DIRITTO CIVILE. Responsabilitą  disciplinare dell'avvocato che tiene una condotta volta ad ostacolare il suo ex cliente. Cass. Sez. Un. 17 novembre 2011 n. 24080.



Nota dell'Avv. Rosalia Terrei

La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi, su domanda di un avvocato, in merito alla legittimità di una decisione del CNF. 
In particolare un cliente, dopo aver revocato il mandato al professionista, formula esposto al Consiglio dell’Ordine degli avvocati, di appartenenza, il quale apre un procedimento disciplinare, vvendo rilevato sia la violazione degli art. e 33, 42 e 43 CDF, in quanto dopo la revoca del mandato teneva una condotta atta ad ostacolare il suo ex cliente sia per la violazione degli art. 5,6,7, e 8 CDF in quanto il suo comportamento era stato contrario ai doveri di proibità, lealtà, correttezza, fedeltà e diligenza.
Analizziamo seppur succintamente, il quadro normativo di riferimento e il procedimento disciplinare.
La responsabilità professionale si fonda sulla violazione di uno dei disposti codificati nel CDF, che, come modificato il 15 luglio 2011, consta di cinque titoli, e disciplina in primo luogo i principi generali (art. 1-21), a seguire il rapporto con i colleghi (art. 22-34), il rapporto con la parte (art. 35-47), il rapporto con la controparte, i magistrati e i terzi (art. 48-59) e si chiude con una disposizione di chiusara (art. 60).
L’irrogazione delle sanzioni disciplinari compete al Consiglio dell’Ordine forense, identificato secondo le regole di competenza previste dalla legge, ed al CNF. 
Tale competenza rientra tra le giurisdizioni speciali, e trovano fondamento costituzionale nell’art. 102, 2° co., cost. in quanto costituite prima dell’entrata in vigore della costituzione (r.d. 27.11.1933 n. 1578, e relativo regolamento di attuazione - d.lgs. lgt. 23.11.1944 n. 382). 
E’ necessario evidenziare che mentre le funzioni esercitate in materia disciplinare dai consigli forensi locali, e il relativo procedimento, hanno natura amministrativa e non giurisdizionale, quelle esercitate dal CNF ed il relativo giudizio hanno natura giurisdizionale. 
La competenza territoriale, ex art. 38, r.d. 1578/1933, avendo riguardo agli avvocati, deve essere individuata, in virtù del principio di prevenzione, in capo al consiglio dell’ordine presso il quale il professionista risulta iscritto, oppure al consiglio dell’ordine nella cui circoscrizione è avvenuta la presunta infrazione disciplinare. 
I conflitti di competenza sono risolti dal Consiglio Nazionale forense (art. 49, 3° co., r.d. 1578/1933 ed art. 3, d.lgs. C.P.S. 597/1947). 
Il procedimento disciplinare a carico di un avvocato può aprirsi a seguito di una qualsiasi segnalazione dei fatti dai quali scaturisce il presunto illecito disciplinare, innanzi al Consiglio dell’ordine forense competente. 
Dunque, lo stesso può attivarsi sia d’ufficio (ex art. 44, r.d. 1578/1933), anche su proposta di un qualsiasi membro del consiglio forense, sia su segnalazione di chiunque vi abbia interesse, attraverso l’esposto disciplinare. 
In merito ai soggetti legittimati a dare impulso al procedimento disciplinare oltre alla parte assistita, agli altri colleghi o all’Autorità Giudiziaria, l’esposto può essere presentato da chiunque, non essendo richiesto l’accertamento preventivo di alcun interesse ad agire, in capo a colui che lo propone, in quanto il procedimento disciplinare ha natura autarchica ed è volto a garantire il rispetto dei valori etici, morali e comportamentali, da parte di qualsiasi professionista forense. 
Ferme restando le differenze sia funzionali che sostanziali tra l’esposto disciplinare e la denuncia penale,  si ritiene sia applicabile per analogia il divieto di acquisizione dei documenti anonimi (artt. 240 e 333, 3° co., c.p.p.). 
Con la precisazione che l’acquisizione di un esposto anonimo può essere un atto di impulso per l’attivazione del potere di vigilanza del Consilgio dell’Ordine.
Ricevuto l’esposto si apre la fase preliminare del procedimento disciplinare, attraverso la quale si verifica l’assunzione di ogni elemento necessario alla valutazione dell’addebito. 
In questa fase, il Consiglio dell’Ordine forense può decidere di archiviare immediatamente la procedura se l’addebito risulta irrilevante od infondato. 
In materia disciplinare, il Consiglio dell’Ordine forense può esprimersi nella sua interezza, ovvero attraverso una sottocommissione, composta da un numero di consiglieri pari almeno alla metà più uno del totale. Della commissione disciplinare deve fare necessariamente parte il Presidente del Consiglio forense, od in sua assenza od impossibilità, il membro del consiglio più anziano del consiglio forense. 
Il Consiglio dell’Ordine forense deve comunicare al professionista l’apertura del procedimento disciplinare a suo carico e contestargli tutti gli addebiti. Tale comunicazione deve essere sottoscritta dal Presidente dell’Ordine forense, od in sua mancanza od impossibilità, dal membro del consiglio più anziano. 
Inoltre, l’avvio del procedimento disciplinare deve essere comunicata anche al Pubblico Ministero. 
Tutte le comunicazioni necessarie ai fini del procedimento disciplinare devono essere fatte a cura della segreteria, a mezzo lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, salvo che la legge non prescriva espressamente la notifica, nel qual caso essa deve avvenire attraverso l’Ufficiale Giudiziario (art. 46, r.d. 37/1934). 
E’ necessario precisare che la mancata comunicazione dell’apertura del procedimento sia nei confronti del professionista incolpato che del Pubblico Ministero, non determina alcuna invalidità  processuale. 
Infatti, l’art. 45, r.d. 37/1934, nella parte in cui dispone la comunicazione all’interessato di “ogni circostanza necessaria per metterlo in grado di proporre le sue deduzioni”, va interpretato nel senso che l’obbligo ivi previsto non si riferisce a tutti i documenti del procedimento disciplinare, ma solo a quelli che possano incidere sul suo diritto di difesa. 
Nella fase preliminare, svolta da un membro del consiglio forense, relatore ex art. 47 comma II RD 37/1934, si possono assumere ed integrare la documentazione e le fonti di prova necessarie, tale attività istruttoria potrà chiudersi o  con l’archiviazione o con il rinvio a giudizio. 
In ogni caso, l’omesso svolgimento delle indagini nella fase preliminare non determina l’invalidità del procedimento disciplinare, in quanto tale attività deve ritenersi opportuna ma non obbligatoria, come si evidenzia dal disposto dell’art. 47, 2° co., r.d. 37/1934. 
Nel caso in cui si decida per l’archiviazione, si procede alla comunicazione della stessa anche all’esponente, anche se non vi possibilità di opposizione all’archiviazione del procedimento disciplinare, né da parte dell’esponente che del Pubblico Ministero. 
Il procedimento archiviato può essere riaperto in qualsiasi momento, qualora emergano elementi nuovi, volti a sostenerlo e fermo restando la decorrenza della prescrizione. 
Se viene disposto il rinvio a giudizio, il Presidente del consiglio forense notifica all’incolpato la data di fissazione del dibattimento, concedendogli un termine di comparizione non inferiore a 10 giorni, che può essere prorogato, su richiesta dell’interessato, per giustificati motivi. 
Tale provvedimento deve necessariamente essere notificato anche al Pubblico Ministero (art. 48, r.d. 37/1934). 
Il professionista può difendersi personalmente od essere assistito da un legale (art. 45, 2° co., r.d. 37/1934). Egli può inoltre presentare testimoni e depositare documenti.  
L’udienza dibattimentale è presieduta dal Presidente del consiglio forense e non è pubblica (art. 42, 1° co., r.d. 37/1934). 
Il consigliere incaricato del procedimento apre l’udienza dando lettura della sua relazione, alla quale seguono l’interrogatorio dell’incolpato, l’eventuale esame dei testimoni e le deduzioni dell’incolpato.
La deliberazione finale è presa a maggioranza dei membri della commissione discplinare e in caso di parità, prevale la decisione del Presidente del Consiglio forense (art. 43, 3° co., r.d. 37/1934). 
Al procedimento ha facoltà di partecipare il Pubblico Ministero, ma non l’esponente, se non in qualità di testimone o per altre esigenze istruttorie.  
Secondo la costante giurisprudenza, la responsabilità disciplinare non può essere fondata esclusivamente sulle dichiarazioni dell’esponente, anche laddove siano rese in sede testimoniale, qualora la stessa non sia supportata da altri elementi probatori o da indizi concomitanti. 
Il professionista incolpato ha sempre diritto ad avere l’ultima parola, prima della chiusura del procedimento. Chiusa la discussione, il consiglio delibera a maggioranza, in camera di consiglio e successivamente dà lettura della decisione. Sia della fase dibattimentale che del dispositivo deve essere redatto processo verbale. 
La decisione disciplinare, la quale ha sostanzialmente natura di atto amministrativo, è redatto dal consigliere relatore e deve contenere l’esposizione dei fatti, i motivi della decisione, il dispositivo, la data e la sottoscrizione del Presidente del consiglio forense e del segretario. 
Per la validità della decisione è necessaria la sottoscrizione del Presidente e del segretario mentre l’indicazione del consigliere relatore ed estensore costituisce una mera disposizione regolamentare. 
La decisione del Consiglio dell’Ordine forense deve ritenersi valida anche se nella copia notificata all’incolpato sia stata omessa l’indicazione della data di deposito, considerando che la stessa non è prevista dall’art. 50, r.d. 1578/1933 tra gli elementi essenziali della decisione e che il termine di impugnazione decorre esclusivamente dalla notifica e non dal deposito della decisione. 
La decisione disciplinare diviene pubblica attraverso il deposito nella segreteria del consiglio forense che ha deliberato e con la notificazione all’incolpato ed al Pubblico Ministero presso il Tribunale in cui ha sede il Consiglio dell’Ordine forense, la quale deve avvenire entro 15 giorni dal deposito del dispositivo in segreteria (art. 50, r.d. 1578/1933). 
Il termine di 15 giorni per la notifica della decisione disciplinare non ha natura perentoria e la sua violazione non determina la nullità del provvedimento adottato. 
L'art. 50, 1° co., r.d. 1578/1933, va interpretato nel senso che la notificazione della decisione del Consiglio dell’ordine è necessaria soltanto nei confronti del professionista incolpato, e non anche del suo eventuale difensore. Questa disciplina non si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 cost., in considerazione della qualità dell’incolpato stesso e quindi il suo bagaglio di conoscenze tecnico giuridiche, che rendono detta notificazione idonea ad assicurare l’esercizio del diritto di difesa in fase d’impugnazione e non consentono di ravvisare un’ingiustificata disparità di trattamento, in relazione alle diverse regole inerenti alla comunicazione del deposito della sentenza resa in esito al procedimento penale, anche alla stregua della non equiparabilità di quest’ultimo al procedimento disciplinare. 
In seconda battuta si pronuncia il CNF, e avverso la decisione dello stesso il professionista può proposrre ricorso in Cassazione.
E ciò che è accaduto nel caso di specie.
Infatti, il professionista ha appellato la decisione del Consiglio dell’Oridne che da una parte lo assolveva e dall’altra gli infliggeva la sanzione della censura dinanzi al CNF, che rigettava l’appello.
Dunque, l’avvocato rimetteva la decisione alla Suprema Corte di Cassazione sulla base di quattro motivi, tutti rigettati, in quanto la decisione del CNF di ritenere sussistente la responsabilità disciplinare non può essere sindacata fondandosi su una ricostruzione dei fatti priva di errori logici e giuridici.
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Cassazione civile  Sez. Un. 17 novembre 2011 n. 24080
Con atto spedito in data 23/3/2011, l'avv. P.D. ha proposto ricorso contro la decisione in epigrafe indicata, inviatagli a mezzo posta il 21/2/2011 e ritirata il successivo 24/2/2011.
Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Monza non ha svolto attività difensiva e la controversia è stata decisa all'esito della pubblica udienza dell'8/11/2011.
DIRITTO
Dalla lettura della sentenza impugnata emerge in fatto che dopo avergli revocato ogni mandato, il sig. M.L. ha presentato un esposto nei confronti dell'avv. P.D., a carico del quale il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Monza ha poi aperto procedimento disciplinare per i seguenti capi d'incolpazione: 1) per avere violato gli artt. 33, 42 e 43 CDF perchè, dopo la revoca della sua nomina a difensore avvenuta con racc. r.r. del 25 luglio 2006, ricevuta il 3 agosto 2006, non si adoperava affinchè la successione nei mandati avvenisse senza danni per l'assistito sig. M.L. ed anzi, agiva in senso inverso non consegnando la documentazione nè la contabilità delle spese sostenute ed in particolare: a) richiedendo in data 3 novembre 2006 (e cioè a revoca già avvenuta), due copie autentiche con formula esecutiva della sentenza n. 789/2006 dei Giudice di Pace di Monza, pronunciata nella causa M. L./Comune di Villasanta ed Esatri spa e non consegnandole nè al cliente nè al nuovo difensore precludendo e/o comunque rendendo più difficoltosa ed onerosa la prosecuzione della difesa ed in particolare l'esecuzione del titolo in esame; b) non fornendo al cliente e al nuovo difensore copia delle fatture relative agli assegni fatti sulla Banca Popolare di Bergamo per l'importo rispettivamente di Euro 250,00, 1.000,00 e 1.400,00, precludendo in tal modo e comunque rendendo più difficoltosa ed onerosa l'eventuale attività di recupero di detti importi e comunque non fornendo al cliente informazioni che è obbligato a fornire ex art. 42 CDF, comma 2; c) non fornendo al cliente e al nuovo difensore copia della documentazione inerente un sinistro trattato nell'interesse del sig. M.L. con la Fondiaria Ass.ni (e in particolare copia della quietanza che ha definito il sinistro), violando in tal modo il disposto di cui all'art. 42 CDF ed impedendo e/o comunque rendendo più difficoltosa l'attività di verifica inerente la posizione.
2) Per aver violato gli artt. 5, 6, 7 e 8 CDF in quanto, in violazione dei doveri di probità, lealtà, correttezza, fedeltà e diligenza non consegnava al sig. M.L., suo assistito che in più sedi e forme gliene faceva esplicita richiesta a far tempo dal 25 luglio - 3 agosto 2006, i documenti di cui al capo 1)... E ciò nonostante esplicito impegno in tal senso assunto avanti alla Commissione Disciplinare dell'Ordine di Monza in data 26 marzo 2007".
Citato a giudizio per l'udienza del 6 aprile 2009, l'avv. P. ha depositato memoria ed al termine del dibattimento il Consiglio dell'Ordine lo ha assolto da una parte degli addebiti, infliggendogli la sanzione della censura per la mancata consegna delle copie della sentenza del Giudice di pace. L'avv. P. si è gravato al Consiglio Nazionale Forense che, però, ha rigettato l'appello con decisione contro cui l'incolpato ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, con il primo dei quali ha dedotto violazione di legge ed incongruità della motivazione, in quanto il giudice a quo avrebbe dovuto riconoscere la insanabile contraddittorietà della pronuncia del Consiglio dell'Ordine, che nel dispositivo aveva riferito la condanna ai capi le e 2, mentre nella motivazione l'aveva assolto da tali addebiti, ritenendolo responsabile di quelli di cui ai punti la e 2.
Con il secondo motivo, l'avv. P. ha sostenuto che il sig. M. non gli aveva corrisposto alcun compenso, per cui non poteva aver risentito nessun danno dalla mancata messa in esecuzione della sentenza del Giudice di pace, il quale si era limitato a condannare il Comune di Villasanta solo al rimborso di quelle spese legali che il M. non aveva, in realtà, mai pagato.
Con il terzo motivo, l'avv. P. ha nuovamente dedotto la violazione di legge e l'incongruenza della motivazione, sottolineando da un lato che la richiesta delle copie non aveva rappresentato un atto processuale o, in ogni caso, un'iniziativa arbitraria, bensì la semplice attuazione di una precisa volontà del M. e, dall'altro, che dal canto suo non era tenuto ad andare a consegnarle, ma soltanto a metterle a disposizione come, del resto, aveva puntualmente fatto senza frapporre alcun ostacolo al loro ritiro da parte dell'ex cliente che, anzi, aveva dovuto ad un certo punto citare addirittura in giudizio per costringerlo a prendere quanto, solo apparentemente, invocava.
Con il quarto motivo, l'avv. P. ha infine lamentato che pur avendo egli dedotto la inammissibilità della motivazione dal Consiglio dell'Ordine, che aveva giustificato l'applicazione della censura con l'esistenza di altri procedimenti disciplinari non ancora conclusi, il Consiglio Nazionale non aveva minimamente risposto, ma si era limitato a confermare la sanzione sulla base di argomentazioni diverse da quelle utilizzate dal Consiglio locale.
Così riassunte le difese del ricorrente, osserva il Collegio che secondo il Consiglio Nazionale Forense, l'inesatto richiamo dei capi d'incolpazione operato dal dispositivo della decisione del Consiglio dell'Ordine era stato il frutto di un mero errore materiale che aveva determinato una semplice discrepanza chiaramente percepibile e, perciò, incapace d'ingenerare ragionevoli dubbi sul contenuto e le ragioni della condanna dell'incolpato che, infatti, aveva impugnato in modo ampio ed articolato, mostrando così di non aver risentito alcun pregiudizio del suo diritto di difesa. Trattandosi di valutazione di merito non inficiata da vizi logici o giuridici nè adeguatamente contestata dall'incolpato, che in violazione del principio di autosufficienza del ricorso non ha nemmeno riprodotto il testo del provvedimento del Consiglio dell'Ordine, il primo motivo del ricorso dev'essere di conseguenza rigettato.
Parimenti da rigettare è anche il secondo motivo, a proposito del quale è sufficiente sottolineare che l'inadempimento del M. agli obblighi su di lui gravanti nei rapporti interni con il proprio difensore, non poteva comportare il venir meno del suo interesse a disporre del titolo esecutivo per ottenere, nei rapporti esterni con il Comune, il pagamento delle somme da quest'ultimo dovute.
Quanto al terzo motivo, giova innanzitutto precisare che il Consiglio Nazionale non si è interrogato sulla natura, processuale o meno, della richiesta delle copie nè ha sostenuto che l'avv. P. avrebbe dovuto spingersi a consegnarle anzichè limitarsi a metterle a disposizione, ma si è attenuto alle risultanze istruttorie, ritenendo ampiamente dimostrato dalle raccomandate in atti, nonchè dalle dichiarazioni del M. e del suo nuovo difensore, che ad un certo punto della vicenda l'incolpato aveva cominciato a porre in essere una condotta finalizzata ad ostacolare il suo ex cliente. In un quadro del genere, ha osservato il Consiglio Nazionale, risultava irrilevante accertare se la richiesta delle copie fosse stata o meno fatta su sollecitazione del M., perchè anche a prescindere dal fatto che la presentazione dell'istanza era avvenuta tre mesi dopo la revoca del mandato e, cioè, quando l'ex dente aveva già più volte domandato la restituzione della documentazione, quello che in realtà contava era che l'avv. P. non poteva non sapere che la loro mancata acquisizione avrebbe impedito al M. di procedere in forma esecutiva.
Malgrado tale consapevolezza, l'avv. P. si era però "univocamente mosso nella direzione di evitare la consegna delle copie della sentenza, ed" era "questo l'atteggiamento sostanziale che" andava iscritto a suo carico, "nessun rilievo potendosi dare a declaratorie di disponibilità" cui, al di là delle forme, erano "puntualmente seguiti atteggiamenti di segno" esattamente contrario.
In considerazione di quanto sopra, il Consiglio Nazionale ha quindi concluso per la sussistenza della responsabilità disciplinare dell'avv. P., esprimendo in tal modo un giudizio che non può essere sindacato in questa sede perchè basato su di una ricostruzione dell'accaduto immune da errori logici o giuridici.
Pure il terzo motivo del ricorso dev'essere, pertanto, rigettato al pari, d'altronde, del quarto, in relazione al quale sembra sufficiente rilevare che a fronte di una motivazione incongrua del Consiglio dell'Ordine, il CNF non era certo vincolato a darne atto e ad annullare di conseguenza la sanzione della censura, in quanto essendo anche lui giudice del merito (C. Cass. n. 8429 del 2004 e 15972 del 2009), ben poteva legittimamente confermarla sulla base di considerazioni diverse che, nel caso di specie, sono state ragionevolmente indicate nella "rilevanza del comportamento illecito" e nel mancato compimento di "alcun atto emendativo" da parte dell'incolpato.
Nulla per le spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Monza e la natura di parte in senso solo formale del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 8 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2011
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