LIBERA CIRCOLAZIONE DIPINTO di SANT'ANTONIO da PADOVA. Cons. Stato n. 6479 del 6 settembre 2010.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso numero di registro generale 1871 del 2010, proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
(...)., rappresentato e difeso dagli avvocati (...), con domicilio eletto presso (...);
per la riforma
della sentenza del Tar Lazio – Roma, sez. II-quater, n. 94/2010, resa tra le parti, concernente DINIEGO DI RILASCIO DI ATTESTATO DI LIBERA CIRCOLAZIONE PER IL DIPINTO DI ANDREA SACCHI "SANT'ANTONIO DA PADOVA RESUSCITA UN MORTO".
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Carlo Orsi Antichità s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2010 il Cons. Rosanna De Nictolis e uditi per le parti l’avvocato dello Stato (...);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso di primo grado è stato impugnato il provvedimento dell’Ufficio esportazioni del Ministero per i beni e le attività culturali 4 giugno 2009 prot. 121B/13, recante il diniego di attestato di libera circolazione per il dipinto di Andrea Sacchi “Sant’Antonio da Padova resuscita un morto”, proveniente dalla collezione ex fidecommissaria Barberini-Corsini.
1.1. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con la sentenza in epigrafe ha accolto il ricorso ritenendo che:
a) è tuttora vigente, e ha valore di atto normativo primario, la disciplina derogatoria recata dal r.d.l. 26 aprile 1934, n. 705, convertito dalla l. 4 giugno 1934, n. 928, recante l’approvazione della convenzione intervenuta tra lo Stato e la famiglia Barberini-Corsini relativa alla collezione artistica dell’ex-fidecommesso Barberini;
b) in base a tale atto normativo il quadro in questione è già dichiarato liberamente esportabile.
1.2. Ha proposto appello l’Amministrazione statale, lamentando che:
a) alla luce dell’evoluzione del quadro normativo, si dovrebbe ritenere che il decreto-legge di approvazione della convenzione mirerebbe solo a esonerare dalla tassa di esportazione le opere d’arte rimaste nella disponibilità delle famiglie Barberini e Corsini, ferma restando la necessità di munirsi, secondo le regole generali, di attestato di libera esportabilità;
b) con la sopravvenienza del mercato comunitario, nel cui ambito sono stati aboliti dazi e tasse di importazione ed esportazione all’interno del mercato comunitario, la convenzione avrebbe perso la sua utilità pratica quanto alle esportazioni all’interno del mercato comunitario, mentre la manterrebbe quanto alle esportazioni extracomunitarie.
2. L’appello è da accogliere alla luce delle considerazioni che seguono.
2.1. Nel ricorrere al giudice amministrativo, l’appellata società ha invocato il regime speciale (da ritenere oggi salvo sul fondamento dell’art. 129, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, ieri su analoghe norme delle leggi generali di tutela) nascente dal r.d.l. 26 aprile 1934, n. 705, convertito dalla l. 4 giugno 1934, n. 928, che - al fine di superare il vincolo legale (di inalienabilità e di indivisibilità e, conseguentemente, di intrasferibilità all’estero) sulle raccolte romane ex fidecommissarie posto dall’art. 4, primo comma, l. 28 giugno 1871, n. 286 e succ. modd., di inverare per questa collezione la “legge speciale” prevista da quello stesso art. 4 e di derogare al regime ordinario dell’allora generale l. 20 giugno 1909, n. 364 - dà forza di legge alla convenzione 30 marzo 1934 tra lo Stato e la famiglie proprietarie delle opere d’arte che compongono il fedecommesso Barberini-Corsini, secondo la quale:
a) quel vincolo ex fiedecommissario viene estinto e la collezione di quadri, per l’effetto, divisa;
b) una parte delle opere (in Allegato A) viene ceduta gratuitamente allo Stato;
c) una parte delle opere (in Allegato C) rimane in proprietà privata ma con immediato vincolo storico-artistico ex l. n. 364 del 1909;
d) una parte delle opere (in Allegato B) rimane “in assoluta e libera proprietà dei principi Barberini e Corsini, per le quote rispettive”, con riconoscimento in loro favore della “facoltà di esportare i detti oggetti e quadri liberi e franchi da ogni e qualsiasi imposta e tassa di esportazione, dovendosi intendere ogni simile imposta e tassa già corrisposta con la cessione allo Stato degli oggetti di cui all’art. 2”.
2.2. La Sezione considera che l’opera di cui si verte fa parte di quelle dell’Allegato B) e pertanto, in forza di quella legge, fu allora regolata con previsioni particolari e concrete di eccezione alla stessa disciplina speciale delle raccolte ex-fidecommissarie. Nondimeno, proprio perché si tratta di legge eccezionale, l’applicazione della stessa non può essere condotta – in forza dell’art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale - oltre i casi e i tempi in essa considerati, vale a dire oltre i suoi propri intrinseci limiti.
Al riguardo, per ciò che riguarda il contenuto, si osserva che va condivisa la centrale e risolutiva tesi di parte appellante secondo cui le opere in allegato B non sono liberamente esportabili, ma solo esenti da imposte e tasse in caso di esportazione, alla luce delle considerazioni che seguono:
a) l’art. 2 della convenzione riconosce che i quadri in allegato B) sono “in assoluta e libera proprietà dei principi Barberini e Corsini”;
b) l’art. 3 , specificando la portata di questa affermazione, precisa che lo Stato “Riconosce altresì fin d’ora ai principi Barberini e Corsini la facoltà di esportare i detti oggetti e quadri liberi e franchi da ogni e qualsiasi imposta e tassa di esportazione, dovendosi intendere ogni simile imposta e tassa già corrisposta con la cessione allo Stato degli oggetti di cui all’articolo 2”;
c) in quel contesto, in relazione alle opere di cui all’Allegato B) - e per differenza con quelle dell’Allegato C) - la legge, mediante l’affermazione della “assoluta e libera proprietà”, afferma l’assenza di vincolo storico- artistico; ma poi non afferma anche la libertà di esportazione, bensì la sola esenzione fiscale in caso di esportazione.
Tanto in quanto ogni imposta e tassa si intende già corrisposta una tantum, con la cessione allo Stato dei beni di cui all’Allegato A).
L’esistenza di questa clausola circa la tassa da riscuotersi in sede di esportazione degli oggetti d’arte in uscita dal territorio nazionale sfuggirebbe a logica, per difetto assoluto del presupposto dell’imposta (prevista allora dall’art. 10 l. n. 364 del 1909), se - come afferma l’appellata società - il riconoscimento dell’“assoluta e libera proprietà” avesse comportato un affrancamento da ogni regime di tutela per quelle opere. Ne consegue che la portata effettiva del riconoscimento è essenzialmente tributaria. Questa considerazione supera ogni eventuale questione di compatibilità con l’art. 9 Cost. che deriverebbe da una diversa opinione;
d) la sinallagmaticità della convenzione sta dunque in ciò, che a fronte della cessione gratuita di determinati beni allo Stato, altri beni, ove esportabili, possono essere esportati in regime di esenzione dalla tassa di esportazione;
e) la sinallagmaticità non contempla invece un impegno dello Stato a considerare i beni liberamente esportabili senza controllo pubblico;
f) la regola, mai operante neppure nei confronti degli originari contraenti, della libera esportabilità senza controllo pubblico non vale a maggior ragione nei confronti degli aventi causa dei principi Barberini e Corsini, per i quali si potrebbe semmai, ove del caso, discutere se si trasmetta la regola dell’esenzione fiscale dell’esportazione (verso stati diversi da quelli in ambito Unione europea), in quanto economicamente corrisposta una volta per tutte;
Invero, oltre e indipendentemente dal profilo contenutistico (che già mostra l’infondatezza dell’assunta violazione della legge del 1934), circa i limiti della legge speciale invocata dalla Carlo Orsi Antichità s.r.l. contro il provvedimento va anche considerato che si esula qui dalle opere d’arte rimaste nella disponibilità delle famiglie Barberini e Corsini cui si riferisce quella legge, giacché:
1) il r.d.l. n. 705 del 1934, contenendo una regolamentazione di eccezione rispetto al sistema delle raccolte ex-fidecommissarie, è di stretta interpretazione anche quanto a beneficiari delle autolimitazioni delle potestà pubbliche. Coerentemente alla sua concreta funzione di scioglimento del vincolo ex-fidecommissario, vale a dire di un vincolo di matrice essenzialmente patrimoniale, il decreto-legge riconosce speciali prerogative solo a chi è parte della convenzione legificata, cioè ai principi Barberini e Corsini (e ai loro eredi), ma non anche ai terzi da questi aventi causa per contratto traslativo. Trattandosi di atto normativo che dà forza primaria ad una convenzione, vale a dire ad un atto contrattuale, al pari di quella non può spiegare effetti soggettivi oltre quelli propri dell’accordo di scioglimento del vincolo. Il che è come dire che, indipendentemente da quanto già rilevato, non può comunque imprimere alle cose che componevano la collezione, di cui all’allegato B) un’irrevocabile qualificazione oggettiva di irrilevanza storico-artistica, valevole indipendentemente da chi, cessato quel vincolo, ne acquisisca poi la proprietà una volta uscite dalla disponibilità delle famiglie che stipularono la convenzione. Per i terzi acquirenti, del resto, che non erano gravati da quel vincolo ex-fidecommissario, non vi sarebbe alcun equilibrio sinallagmatico e difetterebbe la ragione dell’abdicazione pattizia alla tutela: con loro non vi è patto da conservare. Il che è come dire che la legge del 1934 è atta a limitare lo Stato non in modo assoluto nei confronti di chiunque, ma solo inter partes, nei confronti dei soggetti dell’accordo (cfr. art. 1123 Cod. civ. del 1865; art. 1372 Cod. civ. del 1942), cioè i principi Barberini e Corsini, che difatti sono quelli espressamente menzionati dallo stesso decreto-legge;
2) pertanto con il r.d.l. n. 705 del 1934 la rinuncia dello Stato a proprie prerogative pubblicistiche (che sono solo quelle testé rilevate) va considerata avente effetto limitato alle parti stesse della convenzione, stante l’eccezionalità della rinuncia stessa in ragione dell’ordinaria indisponibilità delle funzioni di tutela. Perciò la rinuncia medesima è, alla luce del ricordato art. 14 delle Preleggi, di stretta interpretazione e non si estende ai terzi aventi causa.
3. La novità e la particolarità delle questioni giustifica la compensazione delle spese di lite in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione VI), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2010 con l'intervento dei Signori:
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/09/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
Email: [email protected]