DIRITTO AMMINISTRATIVO. Riservatezza e accesso difensivo. Cons. St. n. 5926 del 09 novembre 2011.
Nota dell'Avv. Rosalia Terrei
Il Consiglio di Stato con la sentenza che si annota si pronuncia sul diritto di accesso.
In particolare, una cooperativa presenta istanza di accesso all’INPS, per ottenere una copia di alcuni verbali, contenenti dichiarazioni di lavoratori e riguardanti operazioni ispettive svolte dall’ente nei locali della cooperativa stessa.
Nel corso di tale ispezione l’INPS aveva rilevato che il rapporto di lavoro instaurato, dalla cooperativa con due dottori, pur se formalmente qualificato come autonomo e professionale, in concreto presentava i caratteri tipici del rapporto subordinato. Pertanto, l’ente previdenziale irrogava una sanzione pecuniaria alla cooperativa a causa delle violazioni contributive accertate.
L’INPS rigettava l’istanza di accesso formulata dalla cooperativa sulla base di un regolamento interno, 16 febbraio 1994 n. 1951/94 (art. 17 alle. A) secondo il quale restano fuori dal diritto di accesso “le dichiarazioni rilasciate dai lavoratori che costituiscano base per la redazione del verbale ispettivo, al fine di prevenire pressioni, discriminazioni e ritorsioni ai danni dei lavoratori stessi”.
La cooperativa ricorreva ex art. 116 c.p.a , lamentando la violazione delle disposizioni e delle norme in tema di accesso ai documenti amministrativi.
In primo grado il TAR Liguria accoglieva il ricorso, ordinando l’accesso integrale ai verbali.
L’INPS impugnava la decisione di primo grado, lamentando l’erroneità della sentenza sia nella parte in cui aveva ravvisato l’esistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale in capo alla richiesta di di accesso e sia per aver affermato la prevalenza dell’interesse di accesso difensivo.
Il Consiglio di Stato ritiene il ricorso presentato dall’ente come infondato nel merito.
Infatti, è, a parere dei Giudici amministrativi, da ritenere sussistente un interesse diretto ed attuale sia alla richiesta di accesso che alla domanda ex art. 116 cpa.
Tale interesse era stato evidenziato dalla cooperativa nella richiesta ed individuato nell’esercizio del diritto di difesa, costituzionalmente garantito ex art. 24.
Dunque, la richiesta di accesso della cooperativa a parere dei Giudici Amministrativi è qualificabile come “accesso difensivo”, ex art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, che rappresenta un controlimite alle ipotesi di eslcusione dal diritto di accesso come disciplinate dalla stessa norma.
Inoltre, evidenzia il Consiglio di Stato che nemmeno la ratio del regolamento INPS richiamato dall’Ente stesso può condurre a conclusioni diverse. Infatti, le disposizioni preclusive al diritto di accesso recedono di fronte all’esigenza di tutela della difesa dei propri interessi giuridici, in quanto la realizzazione del diritto di difesa è garantita dall’art. 24, comma 7, l. n. 241 del 1990.
La decisione del Consiglio di Stato è un ottimo spunto per alcune consideraizoni sul diritto di accesso e sul bilanciamento delle stesso con il diritto alla riservatezza e alla difesa.
Il diritto di accesso è disciplinato dalla l. n. 241 del 1990, al Capo V intitolato “Accesso ai documenti amministrativi”, art. 22 e seguenti. Tale novella ha segnato il passaggio da un sistema incentrato sul principio di segretezza, ex art 15, D.P.R. n. 3 del 1957, ad un sistema basato sui principi di pubblicità e trasparenza, in applicazione dei canoni costituzionali di legalità, imparzialità e buona amministrazione.
L’accesso ai documenti amministrativi, ex art 22, l. n. 241, comma 2, costituisce principio generale dell’attività amministrativa, volto a favorire “la partecipazione” e “ad assicurare l’imparzialità e la trasparenza”. Sempre nella stessa norma, al comma 3, si legge “tutti i documenti amministrativi sono accessibili” salvo le esclusioni codificate ex art. 24.
I limiti al diritto di accesso, ex art. 24 l. n. 241/1990, sono classificati in tassativi, comma 1, ed eventuali comma 2.
Quelli tassativi, sono previsti dalla legge, a tutela di preminenti interessi pubblicistici, e non sono derogabili dalla Pubblica amministrazione. Quelli eventuali sono invece individuati dalla pubblica amministrazione attraverso il regolamento del Governo, adottato ex art. 17,comma 2, l. n. 400 del 1988, per la tutela di alcuni interessi primari enucleati dalla legge.
Al fine di un equilibrato bilanciamento tra i contrapposti interessi, il comma 7, individua il diritto alla difesa e alla tutela degli interessi giuridici che funge da controlimite. Infatti, l’accesso che sia necessario a tale scopo deve essere comunque garantito, anche se in contrasto con l’operatività di uno dei limiti sopra indicati.
I limiti principali al diritto d’accesso sono la segretezza e la riservatezza. La prima risponde all’esigenza di tutelare interessi pubblici, la seconda attribuisce rilevanza all’interesse privatistico.
La l. 241, dedica poche e scarne previsioni alla problematica del rapporto tra diritto di accesso e riservatezza. Il legislatore prevede diverse discipline a seconda del profilo di privacy involto nel documento di cui si chiede l’ostensione.
Possiamo affermare che in linea generale il legislatore ha previsto una disciplina comune per l’accesso agli atti che contengono dati comuni e sensibili e una disciplina invece speciale per i dati sensibilissimi.
Il rapporto tra il diritto di accesso e la tutela della riservatezza dei terzi è sempre stato uno degli aspetti più critici della disciplina dell’istituto in questione.
Prima della formulazione dell’art. 24, l. 241, la giurisprudenza aveva sostenuto che nel caso in cui fosse incisa la sfera di riservatezza dei terzi, l’accesso poteva avere luogo solo se indispensabile alla cura e alla difesa degli interessi giuridici (ex multis CDS n. 3536 del 2006). In tal caso infatti, la tutela della riservatezza è destinata a soccombere, anche se essa deve essere comunque salvaguardata con modalità diverse, senza però limitare il diritto di accesso.
Nella versione originaria la l. 241, prevedeva ex art 24, a tutela della riservatezza che l’accesso fosse previsto solo nella forma della visione. Successivamente alla novella del 2005, l’art. 22 lett. a) nel definire il diritto di accesso, crea un legame inscindibile tra la visione e l’estrazione di copia.
Ciò anche secondo l’interpretazione prevalente della giurisprudenza amministrativa, che sostiene l’inscindibilità delle due modalità ricomprese nel diritto di accesso, oggi non più separabili (TAR Puglia n. 337/2007).
Attualmente pertanto l’art. 59, del codice della privacy, prevede che per i dati ordinari e sensibili si applica la l. 241.
Con la conseguenza che l’istante potrà attenere l’ostensione dei documenti contenenti dati comuni afferenti alla sfera privata di terzi, qualora l’istanza di accesso sia correlata ad una situazione giuridica, tutelata dall’ordinamento, attestante l’interesse alla conoscenza del documento richiesto, in relazione all’interesse al bene della vita da tutelare.
Per i dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile all’esercizio del diritto di difesa. Dunque, il legislatore ha dirottato sugli enti e sull’autorità giudiziaria, in primo luogo il compito di verificare se nel caso concreto vi sia la legittimazione dell’istante all’accesso, in virtù di un interesse giuridicamente protetto connesso con il documento richiesto. In secondo luogo di valutare se e in che limiti l’accesso sia strettamente indispensabile alla tutela di tale interesse.
Tale disposizione inoltre, onera il soggetto istante a provare l’indispensabilità dell’accesso, del quale è fatta richiesta in relazione alla posizione giuridica da tutelare.
Nel bilanciamento dei contrapposti interessi l’amministrazione potrà individuare modalità di accesso tali da contemperare le diverse esigenze, nel tentativo di trovare un equilibrio che comporti la garanzia del diritto all’accesso con il minor sacrificio del diritto alla riservatezza.
Speciale protezione è invece, accordata ai dati sensibilissimi, e cioè a quelle informazioni che concernono lo stato di salute e la vita sessuale della persona.
Il legislatore italiano consente l’accesso a tali dati, ex art. 60 dlgs. 196/2003, solo se la situazione giuridica che si intende tutelare con la richiesta, sia di pari rango ai diritti dell’interessato.
In ogni altra situazione, in cui il richiedente promuova istanza di accesso per la tutela di diritti soggettivi o interessi legittimi, se pur rilevanti ma comunque subvalenti rispetto alla necessità di tutelare la riservatezza di dati riguardanti lo stato di salute o la vita sessuale di un'altra persona, sarà negato l’accesso.
Dunque, per i dati sensibilissimi il legislatore, ha attribuito all’ente richiesto e al giudice amministrativo in sede giurisdizionale, il compito di valutare il caso concreto e in particolare di effettuare una comparazione tra il diritto sotteso all’istanza di accesso, e quello alla riservatezza dei dati riguardati la salute o la vita sessuale di una persona, onde verificare se sussista la parità dei contrapposti valori, presupposto che secondo la legge consente l’ostensione dei documenti richiesti.
Alcuni interessi sono già stati oggetto di tale comparazione ad opera del legislatore e sono stati ritenuti idonei a consentire l’accesso.
Il riferimento è ai diritti della personalità e a ogni altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. Tale rinvio richiama un elenco di posizioni soggettive aperte, che comunque presuppongono una valutazione in concreto della loro sussistenza.
Il destinatario della richiesta, nel valutare il rango del diritto di un terzo, che possa giustificare l’accesso o la comunicazione, deve utilizzare, come parametro di riferimento, non il diritto di difesa ma il diritto sottostante che il terzo deve far valere sulla base del materiale che richiede.
Tale sottostante diritto, se fa parte della categoria dei diritti della personalità o è compreso tra le libertà fondamentali o diritti inviolabili è ritenuto ex lege di pari rango rispetto alla riservatezza, altrimenti deve essere valutato in concreto e comparato con questo.
La valutazione sull’istanza deve analizzare anche un ulteriore aspetto. In particolare infatti, ai fini dell’accoglimento dell’istanza è necessario rilevare se i dati personali idonei a rilevare lo stato di salute o la vita sessuale, oggetto di richiesta, siano effettivamente necessari al fine dell’esercizio del diritto di difesa del richiedente.
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Cons. St. n. 5926 del 09 novembre 2011
L’Istituto nazionale della previdenza sociale (d’ora in poi: ‘l’I.N.P.S.’, ovvero: ‘l’Istituto’) riferisce che la società cooperativa sociale ‘il Biscione’ ebbe a presentare alla competente sede provinciale in data 23 settembre 2010 un’istanza di accesso finalizzata all’ostensione dei verbali dell’accesso ispettivo svoltosi nell’agosto dello stesso anno presso i propri locali, al fine di prendere conoscenza delle dichiarazioni nell’occasione rese dai dottori Lo Faro e Magliani.
L’Istituto precisa in punto di fatto che, all’esito della visita ispettiva, era emerso che il rapporto instaurato con i dottori Lo Faro e Magliani, pur se formalmente qualificato come di carattere autonomo e professionale, presentava al contrario i caratteri tipici di un rapporto di carattere subordinato.
Conseguentemente, l’I.N.P.S. aveva irrogato a carico della società appellata una sanzione pecuniaria di notevole entità in relazione alle violazioni contributive nell’occasione accertate.
Con atto in data 3 novembre 2010, la sede territoriale dell’Istituto respingeva la richiesta di accesso, richiamando le previsioni di cui al regolamento 16 febbraio 1994, n. 1951/94 (art. 17 e allegato A) a tenore del quale restano sottratte al diritto di accesso agli atti e documenti amministrativi (inter alia) “le dichiarazioni rilasciate dai lavoratori che costituiscano base per la redazione del verbale ispettivo, al fine di prevenire pressioni, discriminazioni e ritorsioni ai danni dei lavoratori stessi”.
Pertanto, la soc. coop. Il Biscione instaurava un ricorso ai sensi dell’art. 116, c.p.a., lamentando che l’amministrazione avesse violato le disposizioni e i princìpi in tema di accesso ai documenti amministrativi.
Con la sentenza oggetto del presente gravame, il T.A.R. della Liguria accoglieva il ricorso e ordinava all’amministrazione di consentire l’accesso integrale (anche) ai verbali delle dichiarazioni rese dai lavoratori nel corso della visita ispettiva.
La pronuncia in parola veniva gravata in sede di appello dall’I.N.P.S. il quale ne lamentava l’erroneità articolando plurimi motivi di doglianza che possono essere così sintetizzati:
- in primo luogo, la sentenza sarebbe meritevole di riforma, per non aver tenuto conto che la società ricorrente in primo grado non aveva rappresentato l’esistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale all’ostensione dei verbali in questione;
- in secondo luogo, la sentenza in epigrafe risulterebbe erronea per aver affermato in modo sostanzialmente apodittico la prevalenza dell’interesse all’accesso c.d. difensivo, senza considerare che la ricorrente in primo grado non aveva addotto elementi significativi per dimostrare la strumentalità del richiesto accesso al fine di tutelale la propria posizione giuridica.
Si costituiva in giudizio la soc. coop. Il Biscione la quale concludeva in primo luogo nel senso dell’irricevibilità dell’appello e, nel merito, chiedeva che esso fosse respinto in quanto infondato.
Alla camera di consiglio del 27 settembre 2011 il ricorso veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Con il ricorso in epigrafe, l’Istituto nazionale della previdenza sociale (d’ora in poi: ‘l’I.N.P.S.’, ovvero: ‘l’Istituto’) chiede la riforma della sentenza del T.A.R. della Liguria con cui è stato accolto il ricorso proposto ai sensi dell’art. 116, c.p.a. da una società cooperativa sociale e, per l’effetto, è stato ordinato di consentire l’accesso integrale agli atti collegati alla visita ispettiva svoltasi nei locali della società nell’agosto del 2010, ivi compresi i verbali delle dichiarazioni rese da alcuni lavoratori della società.
2. Il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esame dell’eccezione di irricevibilità sollevata dalla società appellata in quanto il ricorso è comunque infondato nel merito.
3. In primo luogo, deve essere disatteso l’argomento secondo cui i primi Giudici avrebbero erroneamente ritenuto nel caso in esame la sussistenza di un interesse diretto ed attuale alla richiesta ostensione, corrispondente alla titolarità di una situazione giuridicamente tutelata e idoneo a determinare la prevalenza sul diritto alla riservatezza dei terzi.
Contrariamente a quanto dedotto dall’appellante Istituto, infatti, dalla documentazione in atti emergeva senz’altro la sussistenza di un siffatto interesse, in quanto tale idoneo a supportare sia la proponibilità della domanda ostensiva, sia quella dell’actio di cui all’art. 116 del c.p.a.
In particolare, la società appellata:
- aveva presentato la prima domanda di accesso in data 23 settembre 2010 (lo stesso giorno in cui era stato anche proposto il particolare ricorso di cui all’art. 17 del d.lgs. 23 aprile 2004, n. 124 ai fini dell’annullamento dell’atto di accertamento delle contestate violazioni lavoristiche), specificando che la domanda era proposta “al fine di tutelare e difendere, con i necessari elementi di valutazione, i propri interessi giuridici, nell’esplicazione dell’incomprimibile diritto di difesa costituzionalmente garantito, di poter prendere visione e, occorrendo, estrarre copia, di tutta la documentazione posta a corredo [del verbale di accertamento delle sanzioni]”;
- in sede di ricorso al T.A.R. aveva ulteriormente specificato che la richiamata domanda ostensiva era proposta “per poter pienamente esercitare il proprio diritto alla difesa, costituzionalmente garantito, sia in sede amministrativa (anche con ricorso già presentato nei termini di legge […]), sia insede giudiziaria innanzi l’Autorità competente, al fine di far accertare l’illegittimità del verbale irrogato (…)”.
In definitiva, non sussistono dubbi in ordine al fatto che la richiesta di accesso in questione fosse supportata dallo specifico interesse ad operare quella particolare forma di accesso c.d. ‘difensivo’ di cui è menzione espressa al comma 7 dell’art. 24, l. proc., e che rappresenta una sorta di immanente ‘controlimite’ alle ipotesi di esclusione dal diritto di accesso individuate dal medesimo articolo 24 (il comma 7 stabilisce, infatti, che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso si documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici”).
4. In secondo luogo si osserva che a conclusioni diverse rispetto a quelle appena tracciate non può giungersi neppure enfatizzando la litera e la ratio del regolamento INPS 16 febbraio 1994, n. 1951/94 (art. 17 e allegato A) secondo il quale – come anticipato in narrativa - restano sottratte al diritto di accesso agli atti e documenti amministrativi (inter alia) “le dichiarazioni rilasciate dai lavoratori che costituiscano base per la redazione del verbale ispettivo, al fine di prevenire pressioni, discriminazioni e ritorsioni ai danni dei lavoratori stessi”.
Al riguardo il Collegio ritiene di prestare puntuale adesione (non rinvenendosi nella specie ragioni per discostarsene) all’orientamento secondo cui le finalità che sostengono tale tipo di disposizioni preclusive - fondate su un particolare aspetto della riservatezza, quello cioè attinente all'esigenza di preservare l’identità dei dipendenti autori delle dichiarazioni allo scopo di sottrarli a potenziali azioni discriminatorie, pressioni indebite o ritorsioni da parte del datore di lavoro - recedono a fronte dell'esigenza contrapposta di tutela della difesa dei propri interessi giuridici, essendo la realizzazione del diritto alla difesa garantita "comunque" dall'art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990 (in tal senso, ex plurimis: Cons. Stato, VI, sent. 16 dicembre 2010, n. 9102; id., VI, 7 dicembre 2009, n. 7678; id., VI, 29 luglio 2008, n. 3798).
5. Per le ragioni sin qui esposte, il ricorso in epigrafe deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’Istituto appellante alla rifusione in favore della società appellata delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.500 (duemilacinquecento), oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2011
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