Atto di precetto privo dell'avvertimento ex art. 480 co. 2 c.p.c.: nullità o irregolarità?

Il comma 2 dell’art. 480 cpc, a seguito della modifica apportata dal D.L. n. 83/2015, prevede l’avvertimento al debitore della possibilità di rivolgersi ad un organismo di composizione della crisi o ad un professionista nominato dal Giudice.



Il comma 2 dell’art. 480 cpc, a seguito della modifica apportata dal D.L. n. 83/2015, prevede l’avvertimento al debitore della possibilità di rivolgersi ad un organismo di composizione della crisi o ad un professionista nominato dal Giudice mediante un accordo o un piano del consumatore.

Il codice di procedura civile prevede in tema di esecuzioni una serie di avvertimenti di cui la parte procedente deve rendere edotto il debitore, per fare solo qualche esempio si pensi all’art. 492, comma 3, cpc, che stabilisce che il debitore deve essere avvertito della possibilità di accedere alla conversione del pignoramento.

O ancora all’art. 543, comma 2, n. 4 cpc, per il quale il terzo pignorato deve essere avvisato dal creditore procedente sulle possibili conseguenze a cui può andare incontro nel caso in cui non dovesse rendere la prescritta dichiarazione.

La particolarità dell’avvertimento previsto ex art. 480, comma 2, cpc è quella di informare il debitore che può accedere alle procedure di sovraindebitamento mediante la proposizione di un ricorso per la composizione della crisi.

Fatta questa premessa sul significato di tale avvertimento voluto da legislatore, occorre domandarsi se l’assenza dell’avvertimento nell’atto di precetto lo renda nullo o meramente irregolare.

L’art. 480, comma 2, così come modificato, nulla prevede circa le conseguenze derivanti dall’omissione dell’avvertimento de quo, mentre il primo periodo del secondo comma del citato articolo prevede espressamente la nullità del precetto nell’ipotesi in cui non siano indicate le parti, la data di notifica del titolo e la trascrizione del titolo ove prescritto dalla legge.

Ed allora vengono in soccorso i principi generali previsti dall’art. 156 c.p.c. dettati in tema di nullità processuali, il quale prevede espressamente che un atto processuale possa essere considerato nullo nel caso in cui la nullità per inosservanza della forma sia comminata dalla legge, nonché, anche in assenza di tale previsione, se l’atto comunque manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.

Pertanto l’atto di precetto, seppur privo del suddetto avvertimento previsto dalla Legge n. 3/2012, dovrà ritenersi comunque idoneo a raggiungere lo scopo processuale voluto dall’art. 156, III comma, c.p.c., che si identifica con l’intimazione rivolta al debitore della necessità di adempiere entro un termine non minore di dieci giorni, evitando l’esecuzione ed il conseguente aggravio di spese e con l’avvertimento che in difetto si procederà ad esecuzione forzata.

Anche recentissima giurisprudenza di merito si è pronunciata nel senso che il mancato inserimento dell’avvertimento ex Legge n. 3/2012 non comporta alcuna nullità del precetto.

Così sul punto il Tribunale di Roma – Sez. Lavoro – nella sentenza n. 363 del 19.01.2016, per il quale

Atteso che, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., la nullità di un atto processuale può essere pronunciata esclusivamente nei casi in cui la stessa è comminata dalla legge e che l’avvertimento che il debitore può, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore, non rientra tra i requisiti che l’atto di precetto deve contenere a pena di nullità, come reso palese dal testo della legge”.

Dello stesso tenore altra pronuncia del Tribunale di Frosinone del 28.01.2016, per il quale “l’omesso inserimento nell’atto di precetto dell’avvertimento sulla possibilità di porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento nei modi previsti dall’art. 480, comma 2, c.p.c., non comporta la nullità del precetto stesso, non essendo tale sanzione espressamente prevista dal legislatore”.

Da ultimo anche il Tribunale di Milano con la sentenza n. 4347 del 30.03.2016 ha avuto modo di pronunciarsi su tale questione, statuendo per la semplice irregolarità dell’atto di precetto privo dell’avvertimento ex art. 480, comma 2, cpc, e discostandosi in tal modo da precedente sentenza del medesimo Tribunale (ordinanza del 23.12.2015) che invece aveva ritenuto nullo il precetto laddove non fosse contenuto il prescritto avvertimento.

Va inoltre segnalato l’orientamento della Suprema Corte che in più occasioni ha ribadito che il debitore, peraltro, non vanta alcun interesse alla mera irregolarità formale del processo esecutivo, e gli ha, pertanto, imposto oltre alla deduzione del vizio, l’allegazione e soprattutto la prova della lesione delle prerogative processuali o sostanziali (ex multis Cass. Civ. n. 14774/14, Cass. Civ. n. 10327/14).

Il debitore, peraltro, non vanta alcun interesse alla mera irregolarità formale del processo esecutivo, in ultima analisi deve considerarsi che l’accesso alle procedure di sovraindebitamento non è comunque affatto precluso, né limitato dal compimento degli atti esecutivi successivi alla notifica del precetto, ed in ogni caso potrebbe comunque impugnare il primo atto di esecuzione nei suoi confronti compiuti deducendo che la mancanza dell’avvertimento non gli avrebbe consentito di introdurre tempestivamente un meccanismo per la soluzione del suo stato di crisi.

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