DIRITTO CIVILE. Cessione di quote sociali. Applicazione del divieto di concorrenza: decide il giudice di merito. Cass. 23 settembre 2011 n. 19430.
Nota della Dott.ssa Lucia Antonazzi.
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L’equivalenza tra cessione di quote di partecipazioni sociali e l’alienazione d’azienda, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2557 c.c. è oggetto di un accertamento di mero fatto compiuto dal giudice di merito.
L’eccezione di inadempimento dell’obbligo di non concorrenza ex art. 1460 c.c. non assume alcuna rilevanza rispetto all’obbligo di adempiere al pagamento del prezzo di cessione.
Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione respinge il ricorso avverso la decisione con cui la Corte di appello aveva rigettato la richiesta di risarcimento danni, per violazione del divieto di concorrenza, presentata dalla società cessionaria di quote di una s.n.c., nei confronti della quale era inadempiente di più rate del prezzo di cessione pattuito.
Richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimità, la Cassazione riconosce l’astratta possibilità che la cessione di quote di partecipazione in una società di capitali sia equiparata all’alienazione di azienda, ai fini dell’applicabilità del divieto di concorrenza previsto dall’art. 2557 c.c., determinandosi anche in questo caso il trasferimento della titolarità della stessa.
Le disposizioni dell’art. 2557 c.c., infatti, trovano applicazione non soltanto con riguardo alle ipotesi di alienazione di azienda intesa in senso tecnico, ma anche a tutte quelle altre ove si avveri la sostituzione di un imprenditore all’altro nell’esercizio dell’impresa, come conseguenza diretta della volontà delle parti o per un fatto da esse espressamente previsto (Cass. 91/13762).
Superando il precedente orientamento, che negava la possibilità di applicare il divieto di concorrenza oltre le ipotesi di alienazione di tutta o di un ramo di azienda, soprattutto con specifico riferimento all’ipotesi di cessione di quota sociale (Cass., 80/2669), la giurisprudenza di legittimità ha cambiato radicalmente posizione.
Sul presupposto che la ratio dell’art. 2557 c.c. è quella di disciplinare nel modo più congruo la portata degli effetti connaturali al rapporto contrattuale posto in essere dalle parti, non svolgendo funzione derogatoria del principio generale di libera concorrenza, dell’art. 2557 c.c. è ammessa l'estensione analogica nella misura in cui l’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito rilevi che la cessione abbia realizzato un "caso simile" all'alienazione d'azienda, producendo sostanzialmente la sostituzione di un soggetto ad un altro (Cass. civ.19 novembre 2008 n. 27505; Cass. 00/9682; Cass. 98/1643).
Nel caso di specie, invece la Corte di Appello, pur valutando potenzialmente come concorrenziale l’attività posta in essere dal cedente, non l’ha reputata idonea a ritrasferire in capo quest’ultimo il valore dell'avviamento ceduto e, proprio sulla base di un accertamento di fatto, ha escluso l'equivalenza fra cessione della quota e alienazione dell'intera azienda e quindi l’applicazione dell’art. 2557 c.c.. Ne, comunque, l’attività posta in essere è stata valutata sotto un profilo squisitamente concorrenziale visto che un'azione intesa al contrasto di una condotta qualificabile come concorrenza sleale, non era stata proposta.
Considerando ineccepibile il percorso motivazionale della Corte d’appello, la Cassazione inoltre rigetta le doglianze di parte ricorrente che vorrebbe sentire dichiarare inesigibile il credito vantato dal cedente nei suoi confronti, in mancanza della prova che accerti il rispetto del divieto di concorrenza fatto valere con l’eccezione di inadempimento, ex art. 1460 c.c.
Invero, fra obbligo di adempiere il pagamento del prezzo di cessione della quota sociale e la richiesta di risarcimento danni subito in conseguenza di una condotta sanzionabile ai sensi dell'art. 2557 c.c., non può esservi alcuna relazione.
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Cassazione civile sez. I, 23 settembre 2011 n. 19430
L.B. otteneva dal Pretore di Thiene decreto ingiuntivo per il pagamento di 18.333.333 lire corrispondenti a una rata del prezzo di cessione del 40% delle quote della società Forni Fiorini s.n.c. cedute, il 13 settembre 1994, a Z.G..
Proponeva opposizione la Z. deducendo che il L. aveva posto in essere dopo la cessione una attività concorrenziale a quella della F. F. nel corso della quale aveva contattato la clientela della F. F., ne aveva imitato i prodotti e utilizzato una foto pubblicitaria. Chiedeva la liquidazione in lire 50.000.000 dei danni subiti in misura pari al valore dell'avviamento.
Si costituiva il L. che contestava l'applicabilità alle cessioni di quote sociali dell'art. 2557 c.c., l'esistenza e l'ammontare del danno richiesto, e affermava la pretestuosità del comportamento della Z. che a fronte di un prezzo pattuito di L. 160.000.000 si era limitata a versare la somma di 68.300.000.
Al giudizio venivano riuniti due giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi relativi alle successive rate.
Il Tribunale di Vicenza accoglieva l'opposizione e liquidava in 50.000.000 il danno subito dalla Z..
Proponeva appello il L. che insisteva nel contestare l'applicabilità dell'art. 2557, e negava l'esistenza di atti concorrenziali ascrivibili alla sua persona. L'appellante riteneva altresì non provata l'entità del danno liquidata dal Tribunale a favore della Z..
La Corte di appello di Venezia ha ritenuto insussistente una attività concorrenziale da parte del L. capace di riappropriarsi del valore dell'avviamento ceduto e ha pertanto respinto la domanda di risarcimento danni della Z. e la sua opposizione ai decreti ingiuntivi.
Ricorre per cassazione Z.G. affidandosi a tre motivi di impugnazione.
Si difende con controricorso L..
La ricorrente deposita memoria ex art. 378 c.p.c..
DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso sì deduce la omessa, insufficiente e contraddittorìa motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio (cessione dell'avviamento incorporato nella quota del 40% del capitale della F. F. s.n.c., violazione dell'obbligo di non concorrenza in relazione all'art. 2557 c.c.). In particolare la ricorrente ritiene non congruamente e esaustivaitiente motivata la decisione della Corte di appello laddove non riconosce l'avvenuto trasferimento dell'avviamento afferente alla quota acquistata e laddove non riconosce l'espletamento di attività concorrenziale da parte del L. consistente nella creazione della s.r.l. K. F., nella progettazione e produzione di prodotti identici a quelli della Forni Fiorini s.n.c. e nei contatti con la clientela della Forni Fiorini.
Il motivo non coglie la ratio decidendi della Corte di appello che ha ben tenuto conto della valutazione dell'avviamento in relazione alla determinazione della quota ceduta e non ha affatto escluso l'espletamento di attività da parte del L. qualificabile astrattamente come concorrenziale ma ha escluso la rilevanza di tali accertamenti ritenendo, per un verso, non applicabile alla specie l'art. 2557 c.c., e non proposta nel presente giudizio un'azione intesa al contrasto di una condotta qualificabile come concorrenza sleale .
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2557 c.c.. La ricorrente chiede alla Corte di affermare che l'attività di concorrenza - costituita dalla progettazione, esecuzione e commercializzazione di prodotti identici - posta in essere dal cedente la quota del 40% di una società di persone, con l'attività della società della quale è stata ceduta la quota, costituisca violazione dell'obbligo di non concorrenza previsto dall'art. 2557 c.c., comma 1.
La giurisprudenza di legittimità in tema di divieto di concorrenza , è ormai costante nel ritenere che la disposizione contenuta nell'art. 2557 c.c., (secondo cui chi aliena l'azienda deve astenersi, per un periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziale una nuova impresa che sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta, appropriandosi nuovamente dell'avviamento) non ha il carattere dell'eccezionalità, in quanto con essa il legislatore non ha posto una norma derogativa del principio di libera concorrenza , ma ha inteso disciplinare nel modo più congruo la portata di quegli effetti connaturali al rapporto contrattuale posto in essere dalle parti. Pertanto, non è esclusa l'estensione analogica del citato art. 2557 c.c., all'ipotesi di cessione di quote di partecipazione in una società di capitali, ove il giudice del merito, con un'indagine che tenga conto di tutte le circostanze e le peculiarità del caso concreto, accerti che tale cessione abbia realizzato un "caso simile" all'alienazione d'azienda, producendo sostanzialmente la sostituzione di un soggetto ad un altro nell'azienda (cfr. Cass. civ., 1^ sezione, n. 27505 del 19 novembre 2008 che ha ritenuto immune da censure la pronuncia della corte territoriale, che, nel regime anteriore alla riforma societaria del 2003, aveva ritenuto non provata la cessione di azienda, in un caso di cessione del 50% delle quote ad altro socio, il quale già deteneva il restante 50% e rivestiva la carica di amministratore unico della società).
Nel caso in esame la Corte di appello ha motivatamente escluso l'applicabilità in via analogica dell'art. 2557 proprio sulla base di un accertamento di fatto che l'ha portata a escludere l'equivalenza fra cessione della quota del 40% e l'alienazione dell'intera azienda e la sostituzione dell'imprenditore cessionario a quello societario nella gestione dell'azienda. Deve quindi ritenersi che la decisione della Corte di appello corrisponde ai criteri interpretativi fissati dalla citata giurisprudenza di legittimità.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce l'omesso esame delle eccezioni di inadempienza e la violazione di legge (art. 1460 c.c.).
La ricorrente chiede alla Corte di affermare che il credito di L.B. non sia esigibile in presenza dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., della debitrice Z.G. all'obbligo di non intraprendere attività idonea a sviare la clientela della società della quale è stata ceduta la quota, in assenza di prova del rispetto del divieto di non concorrenza . Il motivo deve considerarsi assorbito dall'esame dei precedenti e comunque ne va rilevata l'infondatezza dato che la Corte di appello non ha preso in esame l'eccezione citata avendo ritenuto non applicabile alla specie l'art. 2557 c.c.. Inoltre nessuna correlazione, con riferimento all'art. 1460 c.c., può porsi fra obbligo di adempiere al pagamento del prezzo di cessione della quota sociale e richiesta di risarcimento danni per la condotta pretesamente sanzionabile ai sensi dell'art. 2557.
Il ricorso deve essere pertanto respinto con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 3.200 di cui 200 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2011
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