni", che è intestato come "preventivo di spesa n. 8959 del 18/05/2006" ed indirizzato a D.F.L.. In esso, dopo l'indicazione "medico scelto: Dottor L.. Reparto: (OMISSIS)", sono distintamente indicate le seguenti voci di spesa: "compenso del professionista o equipe", per un importo di Euro 929,00, "compenso dell'anestesista", per l'importo di Euro 258,00, "altro personale di sala operatoria", per l'importo di Euro 180,77, "costi sostenuti dall'azienda", per l'importo di Euro 1.390,30, "imposte tasse e contributi", per l'importo di Euro 227,30, "camera a un letto", per l'importo di Euro 110,00. E' quindi indicato l'importo complessivo al lordo di un importo di Euro 11,00 per i.v.a. su quello della camera da letto, il tutto per Euro 3.106,76. E', quindi, indicata la "quota costi aziendali Servizio Sanitario Regionale in sottrazione da detto importo per Euro 2.411.61 nonchè l'acconto da versare. Di seguito vi è l'indicazione "data proposta: 19/06/2006, cui seguono, dopo la riserva circa la possibile variazione della quantificazione delle singole voci, da determinarsi all'atto della dimissione, le seguenti enunciazioni: Nessun onere è a carico dell'aderente quando, in seguito all'insorgere di complicazioni del quadro clinico, il medesimo debba essere trasferito in rianimazione ecc, ovvero necessiti di sostanziali prestazioni non preventivate (ulteriore intervento operatorio, trasferimento ad altro reparto per complicazioni intervenute, eccetera. La tariffa delle prestazioni/ricoveri erogate in libera professione devono, per legge, essere completamente compensative di tutti i costi sostenuti. Pertanto verranno addebitati gli eventuali costi derivanti dai consumi dei pasti per accompagnatore e le spese telefoniche. Pur essendo consapevole di poter ottenere le stesse la stessa prestazione con le procedure del Servizio Sanitario Nazionale, chiedo che il trattamento sanitario in costanza di ricovero mi sia erogato in regime di libera professione intramuraria dal suindicato professionista da me scelto. Dopo tali enunciazioni seguono le firme per accettazione del D. F. e di un impiegato dell'ufficio.

4.1. Il tenore del preventivo, che, a seguito dell'accettazione determino la conclusione di un vero e proprio contratto è tale, per ammissione espressa contenuta in esso, che la prestazione convenuta risulta pattuita come prestazione al di fuori delle procedure del Servizio Sanitario Nazionale, essendosi trattato di prestazione eseguita dal medico scelto dal D.F. e destinato ad intervenire come libero professionista, sebbene nell'espletamento di attività intramuraria, come tale riferibile sempre all'azienda ospedaliera e con l'avvalimento della sua struttura. L'espressa pattuizione della prestazione in regime di esclusione dalle normali procedure del S.S.N. collocò il rapporto su un piano che lo connotò come rapporto nel quale la posizione del D.F. si configurò come quella di un consumatore e quella dell'Azienda Ospedaliera ricorrente come quella di un esercente una vera e propria attività di "professionista" secondo la disciplina di tutela del consumatore. Se ve ne fosse bisogno lo confermerebbe, al di là dell'esclusione espressa dalle procedure del S.S.N., l'ammontare dei costi per le varie prestazioni soggettive ed oggettive, che è di gran lunga preponderante al costo comunque a carico del S.S.N. Nè, si rileva, risulta essersi verificata l'ipotesi di esecuzione di prestazioni a carico del S.S.N. per l'emergere della complicazioni indicate dalla stessa riserva sopra riprodotta.

5. In base alle considerazioni svolte dev'essere affermata l'operatività nella controversia del foro del consumatore di cui al D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 33, lett. u), sulla base del seguente principio di diritto: Qualora il rapporto fra l'utente e la struttura sanitaria del S.S.N. (o convenzionata) abbia corso con l'espletamento di una serie di prestazioni aggiuntive, il cui costo sia posto direttamente a carico dell'utente e non del Servizio Sanitario Nazionale ed anzi con l'espressa esclusione dell'operatività delle procedure del S.S.N., come nel caso (di cui alla specie) di esecuzione di un intervento operatorio espletata da un medico della struttura sanitaria in regime intramurario, con addebito all'utente dei costi della sua prestazione e di altri medici nonchè di quelli della struttura, sulla base di un vero e proprio contratto intervento fra l'utente e la struttura del S.S.N., salvo per una parte minore che rappresenti il costo aziendale normalmente a carico del S.S.N., trova applicazione alla controversia di risarcimento danni derivanti dall'esecuzione della prestazione, introdotta dall'utente contro la struttura, il D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 33, comma 2, lett. m), in quanto nel rapporto, necessariamente da considerarsi su base unitaria, la struttura sanitaria (nella specie un'Azienda Ospedaliera Universitaria del S.S.N.) si è posta direttamente nei confronti dell'utente come "professionista". Sulla base di tale principio di diritto dev'essere dichiarata la competenza per territorio del Tribunale di Crotone, dinanzi al quale le parti riassumeranno la controversia. Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di regolamento di competenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Crotone. Nulla per le spese del giudizio di regolamento. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 - bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile - 3, il 16 ottobre 2014. Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2014

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LA MASSIMA

In tema di foro del consumatore di cui al D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 33, lett. u), qualora il rapporto fra l'utente e la struttura sanitaria del S.S.N. (o convenzionata) abbia corso con l'espletamento di una serie di prestazioni aggiuntive, il cui costo sia posto direttamente a carico dell'utente e non del Servizio Sanitario Nazionale ed anzi con l'espressa esclusione dell'operatività delle procedure del S.S.N.,trova applicazione alla controversia di risarcimento danni derivanti dall'esecuzione della prestazione, introdotta dall'utente contro la struttura, il D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 33, comma 2, lett. m), in quanto nel rapporto, necessariamente da considerarsi su base unitaria, la struttura sanitaria si è posta direttamente nei confronti dell'utente come "professionista". Cass. civ. n. 27391 del 24 dicembre 2014. 

 

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