DIRITTO CIVILE. Conflitto di interessi in sede di assemblea: è annullabile la delibera? Cass. civ. 16 maggio 2011 n. 10754.



Nota dell'Avv. Silvia Gennaro.

L’esame della sentenza oggetto dell’odierno commento, ci permette di affrontare il tema di un eventuale conflitto di interessi in seno all’assemblea condominiale e conseguente annullabilità delle relative delibere. 

Il caso di specie ha origine in primo grado da un atto di citazione proposto da un condomino nei confronti del convenuto Condominio nel quale si chiedeva l’annullamento di una delibera assembleare e delle determinazioni della commissione dalla stessa nominata, in relazione all'approvazione di preventivi di spesa per la sistemazione del tetto e per la ripulitura del canale di gronda. Deduceva l’attore la determinante presenza in assemblea di due società esecutrici dei lavori di costruzione del fabbricato  e, per tale ragione, in conflitto di interessi. 
Il Tribunale rigettava la domanda attorea, così come la Corte d’Appello territoriale in sede di proposto gravame. Infine, l’originario attore, proponeva ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi di doglianza. 
In relazione al presunto lamentato conflitto di interessi, con il primo motivo, concludeva il ricorrente, che la deliberazione era da considerare illegittima perche' adottata con un quorum millesimale riferibile per oltre la meta' alle due societa'.
Occorre premettere come il conflitto d’interessi in materia condominiale non sia specificatamente disciplinato dal nostro codice. Gli unici due casi che si possono ravvisare riguardano quello del condomino portatore di un interesse che confligge con quello generale degli altri condomini e quello dell’amministratore incaricato a rappresentare uno o più condomini in occasione dell’assemblea.
Si sa che il condomino ha diritto sia di partecipare all’assemblea sia di essere partecipe con il proprio voto alla formazione della volontà del Condominio, ma nel momento in cui sussiste conflitto  d’interesse, non può votare, come più volte stabilito dalla Cassazione.
La stessa ha infatti affermato in una pronuncia assai risalente, che il voto del condomino in conflitto d’interessi con l’interesse del Condominio in generale non vale a formare la maggioranza (Cass n. 331/76) e, più recentemente, ha ribadito che, in applicazione dell’art. 2373 c.c., ossia delle norme in materia societaria, devono essere esclusi dal diritto di voto tutti quei condomini, che rispetto ad una deliberazione assembleare si pongano come portatori d’interessi propri in conflitto, anche potenziale, con quello del condominio (Cass. n. 6853/01); la votazione è invalida e dunque impugnabile solo se il voto di quel condomino è stato determinante per l'approvazione della delibera (cd. prova di resistenza). In questo modo si vuole evitare che il voto prestato in conflitto d'interessi risulti determinante ai fini dell'ottenimento della maggioranza assembleare. Pertanto se la mozione proposta dal condomino che vi ha interesse viene comunque approvata per effetto del voto di altri condomini, la delibera risulterà pienamente valida ed efficace, e la mancata astensione costituirà una mera irregolarità. 
Diversamente invece se  -escludendo dal computo il voto interessato- non risulti raggiunta la prescritta maggioranza dei voti espressi dai condomini "disinteressati", in tal caso si potrà ricorrere all'Autorità Giudiziaria per l'adozione degli opportuni provvedimenti. Da questa interpretazione restrittiva, nella prassi giudiziaria è frequente la tendenza a ridimensionare anche oltre il dovuto l'area delle deliberazioni annullabili, riconoscendo l'esistenza di un conflitto d'interessi giuridicamente rilevante solo ove la deliberazione irregolare abbia cagionato al condominio un danno patrimonialmente valutabile. Questa tendenza di fatto rende evidentemente difficile la proposizione di una impugnazione di carattere preventivo, ossia diretta ad evitare la consumazione del danno. 
In caso di impugnativa giudiziale pertanto, i profili dell'onere della prova dovranno essere valutati con particolare attenzione. 
Va ricordato in relazione alle casistiche dei ricorsi proponibili all’Autorità Giudiziaria dai condomini dissenzienti, come nella normativa dettata dal codice civile in materia di Condominio negli edifici vi è una norma, l'art. 1132,  in base alla quale il condomino che ritenga di non condividere la decisone presa dagli altri condomini in assemblea di promuovere una lite o di resistere ad una domanda proposta contro il condominio, può separare la propria responsabilità, in ordine alle conseguenze della lite. Tale norma, come ha osservato di recente la Suprema Corte, “contempera l'interesse del gruppo con quello del singolo titolare di interessi contrastanti, riconoscendo a quest'ultimo il diritto di sottrarsi agli obblighi derivanti dalle deliberazioni assunte sul punto” (Cass. civ., Sez. II, 15/05/2006, n.11126). E' opportuno, innanzitutto, rilevare che l'articolo in questione viene dichiarato inderogabile dal successivo art. 1138 c.c., il che significa che un regolamento di condominio, anche se di natura contrattuale, non può derogare a tale precisa disposizione di legge. La norma, inoltre, regolamenta le modalità con le quali il condomino intenda esercitare la facoltà di dissociarsi dalla lite e gli effetti che tale dissociazione gli comporta. 
La dichiarazione del condomino dissenziente di separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini per il caso di soccombenza del Condominio nelle liti che l'assemblea condominiale ha deliberato, va effettuata con atto notificato all'amministratore, a pena di decadenza, entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione. Mentre una giurisprudenza non recente ribadiva la necessità che il dissenso venga manifestato con atto notificato, non essendo sufficiente la dichiarazione resa a verbale, una recente pronuncia ha osservato che “in relazione alla dichiarazione di dissenso dei condomini rispetto alle liti, ex art. 1132 c.c., deve ritenersi che un equipollente, altrettanto valido, della notificazione e della lettera raccomandata, sia la dichiarazione di "dissociazione" resa dal condomino dissenziente immediatamente dopo l'adozione della deliberazione assembleare e fatta constare nel verbale dell'assemblea alla presenza dell'amministratore. In altre parole, il termine "notificazione", riportato nella citata norma, non deve essere inteso nella sua accezione tecnico-processuale, poiché non v'è ragione di imporre al condomino di differire la dichiarazione di dissociazione ad un momento successivo al termine dell'adunanza assembleare; l'art. 1132 c.c. non contempla, infatti, alcuno iato temporale, prescrivendo unicamente un termine finale: né lo stesso può ritenersi implicito nel riferimento al termine "atto notificato", da intendersi come "atto comunicato", in quanto tale atto ben può essere contenuto anche nel corpo del verbale assembleare” (Trib. Monza, Sez. I, 13/10/2005). 
Gli effetti che la comunicazione di dissociazione produce sono che nel caso di esito sfavorevole della lite, il condomino dissenziente non è tenuto al pagamento delle spese processuali dovute alla controparte e ha diritto di rivalsa per ciò che sia stato costretto a pagare per tal titolo alla parte vittoriosa (II comma, art. 1132 c.c.). In caso di soccombenza del condominio, le spese di lite vanno ripartite tra tutti i condomini, con esclusione di coloro che abbiano legittimamente manifestato il loro dissenso dalla lite. Se, diversamente, l'esito della lite è stato favorevole al Condominio, il condomino dissenziente, che ne abbia tratto vantaggio, è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente. Per "vantaggio" si deve intendere non semplicemente la mancata soccombenza, bensì un beneficio positivo che il condomino venga a conseguire dall'esito favorevole della lite. Va, infine precisato che il fatto che un condomino abbia manifestato il proprio dissenso circa la instaurazione di una lite, non ne impedisce la partecipazione alle assemblee nelle quali siano posti in discussione i termini per l'abbandono delle lite e la manifestazione del voto su tale punto, non essendo ipotizzabile una astratta ipotesi di conflitto di interessi, la cui sussistenza va invece verificata in concreto (Cass. n. 15360/01).
Con la già citata sentenza n. 6853/01 –evidentemente di particolare rilevanza-  è stata analizzata la legittimità di una delibera assembleare con cui era stata approvata l’esecuzione di alcuni lavori  relativi a parti comuni condominiali, rilevando che uno dei condomini portatore di 451 millesimi, era presidente del consiglio di condominio e rappresentante legale dell’impresa incaricata di eseguire i lavori. La Corte nel deliberare ha deciso che al computo della maggioranza in assemblea deve ritenersi applicabile la disciplina dettata in materia di conflitto d’interessi per le società di capitali, ma ha precisato che la situazione di conflitto d’interessi deve essere valutata con riferimento non agli interessi contrastanti tra i condomini, ma a un eventuale contrasto tra l’interesse del singolo partecipante al gruppo e quello istituzionale del Condominio, con la conseguenza che la semplice posizione di amministratore di una impresa  a cui viene affidata l’esecuzione dei lavori non basta, di per sé, a dare vita a un conflitto d’interessi, che è ipotizzabile soltanto in caso di in cui il condomino in questione, nella sua qualità di amministratore della società, persegue un interesse che contrasta  con l’interesse  all’esecuzione a regola d’arte e in modo economico dei lavori sulle parti comuni commissionati dal condominio.
Quindi la delibera condominiale risulta invalida solo quando si può dimostrare concretamente l’ingiusto vantaggio che il condomino in conflitto d’interessi intende assicurarsi a danno degli altri condomini, mentre  una valutazione generica ed astratta del conflitto non è sufficiente. Ne consegue che qualora i condomini si trovano in una situazione di conflitto d’interessi con il condominio possono partecipare all’assemblea condominiale ma devono astenersi dal votare.
E’ sempre necessario per individuare il conflitto d’interessi fra uno o più condomini  ai fini della validità della deliberazione assembleare, identificare e riportare nel relativo verbale i nomi dei condomini, sia quelli assenzienti che quelli dissenzienti, con i valori delle rispettive quote millesimali, pur in assenza di una espressa disposizione in tal senso, perché tale identificazione dei condomini è indispensabile ai partecipanti anche per la valutazione dell’esistenza di un eventuale conflitto d’interessi e in mancanza di tale precisazione la delibera è annullabile entro trenta giorni (Cass. n.10329/98).
Vi è infine la sentenza n.1201/02 in cui la Corte di Cassazione ha rilevato che il problema da risolvere in prima battuta che, nel caso di conflitto d’interessi tra il condominio e taluni partecipanti, le maggioranze da raggiungere per le deliberazioni debbano essere calcolate con riferimento a tutti condomini e al valore dell’intero fabbricato, oppure soltanto ai condomini ed ai millesimi che fanno capo ai singoli partecipanti che non si trovano in conflitto d’interessi in relazione alla delibera
La Corte ha infine concluso che nel Condominio le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono comunque quelle richieste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio (conf. Cass. n. 10329/98;   Cass. n. 810; Cass. n. 6853/01; Cass. n. 1201/02; Cass. n. 3944/02).
Il conflitto d’interessi può avere luogo anche quando l’amministratore rappresenta uno o più condomini in assemblea.
Innanzi tutto è necessario fare un’importante precisazione ovvero che la legge non disciplina specificatamente questa importante eventualità poiché chiunque può essere nominato amministratore di un edificio, dato che non è necessario essere dotati di qualche particolare requisito per adempiere a questo mandato.
Per cui è accaduto molto spesso che uno dei condomini sia stato nominato amministratore del suo stesso condominio, venendo così ad accumulare la carica di amministratore alla qualità di condomino.
In tal modo si può facilmente verificare la possibilità che si presenti qualche conflitto d’interessi. Una simile situazione ovviamente, non può avvenire se viene nominato un amministratore esterno.
Comunque, la giurisprudenza sanziona tale pregiudizio, e anche in questo caso ricorre all’applicazione delle disposizioni dettate in materia di società  e delle regole generali previste per la rappresentanza, affermando che deve ritenersi viziata in forza dell’art. 2373 c.c. analogicamente applicato, la delibera assembleare in cui il quorum formalmente rispettoso dell’art.1136 c.c. sia stato raggiunto attraverso l’intervento di un condomino nominato amministratore il quale non aveva diritto di votare per conto degli altri condomini.
Per chiarire ulteriormente il concetto si può affermare che, in mancanza di espressi divieti dell’assemblea o del regolamento di condominio, i condomini possono dare la propria delega all’amministratore, purché questo non la utilizzi per esprimere voti inerenti: bilancio dallo stesso redatto e nomina o riconferma dell’amministratore stesso.
Infine, sono annullabili le delibere su argomenti in cui l’amministratore-condomino, portatore di deleghe di altri condomini, potrebbe avere un interesse personale in contrasto con quello del condomino.
Tanto premesso, va da sé che un condomino può certamente proporre la propria impresa per lo svolgimento di lavori su parti comuni: infatti, la decisione finale spetta comunque all'assemblea, salvo divieto contenuto nel regolamento. 
Il professionista potrebbe però incorrere in responsabilità disciplinare, il che comunque non incide sulla validità ed efficacia della prestazione svolta nell'interesse del Condominio. 
Il primo motivo e’, pertanto,  privo di fondamento e va rigettato muovendo  dalla deduzione di un'ipotesi astratta di conflitto di interessi, che non ha riscontro nella giurisprudenza di questa Corte come sopra ampiamente argomentato.  
Per ciò che attiene gli altri due motivi, sono ritenuti parimenti inammissibili dalla Corte, in quanto dal testo della sentenza impugnata non risulta che il ricorrente abbia articolato ragioni di invalidita' dell'assemblea -o del suo verbale -ulteriori rispetto al conflitto di interessi.
Di conseguenza, anche in sede di legittimità, il ricorso va rigettato. 
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Cass. sez. II civ. n. 10754 del 16 maggio 2011.
RITENUTO IN FATTO
1. - Con atto di citazione notificato il 30 giugno 1994, To. Pa. convenne in giudizio davanti al Tribunale di L'Aquila il Condominio…….., chiedendo l'annullamento della delibera assembleare in data 28 aprile 1994 e delle determinazioni della commissione da essa nominata, concernenti l'approvazione dei preventivi di spesa per la sistemazione del tetto e per la ripulitura del canale di gronda.
L'attore dedusse la presenza determinante in assemblea della s.r.l. CO. Co. Bi. e della s.r.l. Fo. , in conflitto di interessi, perche' esecutrici dei lavori di costruzione del fabbricato.
Il Condominio resistette in giudizio.
Il Tribunale di L'Aquila, con sentenza depositata il 7 novembre 2001, rigetto' la domanda.
2. - La pronuncia e' stata confermata dalla Corte d'appello della stessa citta', che, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 6 settembre 2004, ha respinto il gravame del To. .
3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello il To. ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi.
L'intimato Condominio non ha svolto attivita' difensiva in questa sede.
4. - Il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata nella decisione del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - Il primo mezzo denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. La Corte d'appello non avrebbe tenuto conto della circostanza che dall'attivita' della commissione nominata in sede assembleare ben sarebbe potuta emergere una causa riconducibile a responsabilita' dell'impresa costruttrice-venditrice cui sarebbe conseguito l'obbligo dell'accollo dell'esborso necessario per le riparazioni in capo alla stessa s.r.l. Fo. . Sicche' il conflitto di interessi tra le Fo. e la Co. da un lato (la prima in via diretta, la seconda per essere controllata da due dei tre soci della prima) e gli altri condomini dall'altro era per lo meno potenziale, e la deliberazione era da considerare illegittima, perche' adottata con un quorum millesimale riferibile per oltre la meta' alle due societa'.
1.1. - Il motivo e' privo di fondamento.
In materia di condominio, ai fini della invalidita' della delibera assembleare, il conflitto di interessi puo' essere riconosciuto solo ove risulti dimostrata una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la maggioranza assembleare, ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio (Cass., Sez. 2, 18 maggio 2001, n. 6853; Cass., Sez. 2, 5 dicembre 2001, n. 15360).
A tale principio si e' attenuta la Corte d'appello, la quale ha rilevato, con congruo e motivato apprezzamento delle risultanze di causa, che l'assemblea era stata chiamata a deliberare in ordine alla sistemazione del tetto ed alla ripulitura del canale di gronda: attivita', questa, inquadrabile nella manutenzione ordinaria del fabbricato e non coinvolgente in alcun modo la responsabilita' del costruttore per presunti vizi dell'edificio, tanto piu' che nessun difetto costruttivo era stato dedotto o contestato.
Il ricorrente contesta questa conclusione, ma senza indicare quali elementi di prova il giudice d'appello avrebbe male o insufficientemente valutato. Generica - e priva di riscontri puntuali al tenore della decisione e al testo delle risultanze probatorie - e' la censura secondo cui la Corte di merito avrebbe erroneamente tenuto conto "della produzione - peraltro irrituale - di documenti che fanno riferimento a fatti verificatisi dopo il 28 aprile 1994".
Le critiche del ricorrente - oltre a risolversi nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito - non tengono conto del fatto che il sindacato di legittimita' ex articolo 360 c.p.c., n. 5, e' limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esaustiva motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l'iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata.
Di piu', esse muovono dalla deduzione di un'ipotesi astratta di conflitto di interessi, che non ha riscontro nella giurisprudenza di questa Corte, la quale richiede una deduzione ed una dimostrazione in concreto.
2. - Con il secondo motivo (omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia) ci si duole che il giudice d'appello non abbia speso neppure una parola sull'eccezione con cui si era fatta valere la violazione, da parte delle delibera assembleare, dell'articolo 17 del regolamento di condominio, sull'obbligo di astensione dei condomini dal partecipare a deliberazioni che abbiano per oggetto cose o servizi alla cui conservazione o gestione abbiano interesse.
Il terzo motivo (omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia) lamenta che il giudice d'appello non abbia affrontato l'argomento - ritualmente dedotto sin dal primo grado - della illegittimita' della deliberazione derivante dal fatto che dalla lettura del verbale non risulta se la stessa sia stata adottata a maggioranza ovvero all'unanimita'.
2.1. - L'uno e l'altro motivo sono inammissibili. Premesso che dal testo della sentenza impugnata non risulta che il To. abbia articolato ragioni di invalidita' dell'assemblea (o del suo verbale) ulteriori rispetto al conflitto di interessi, il ricorrente - il quale sostanzialmente denuncia un vizio di omessa pronuncia, che avrebbe dovuto essere prospettato deducendo la violazione dell'articolo 112 cod. proc. civ., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4, - omette di riportare, trascrivendoli, i motivi dell'atto di appello con cui, nel censurare la pronuncia di primo grado, sarebbero state dedotte le ulteriori ipotesi di invalidita' della delibera assembleare.
3. - Il ricorso e' rigettato.
Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo l'intimato svolto attivita' difensiva in questa sede.
P.Q.M.
LA CORTE 
rigetta il ricorso

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