DIRITTO CIVILE. Inopponibilitą del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale al comodante che ne chiede la restituzione in caso di sopravvenuto bisogno.
Nota dell'Avv. Nunzia Liberatoscioli.
La questione sottoposta alla Corte di Cassazione trae spunto dalla richiesta avanzata al giudice di prime cure dal proprietario di un immobile concesso in comodato e finalizzata ad ottenere la dichiarazione di cessazione di tale rapporto e il conseguente rilascio dell’immobile.
In particolare, l’immobile de quo era stato concesso in comodato dal genitore-proprietario al figlio ed alla moglie di quest’ultimo che, avevano destinato il bene a casa familiare. Successivamente, in seguito alla separazione coniugale, la casa era stata assegnata alla moglie, affidataria anche del figlio nato dal matrimonio; dopo qualche tempo, però, il comodante ne aveva chiesto invano il rilascio e, pertanto, al fine di rientrare in possesso dell’immobile, aveva citato in giudizio la comodataria.
Risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio, la nuora-comodataria aveva impugnato la pronuncia dinanzi alla Corte di Cassazione, adducendo, tra le altre cose, la violazione del provvedimento giudiziale di assegnazione dell’immobile quale casa familiare.
Ma la predetta censura è stata disattesa dalla Suprema Corte, secondo la quale, nel caso di concessione di un immobile in comodato da parte di un terzo proprietario del bene, perché venisse adibito a casa familiare, il successivo provvedimento, intervenuto nel giudizio di separazione coniugale, di assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi «non è opponibile al comodante allorché, come nella specie, lo stesso chieda la restituzione nell’ipotesi di sopravvenuto bisogno, segnato dai requisiti dell’urgenza e della non previsione, ai sensi dell’art. 1809, c.c., comma 2 (Cass., Sez. Un., n. 13603/04; Cass. n. 9253/05)».
Nella fattispecie in esame, il sopravvenuto bisogno «urgente e imprevedibile» del comodante, idoneo a giustificare la richiesta di restituzione immediata dell’immobile, ex art. 1809, comma 2, c.c., è stato individuato nella necessità del proprietario di rientrare in possesso dell’immobile, poiché un altro dei suoi figli gli aveva comunicato la sua intenzione di non volerlo più ospitare nella propria abitazione, per esigenze personali. Pertanto – ha concluso la Corte, «in tale ipotesi, il rapporto di comodato è esterno e si configura insensibile alle vicende processuali del vincolo matrimoniale».
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Cassazione civile, Sez. III, Sentenza 28 febbraio 2011, n. 4917
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va posto in premessa che nel controricorso si deduce la inammissibilità della impugnazione sotto due aspetti: mancata esposizione dei fatti di causa e dei quesiti.
Sotto questi aspetti, contrariamente all'assunto dei resistenti, il ricorso è ammissibile sia per quanto si evince dallo stesso e che mette il Collegio in grado di conoscere sufficientemente l'oggetto della controversia anche nei suoi presupposti di fatto e sia per la dedotta mancanza dei quesiti che non necessitano in questa ipotesi, essendo la sentenza emessa in data anteriore al 2 marzo 2006.
1. - Con il primo motivo, in estrema sintesi, la ricorrente lamenta che il giudice dell'appello non avrebbe affatto valutato la sua domanda riconvenzionale dispiegata in primo grado e attinente al rimborso delle spese sostenute a titolo di lavori urgenti e necessari sull'immobile adibito a residenza coniugale familiare, incorrendo, quindi, nella violazione dell'art. 112 c.p.c.
Il motivo va disatteso.
Di vero, il giudice dell'appello ha esaminato la documentazione esibita dalla L. per dedurne che essa non fosse sufficiente a superare la presunzione di gratuità del comodato "atteso che la predetta documentazione, peraltro riferita solo ad A. D. (il marito) appare compatibile con l'ordinaria utilizzazione dell'immobile che spetta al comodatario e con la posizione di comproprietario di 1/9 dell' A. medesimo" (p. 7 - 8 sentenza impugnata).
Con siffatta motivazione il giudice dell'appello ha mostrato di avere implicitamente disatteso la domanda riconvenzionale, per cui nessun error in procedendo, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 112 c.p.c., è rinvenibile nella decisione assunta.
2. - Con il secondo motivo, in estrema sintesi, la ricorrente si duole che erroneamente il giudice dell'appello avrebbe ritenuto esistente tra le parti un contratto di comodato, perché, nella fattispecie, mancherebbero sia la gratuità che la provvisorietà della concessione fatta.
Infatti, secondo il suo assunto, le spese sostenute in considerazione dello stato di decadenza dello stabile, lungi dal costituire un mero modus, rappresenterebbe il corrispettivo dell'immobile con natura di controprestazione, che, di per sé, è sufficiente per escludere la sussistenza di qualsivoglia comodato (p.8 - 9 ricorso).
Né il giudice del gravame avrebbe ritenuto sussistere una donazione indiretta, adottando al riguardo una motivazione che "reca non poche perplessità ed attesta palesemente l'errore di interpretazione in cui è incorso il primo giudice".
In tal modo formulata la censura va disattesa, in quanto, come è noto, la interpretazione del contratto e la sua qualificazione sono di esclusiva competenza del giudice del merito.
Nel caso in esame il giudice dell'appello, dopo avere affermato che la L. non aveva superato la presunzione di gratuità del comodato ha correttamente escluso anche la sussistenza di una donazione indiretta, in quanto non vi è stato alcun arricchimento dell'altra parte e perché "la possibilità di disporre di un immobile da destinare a casa familiare" si risolve "in un risparmio di spesa per detti coniugi (gratuità) e non in un incremento del loro patrimonio" (p. 8 sentenza impugnata).
Né la ricorrente allega, nemmeno in questa sede, alcun elemento da cui possa desumersi la volontà della D.P. e/o degli altri comproprietari di consegnare ai coniugi A. la casa con l'intenzione di favorire il trasferimento sostanziale della proprietà.
Ciò chiarito, non va trascurato il fatto che il giudice dell'appello ha dichiarato nuova e tardiva rispetto alle preclusioni di cui all'art. 416 c.p.c., la eccezione e su tale novità e tardività, così come dichiarate, nulla deduce l'attuale ricorrente.
3. - Con il terso motivo, anche qui in sintesi, la ricorrente lamenta che il giudice dell'appello l'avrebbe erroneamente condannata al rilascio dell'immobile, violando e disattendendo il provvedimento giudiziale di assegnazione dello stesso quale casa familiare, perché affidataria del figlio nato dal matrimonio.
La censura va disattesa.
Infatti, una volta chiarito che la madre di uno dei coniugi ha concesso in comodato l'immobile perché venisse adibito a casa familiare, il successivo provvedimento, intervenuto nel giudizio di separazione, di autorizzazione a favore di uno di essi - la L., sua nuora - ad abitare la casa stessa, emesso nei limiti normativi di cui all'art. 155 c.c., comma 4, non è opponibile al comodante allorché, come nella specie, lo stesso chieda la restituzione nell'ipotesi di sopravvenuto bisogno, segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione, ai sensi dell'art. 1809 c.c., comma 2, (Cass. S.U. n. 13603/04; v. anche Cass. n. 9253/05).
Peraltro, il giudice dell'appello, in virtù della documentazione offerta dai certificati medici depositati in giudizio e dalla lettera, in atti, con la quale uno dei figli della D.P. comunicava alla madre la propria intenzione di non volerla più ospitare, per esigenze personali nella propria abitazione, ha rinvenuto proprio nel caso in esame la sussistenza di quel bisogno sopravvenuto caratterizzato dalla urgenza e dalla non previsione, ovvero integrante la fattispecie di applicabilità della norma di cui all'art. 1809 c.c., comma 2.
In altri termini, in tale ipotesi il rapporto di comodato è esterno e si configura insensibile alle vicende processuali del vincolo matrimoniale.
4.- Il quarto motivo, con cui la ricorrente lamenta che erroneamente, con motivazione apodittica, il giudice dell'appello avrebbe ritenuto di non ammettere i mezzi istruttori riproposti in secondo grado, va disatteso per le considerazioni precedentemente svolte circa la qualificazione ed interpretazione del rapporto giuridico intercorrente tra le parti.
Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di Euro 5.200/00, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011
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