DIRITTO CIVILE. La quietanza di pagamento rilasciata dal notaio non puā˛ valere quale prova dell'esistenza del contratto di compravendita. Cass civ. 30 marzo 2012 n. 5158.



Corte Di Cassazione Sez. Seconda Civ. - Sent. del 30.03.2012, n. 5158

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 18 novembre 1998 T. A. convenne dinanzi al Tribunale di Palermo la A. ed il notaio E.M. riassumendo, a seguito di declaratoria di incompetenza del Pretore, la causa di intimazione di sfratto per morosità promossa dall’A. in relazione ad un appartamento da lei occupato sito in via (…) ed alla quale ella si era opposta contestando il rapporto di locazione e rivendicando la proprietà dell’ appartamento per aver acquistato dal notaio E.M. nella sua qualità di curatore dell’eredità giacente di O.G. chiese, pertanto, che fosse dichiarata la sua proprietà dell’immobile o comunque che ne fosse disposto il trasferimento in suo favore ai sensi dell’art. 2932 cod. civ. o, in subordine, che il notaio fosse condannato al risarcimento di tutti i danni da lei subiti a causa della mancata conclusione del contratto definitivo di vendita.
Le parti convenute si opposero alle domande, negando che fosse stato mai concluso con l’attrice alcun contratto anche preliminare, per la vendita dell’immobile.
Il giudice di primo grado, con sentenza del 10 agosto 2004, respinse le domande della T.
Interposto gravame, la pronuncia fu integralmente confermata dalla Corte di appello di Palermo con la sentenza n. 1846 del 24 novembre 2009. Il giudice di secondo grado motivò la sua decisione disattendendo in via preliminare I’ eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’A. per non essere la stessa proprietaria dell’appartamento di cui si discute che dichiarò inammissibile in quanto, risolvendosi in una eccezione di merito, non era stata tempestivamente proposta nel termine perentorio fissato dal giudice di primo grado ai sensi dell’art. 183, comma 5, cod. proc. civ.; nel merito affermò che il documento scritto prodotto in causa dall’attrice a sostegno delle proprie domande di accertamento della proprietà del bene ovvero del suo trasferimento ex art. 2931 cod. civ., consistente in una ricevuta datata 31 gennaio 1980 con cui il notaio M. nella sua qualità di curatore dell’eredità giacente, dava atto del versamento da parte della T. Idell’importo di lire 10.000.000 per la compravendita dell’appartamento oggetto, era atto inidoneo ad integrare l’esistenza di un contratto, mancando in esso i requisiti essenziali del contratto richiesti dalla legge che, per i negozi traslativi di immobili, devono risultare dall’atto stesso e non possono essere dedotti aliunde; dichiarò infondata l’eccezione di usucapione formulata dalla parte attrice nel corso del giudizio, rilevando che, essendo pacifico che l’occupazione del bene era avvenuta non prima del 1980, il termine ventennale necessario per usucapire non si era perfezionato, essendo stato interrotto dall’ intimazione di sfratto per morosità inviata dall’A.; respinse la richiesta di risarcimento danni avanzata nei confronti del notaio, assumendo che, mancando nella specie un valido vincolo contrattuale questi non poteva essere ritenuto inadempiente.
Per la cassazione di questa decisione, notificata il 15 dicembre 2009, con atto notificato il 20 gennaio 2010 ricorre T.A. affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso l’ A . quale successore, ai sensi della legge della Regione Sicilia 14 aprile 2009, n. 5, dell’ A. Si è pure costituita C.M. quale erede universale di C.A., che a sua volta era succeduta a M.E, la quale propone anche ricorso incidentale condizionato, sulla base di un solo motivo, cui la T. replica con controricorso.
Motivi della decisione
Il primo motivo del ricorso principale proposto da T.A. denunzia violazione dell’art. 360 n. 4 cod. prac. civ. in relazione agli artt. 99, 112, 183, comma 5, 345 cod. proc. civ . e 1158, 1165 e 2907 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per non avere esaminato il motivo di appello che lamentava la violazione da parte della pronuncia di primo grado del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per non avere il Tribunale considerato le conclusioni dell’attrice come modificate e precisate nella memoria depositata ai sensi dell’art. 183, comma 5, cod. proc. civ. con cui essa aveva eccepito la mancanza di legittimazione attiva dell’ A. e l’intervenuta usucapione
del bene in suo favore.
ll mezzo è infondato.
Per quanto è dato di comprendere dalla sua non chiara illustrazione, il motivo, che pure indica nella sua intestazione numerose disposizioni di legge, si risolve nell’unica censura di omessa pronuncia. In particolare non risulta esplicitamente investito da alcuna critica il capo della decisione con cui la Corte di appello ha dichiarato inammissibile l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’A., sul presupposto che essa non era stata formulata nei termini, vale a dire con la memoria ex art. 183, comma 5, cod. proc. civ. La stessa ricorrente rappresenta, anzi di avere proposto su questo punto richiesta di revocazione della sentenza della Corte di appello per errore di fatto, deducendo che, contrariamente a quanto affermato dal giudicante, la relativa eccezione era contenuta nella memoria suddetta.
Tanto precisato, il mezzo va respinto dovendosi escludere che la Corte di appello sia incorsa nel vizio denunziato di omessa pronuncia, dal momento che essa ha esaminato e si è pronunciata sulle due eccezioni sollevate dall’attrice, dichiarando inammissibile quella di difetto di legittimazione della controparte ed infondata quella di usucapione, per l’assorbente rilievo circa il mancato decorso del termine ventennale.
Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 99 112, 183, comma 5, 345 cod. proc. civ. e 1158, 1165 e 2907 cod. civ., assumendo che la sentenza impugnata è caduta in contraddizione in quanto non poteva, da un canto argomentare che l’eccezione di usucapione era stata sollevata dall’appellante nella memoria ex art. 183, V comma, c.p.c. non essendo soggetta alla preclusione di cui all’art. 184, comma 4 c.p.c.; per poi sostenere che non era stata sollevata detta eccezione tanto più che sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva l’ A.si era difesa nel merito. Il giudice a qua ha inoltre valutato le difese dell’attrice secondo criteri puramente formali, trascurando il loro contenuto sostanziale.
Il motivo va dichiarato inammissibile sia per la sua scarsa intellegibilità, che in ragione del rilievo che esso prospetta un vizio di motivazione in relazione all’applicazione di norme processuali, che di per sé non è configurabile, essendo il vizio di motivazione denunziabile solo con riguardo ad accertamenti di fatto, non con riferimento all’applicazione di norme di diritto, siano esse sostanziali o processuali (Cass. S.U. n. 21712 del 2004 ).
La censura che contesta l’interpretazione fatta dal giudice a quo delle domande e delle difese svolte in giudizio dall’ attrice appare invece eccessivamente generica, non indicando il motivo quali specifiche proposizioni o richieste siano state nella specie mal valutate e perché esse avrebbero dovuto essere apprezzate in modo diverso.
Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. dell’art. 360 n.n, 3 e 5 cod. proc. civ. in relazione all’art. 2932 cod. civ. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, lamentando che la Corte di appello abbia escluso che la ricevuta compromissoria potesse valere come valido impegno contrattuale di trasferire il bene, senza verificarne attentamente il contenuto, operazione che, se fosse stata eseguita, avrebbe dimostrato che tale documento conteneva tutti gli elementi essenziali del contratto preliminare di compravendita, come del resto riconosciuto dallo stesso notaio nell’istanza da lui diretta al Tribunale di Palermo in cui chiedeva l’autorizzazione a stipulare con la T. il contralto di trasferimento definitivo. Il motivo è infondato.
La Corte di merito ha ritenuto che il documento prodotto dall’attrice a sostegno delle sue domande integrasse una mera ricevuta di pagamento, inidonea in quanto tale a configurare I’ esistenza di un contratto, difettando i requisiti essenziali dello stesso, aggiungendo che tali elementi nei contratti da stipulare per alto scritto a pena di nullità, debbono risultare dal medesimo scritto e non possono essere ricavati aliunde.
Questa conclusione appare sottrarsi alle censure di difetto di motivazione e di violazione di legge sollevate dalla ricorrente.
L’accertamento del giudice di merito appare infatti conforme al contenuto dell’atto datato 31 gennaio 1980, come richiamato in sentenza e nello stesso ricorso, consistendo esso nella dichiarazione del notaio M., resa nella sua qualità di curatore dell’eredità giacente di O.G.di ricevere, per conto della sign.ra M.Z. Presidente delle D. individuata come legatario dell’appartamento di cui si controverte ), la somma di lire 10.000.000 a titolo di caparra confirmatoria rispetto al prezzo complessivo determinato in lire 24.000.000. La soluzione del giudice di merito, che ha escluso che tale dichiarazione integrasse un atto contrattuale, per mancanza in essa di una manifestazione della volontà delle parti, rispettivamente, di vendere e di acquistare il bene, appare correttamente ed adeguatamente motivata. Costituisce del resto orientamento costante di questa Corte, che nella specie deve trovare ulteriore conferma, che ad integrare l’atto scritto, richiesto ad substantiam per i contratti che trasferiscono la proprietà di immobili, non è sufficiente un qualsiasi documento, ma occorre che lo scritto contenga la manifestazione della volontà di concludere il contratto e sia posto in essere al fine specifico di manifestare tale volontà, con l’effetto che non vale ad integrare il contratto una dichiarazione di quietanza, che presuppone il contratto dà la prova dell’avvenuto pagamento, ma non pone in essere il contratto stesso ( Cass. n. 7190 del 1997; Cass. n. 2065 del 1989; Cass. n. 3570 del 1968 ).
Si aggiunga, inoltre, che ad escludere l’efficacia contrattuale di tale atto e che quindi esso potesse costituire titolo valido per ottenere il trasferimento del bene ai sensi dell’ art. 2932 cod. civ. soccorreva, nel caso di specie, la circostanza che la Compagnia delle D. per cui conto l’atto del 31 gennaio 1980 era stato redatto, aveva poi manifestato il proprio disinteresse al legato, che, in forza di quanto espressamente disposto dalla testatrice, veniva assegnato alla Banca (…) presso l’Ospedale (…), poi confluito nell’ A., sicché l’atto in parola risulta a anche redatto per conto di persona non legittimata a disporre del bene. Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. in relazione all’art. 1218 cod. civ. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, lamentando, anche perché priva di adeguata motivazione, il rigetto della domanda di condanna del notaio al risarcimento dei danni per inadempimento, avendo la Corte omesso di considerare sia la volontà espressa dalla T.
di addivenire alla stipula del contratto definitivo, che l istanza che il M. aveva presentato al Tribunale di Palermo per essere autorizzato alla conclusione del contratto. La Corte non ha inoltre valutato il comportamento del curatore aveva ingenerato in capo alla promissoria acquirente inutili aspettative.
Il motivo non è fondato.
La Corte palermitana ha respinto la domanda di risarcimento dei danni rilevando che il notaio nominato curatore dell’ eredità giacente non poteva considerarsi inadempiente all’obbligo di trasferire il bene, non avendo egli mai assunto alcun impegno contrattuale in tale senso. La conclusione, che muove dalla premessa non oggetto di censura che la domanda di risarcimento del danno proposta in giudizio fosse fondata su un asserito inadempimento contrattuale del notaio medesimo, appare ineccepibile e merita conferma, risultando appropriatamente giustificata dalla affermazione che tra le parti non era intervenuto alcun accordo contrattuale.
La censura da ultimo dedotta nel motivo, secondo cui il notaio avrebbe dovuto comunque essere dichiarato responsabile per avere ingenerato in capo all’attrice un legittimo affidamento sulla conclusione del contratto di compravendita, appare invece inammissibile, risolvendosi nella proposizione di una domanda nuova, fondata su un titolo di presunta responsabilità precontratruale, mai dedotto dalla parte nel corso del giudizio di merito.
ll quinto motivo lamenta la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., assumendo che la soccombenza delle controparti avrebbe dovuto portare alla loro condanna alle spese di lite.
Il mezzo è inammissibile e comunque infondato, dal momento che la Corte di merito ha regolato le spese di lite, in conformità con il criterio della soccombenza processuale, in ragione del rigetto delle domande formulate dalla appellante.
Il ricorso principale va pertanto respinto.
Il ricorso incidentale avanzato da C.M. va di conseguenza dichiarato assorbito, risultando proposto solo in via condizionata all’accoglimento di quello principale.
Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico della ricorrente T., quale parte soccombente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale; condanna la ricorrente T. al pagamento delle spese di giudizio sostenute dalle controparti, che liquida, per ciascuna di esse, in euro 2.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Depositata in Cancelleria il 30.03.2012

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