DIRITTO DEL LAVORO. Il datore di lavoro è obbligato a concedere il part-time al dipendente? Cass. civ. lav. 4 maggio 2011 n. 9769.



Nota dell'Avv. Nunzia Liberatoscioli.

Lamentando il rifiuto del datore di lavoro in ordine al mancato rinnovo del rapporto a tempo parziale, il dipendente di un istituto di credito adiva il giudice, per veder affermato «il proprio diritto a tale trasformazione», considerando, tra le altre cose, che lo stesso istituto di credito presso il quale egli svolgeva la propria attività lavorativa aveva accolto richieste di contenuto identico avanzate da altre due colleghe della medesima sede. Dal canto suo, la banca, in assenza di esigenze aziendali in ordine alla pretesa trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, aveva respinto tale richiesta «per assenza di una posizione giuridica qualificabile come diritto, perché […] il datore di lavoro era soltanto facultizzato – e non obbligato – ad accogliere domande di trasformazione del rapporto a tempo parziale».

In primo grado, la domanda del ricorrente veniva rigettata, mentre in appello, il giudice dichiarava il diritto del lavoratore alla trasformazione del rapporto lavorativo in part-time e, di conseguenza, condannava l’istituto di credito ad effettuare tale trasformazione.
Giunta la causa dinanzi alla Corte di Cassazione, gli Ermellini, dopo aver richiamato la normativa prevista, in tale settore, dalla contrattazione collettiva, hanno accolto il ricorso proposto dal datore di lavoro, escludendone la condanna ad effettuare la trasformazione del rapporto di lavoro del dipendente da tempo pieno a tempo parziale.
In particolare, la Suprema Corte ha ribadito quanto già affermato dal giudice di appello, per cui, sulla base del quadro normativo di riferimento, «la posizione del lavoratore aspirante alla trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non può essere qualificata in termini di diritto soggettivo, nel senso che, ricorrendo una delle fattispecie indicate [dalla contrattazione collettiva], il lavoratore istante abbia senz’altro diritto alla concessione del part-time; ciò in quanto, in via prioritaria, debbono sussistere le esigenze organizzative e produttive aziendali atte quantomeno a permettere, se non ad esigere, che alcune prestazioni lavorative, in una determinata unità produttiva, siano svolte in regime di tempo parziale». Di conseguenza, ha proseguito la Corte, «solo ed esclusivamente il datore di lavoro può – nell’esercizio della discrezionalità che gli competete in tutto ciò che attiene agli aspetti organizzativi dell’impresa – stabilire se effettivamente ci sia bisogno di prestazioni a tempo parziale e se le richieste avanzate in tal senso dai dipendenti rispondano alle esigenze aziendali medesime, sì da potere trovare accoglimento. Si tratta, quindi, di un potere discrezionale il cui esercizio non è sindacabile dal dipendente». 
In tal modo, «una volta […] che il datore di lavoro abbia ritenuto sussistenti, in una determinata unità produttiva e con riguardo a specifiche mansioni, l’esigenza di prestazioni a tempo parziale, nonché l’utilità di prestazioni lavorative così rese, la decisione di concedere o negare la trasformazione del rapporto a part-time non è più discrezionale, bensì vincolata ai criteri prestabiliti in sede di accordo collettivo, ai quali il datore di lavoro deve conformarsi nella regolamentazione dei singoli rapporti, facendo applicazione dei criteri di buona fede e correttezza che debbono ispirare l’esecuzione del contratto». E proprio in caso di inosservanza di tali criteri preferenziali da parte del datore di lavoro, il dipendente è legittimato ad agire per richiedere la trasformazione del proprio rapporto lavorativo da tempo pieno a tempo parziale, qualora la sua richiesta non sia stata accolta.
In conclusione, secondo la Corte di Cassazione, «la posizione datoriale rispetto alla concessione del part-time richiesto dal dipendente corrisponde ad un potere discrezionale nell’an e vincolato nel quomodo». Pertanto, «mentre va escluso il diritto del dipendente di sindacare le decisioni datoriali in ordine alla sussistenza o meno delle esigenze organizzative e produttive compatibili con prestazioni rese in regime di tempo parziale, o richiedenti dette prestazioni, si può invece ravvisare in capo al dipendente una posizione di diritto soggettivo suscettibile di tutela risarcitoria relativamente alle modalità di esercizio di quel potere, e, quindi, relativamente al potere del datore di scegliere a chi accordare il part-time tra quei dipendenti che ne abbiano fatto richiesta, per la prima volta o in via di rinnovo».
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Cass. civ., Sez. lavoro, Sentenza del 04-05-2011, n. 9769
Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
Con il primo mezzo di ricorso la C., denunciando violazione dell'art. 100 c.p.c. ed insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione a detta norma, sostiene che il F. non avrebbe più avuto interesse ad insorgere contro la mancata concessione del "part-time", o mancato rinnovo annuale dello stesso, essendo ormai trascorso il periodo di durata (annuale) del richiesto "part-time", e che, comunque, la Corte non avrebbe motivato sufficientemente l'opposta valutazione.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando erronea applicazione degli artt. 1175 e 1362 c.c., in relazione al CCNL di riferimento, nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamenta che la Corte d'appello, nell'affermare l'obbligo della C. di esaminare la domanda di richiesta di part-time del F. "in occasione di ogni analoga domanda di colleghi della stessa unità produttiva", non abbia motivato la ragione per la quale la domanda dello stesso F., condizionata quanto a decorrenza (1.10.1999) e durata (un anno), potesse considerarsi "analoga" alle domande di altri dipendenti benché non sottoposte a condizione alcuna.
Con il terzo motivo, infine, la C., denunciando omessa, insufficiente e/o erronea motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) lamenta, sotto diversi profili, una inadeguatezza delle argomentazioni adottate dalla sentenza impugnata laddove è pervenuta a riconoscere il diritto del F. al part-time prevalente su quello degli altri colleghi interessati.
Il ricorso, i cui motivi vanno trattati congiuntamente per la loro stretta connessione, è fondato nei limiti e nei termini di cui qui di seguito. Va, anzitutto, osservato che la mancata concessione della trasformazione a "part-time" del rapporto a tempo pieno in corso, ove nel caso concreto risulti giuridicamente doverosa, ai sensi e per gli effetti della contrattazione collettiva, costituisce un inadempimento contrattuale, di cui si può sicuramente chiedere l'accertamento in quanto potenzialmente foriera di danno.
Pertanto, sotto questo profilo, è indubitabile la sussistenza di un interesse a detto accertamento.
Viceversa, è altrettanto indubitabile la infondatezza di una pretesa di trasformazione "ora per allora" del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale.
Va in proposito chiarito che - come puntualizzato dal Giudice d'appello - l'art. 3 del CCNL del settore recita espressamente: "l'azienda, in presenza di proprie esigenze organizzative e produttive, può accogliere domande di prestazione a tempo parziale presentate dai dipendenti in servizio e/o assumere lavoratori a tempo parziale.
L'azienda, purché ciò risulti compatibile con le obiettive esigenze tecniche, organizzative e produttive, accoglierà prioritariamente le domande di quei lavoratori in servizio con l'inquadramento necessario che, appartenendo all'unità produttiva in cui si è manifestata l'esigenza, siano riconosciuti idonei a svolgere le mansioni per le quali la stessa si è determinata; ove ciò non avvenga, l'interessato può chiedere alla direzione aziendale che gli vengano forniti chiarimenti.
Fermo quanto previsto dai commi 1 e 2, in sede aziendale potranno essere definiti, d'intesa con le OO.SS. aziendali facenti capo alle Organizzazioni dei lavoratori stipulanti, criteri di precedenza per l'accoglimento delle domande dei lavoratori che intendono effettuare la propria prestazione in tempo parziale. Restano comunque escluse le posizioni di lavoro relative a prestazione lavorative non adeguatamente utilizzabili da parte dell'Azienda, ove eseguite per un tempo ridotto; nel mese di dicembre di ciascun anno l'azienda, in apposito incontro da tenersi con le OO.SS. aziendali facenti capo alle Organizzazioni dei lavoratori stipulanti, comunicherà le posizioni di lavoro che sono state ricomprese, nel corso dell'anno, nel rapporto a tempo parziale. L'articolo prosegue con l'indicazione delle percentuali massime dei rapporti in part-time.
Nell'accordo aziendale integrativo, al punto 3, sono poi dettati i criteri di precedenza per l'accoglimento delle domande di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, con l'indicazione, nell'ordine, delle seguenti fattispecie: problemi di salute del lavoratore o di un membro del suo nucleo familiare che richiedano particolari forme di assistenza; gravi motivi familiari legati alla famiglia del prestatore e all'educazione dei figli; esigenze personali (motivi di studio, attività sociali, attività sportive etc.) ed infine richieste non motivate. In caso di identiche motivazioni da parte di più richiedenti, è previsto che si tenga conto dell'anzianità di servizio e delle esigenze aziendali.
In questo quadro normativo - come correttamente sostenuto nella impugnata decisione - la posizione del lavoratore aspirante alla trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non può essere qualificata in termini di diritto soggettivo, nel senso che, ricorrendo una delle fattispecie indicate nell'accordo aziendale integrativo, il lavoratore istante abbia senz'altro diritto alla concessione del part-time; ciò in quanto, in via prioritaria, debbono sussistere le esigenze organizzative e produttive aziendali atte quantomeno a permettere, se non ad esigere, che alcune prestazioni lavorative, in una determinata unità produttiva, siano svolte in regime di tempo parziale. Ne discende che solo ed esclusivamente il datore di lavoro può - nell'esercizio della discrezionalità che gli compete in tutto ciò che attiene agli aspetti organizzativi dell'impresa - stabilire se effettivamente ci sia bisogno di prestazioni a tempo parziale e se le richieste avanzate in tal senso dai dipendenti rispondano alle esigenze aziendali medesime, sì da potere trovare accoglimento. Si tratta, quindi, di un potere discrezionale il cui esercizio non è sindacabile dal dipendente.
Una volta però che il datore di lavoro abbia ritenuto sussistenti, in una determinata unità produttiva e con riguardo a specifiche mansioni, l'esigenza di prestazioni a tempo parziale, nonché l'utilità di prestazioni lavorative così rese, la decisione di concedere o negare la trasformazione del rapporto a part-time - rimarca, ancora, opportunamente il Giudice d'appello - non è più discrezionale, bensì vincolata ai criteri prestabiliti in sede di accordo collettivo, ai quali il datore di lavoro deve conformarsi nella regolamentazione dei singoli rapporti, facendo applicazione dei criteri di buona fede e correttezza che debbono ispirare l'esecuzione del contratto (ex artt. 1175 e 1375 c.c.). Con la conseguenza che l'inosservanza dei criteri preferenziali contrattualmente stabiliti legittima il dipendente che si ritenga leso dalla condotta datoriale ad agire per il risarcimento del danno, anche in forma specifica, per ottenere la trasformazione del rapporto in part-time che gli fosse stata ingiustamente negata sulla base dei descritti criteri, oltre ad eventuali altre voci di danno collegate allo stesso illecito.
In base a questa ricostruzione, la posizione datoriale rispetto alla concessione del part-time richiesto dal dipendente corrisponde ad un potere discrezionale nell'an e vincolato nel quomodo.
Ne deriva che, mentre va escluso il diritto del dipendente di sindacare le decisioni datoriali in ordine alla sussistenza o meno delle esigenze organizzative e produttive compatibili con prestazioni rese in regime di tempo parziale, o richiedenti dette prestazioni, si può invece ravvisare in capo al dipendente una posizione di diritto soggettivo suscettibile di tutela risarcitoria relativamente alle modalità di esercizio di quel potere, e, quindi, relativamente al potere del datore di scegliere a chi accordare il part-time tra quei dipendenti che ne abbiano fatto richiesta, per la prima volta o in via di rinnovo.
In coerenza con tale corretta analisi della disciplina contrattuale applicabile, la Corte distrettuale è passata alla ulteriore fase volta ad accertare se la C., nel vagliare le domande di part-time avanzate dal F., abbia fatto legittima applicazione dei criteri preferenziali indicati in sede di contrattazione collettiva.
Il risultato di tale indagine è stato quello di ritenere legittimo il rigetto della domanda di rinnovo del part-time per il successivo biennio a decorrere dal 1/3/99, da parte della C., con la motivazione dell'insussistenza delle condizioni per l'accoglimento della richiesta, con riguardo alle esigenze organizzative e produttive proprie dell'Azienda. Tale negativo riscontro di esigenze aziendali armonizzabili con l'offerta di prestazione a tempo parziale - precisa in proposito la Corte di merito - non risultava, infatti, contraddetto dalla circostanza che presso la stessa unità produttiva fossero già in servizio le due dipendenti cui il part-time era stato accordato, né risultava provato - stante anche la tardività delle produzioni documentali offerte dal F. - che la Cassa avesse già positivamente vagliato la compatibilità di tre lavoratori a tempo parziale nella stessa unità produttiva nel momento in cui F. medesimo, che già era in part time, venne trasferito presso la sede centrale; sicché doveva ritenersi che il trasferimento del F. dal Servizio Tesoreria alla sede centrale di (OMISSIS) della C. fosse conseguenza della pronunzia del 18.12.1998 (richiamata dallo stesso lavoratore) del Tribunale di Ascoli Piceno quale giudice del lavoro in secondo grado, che ordinò alla C. di reintegrare il dipendente presso la sede centrale.
Con la conseguenza di doversi ritenere che la Cassa non avesse avuto possibilità di scelta al riguardo, ma che fosse stata costretta a "subire" il trasferimento del F. nella sede centrale in regime di part-time senza poter al momento neppure valutare se, nell'unità produttiva di destinazione, sussistessero le condizioni organizzative atte a consentire l'utile accettazione di prestazioni lavorative a tempo parziale da parte dello stesso dipendente ivi trasferito. Sussisteva invece il potere della C. di vagliare se ricorressero esigenze organizzative e produttive atte a consentire la prestazione in part-time offerta dal F. nel momento in cui questi ebbe a presentare la richiesta di proroga, ai primi di febbraio del 1999, legittimamente rigettando l'istanza. Ciò in quanto, al momento della presentazione della domanda di rinnovo ai primi di febbraio 1999, le altre due dipendenti erano già state in precedenza ammesse a lavorare in regime di tempo definito, talché la Cassa non incorse in alcuna violazione dei criteri preferenziali nell'accesso al regime di tempo parziale.
Diversamente la Corte d'appello si è pronunciata in ordine alla domanda di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale presentata dallo stesso F. nell'agosto del 1999, per motivi di salute, per un anno e con decorrenza dall'ottobre seguente, respinta anche questa dalla C. perché non ritenute sussistenti le condizioni organizzative aziendali che ne favorissero l’accoglimento. In proposito, il Giudice a quo ha osservato che nel successivo mese di dicembre erano venuti a scadenza i rapporti a tempo parziale delle due dipendenti (P. e N.), le cui domande erano state invece accolte, e che dalla espletata istruttoria era emerso che la N., addetta ai fidi, non era stata mai adibita all'Ufficio Cassa, mentre la P. nel 1999 aveva svolto saltuarie prestazioni presso il medesimo.
Coerentemente il Giudice d'appello - rimanendo nell'ambito delle allegazioni dell'appellante e senza estendere perciò l'indagine agli altri cassieri - ha ritenuto che in quel contesto l'esigenza tecnica di avere un cassiere in part-time sussistesse presso la sede centrale della C., posto che, in tale ipotesi, nelle ore pomeridiane lasciate libere dal F., quel servizio ben avrebbe potuto essere svolto dalla stessa P. - che lo aveva curato in precedenza per i predetti tre anni in modo continuo e che nell'anno 1999 (cui ci si deve riferire) lo aveva svolto, seppure saltuariamente, essendo stata comunque "utilizzata come jolly".
Pertanto, la buona fede e la correttezza imponevano di valutare concorsualmente le domande di tutti i soggetti interessati, anche se non presentate nello stesso momento ed, in particolare, di considerare che il F. aveva chiesto il tempo parziale per un anno, che ancora pendeva quando le altre due avevano rivolto analoga istanza, poi accolta. Sicché dovendo il F., nel dicembre 1999, essere preferito nella concessione del part-time sulla base dei criteri indicati dall'accordo aziendale integrativo richiamato dalle parti (ragioni di salute e anzianità di servizio), erroneamente l'istanza non era stata accolta dalla società.
L'esposizione svolta consente di evidenziare, oltre che la parziale fondatezza del ricorso principale, la infondatezza di quello incidentale proposto dal F.
Infatti, con il primo motivo si denuncia violazione dell'art. 416 c.p.c., u.c. e dell'art. 167 c.p.c., comma 1, deducendosi che erroneamente il Giudice a quo avrebbe preso in considerazione la circostanza, effettuata per la prima volta nella memoria di costituzione in appello, di un ritrasferimento obbligatorio e ope iudicis nel dicembre 1998 del F. da (OMISSIS) alla Sede Centrale di (OMISSIS), in esecuzione del provvedimento giudiziario del Tribunale di Ascoli Piceno (sent. n. 22 del 18/12/1998 - 18/1/1999).
Sennonché dalla lettura della sentenza impugnata e per quanto in precedenza esposto emerge che la deduzione della C. abbia costituito una mera argomentazione difensiva, come tale non preclusa in appello, giustificata dalla linea difensiva del lavoratore con la quale si era inteso rimarcare che l'adibizione nel dicembre 1998 del F. alla Cassa della sede centrale della C. era avvenuta sulla base del provvedimento giudiziario del Tribunale di Ascoli Piceno, al quale - come chiarito in sentenza - lo stesso lavoratore aveva fatto riferimento.
Va in proposito osservato che nell'ambito delle argomentazioni difensive delle parti, genericamente qualificabili come eccezioni, vanno distinte quelle che consistono nella semplice negazione del fatto costitutivo del diritto esercitato dalla controparte (mera difesa), quelle che consistono nella contrapposizione di un fatto impeditivo o estintivo, tale da escludere gli effetti giuridici del fatto costitutivo ex adverso affermato, (eccezioni in senso lato) ed, infine, quelle che consistono in un controdiritto contrapposto al fatto costitutivo affermato dall'attore, che non esclude l'azione, ma da al convenuto il potere giuridico di invalidarlo (eccezioni in senso proprio). Solo riguardo a queste ultime, rimesse esclusivamente al potere dispositivo della parte, vale nel rito del lavoro l'onere di allegazione e di prova in primo grado, e la preclusione ex art. 437, cod. proc. civ. in grado d'appello, - ampliandosi con la loro proposizione l'ambito della controversia con conseguente violazione del principio del doppio grado di giurisdizione e della lealtà del contraddittorio, mentre per tutte le altre, che entrano nell'ambito della lite già all'inizio, in relazione all'obbligo del giudice di verificare le condizioni dell'azione, opera il principio della rilevabilità d'ufficio, e la loro puntualizzazione per la prima volta in appello non allarga il "thema decidendum" (Cass. n. 6272/1998; Cass. S.U. n. 89/1997).
Con il secondo motivo il F. denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 437 c.p.c. in ordine al divieto di nuove prove documentali in grado d'appello, lamentando che la Corte d'appello abbia ritenuta tardiva la documentazione volta a contrastare la ritenuta non obbligatorietà del trasferimento.
Sul punto - come sopra accennato - la Corte di merito ha correttamente osservato che trattandosi di documenti risalenti a periodi anteriori al giudizio - e quindi non di formazione successiva - per i quali la necessità di produrli era già sorta in precedenza, era ormai preclusa la loro produzione; con l'ulteriore specificazione che, non essendo emerse "piste" probatorie meritevoli di approfondimento, non poteva trovare applicazione il disposto dell'art. 437, c.p.c. sull'ammissibilità di ufficio delle dedotte prove documentali (Cass. S.U. 20.4.2005 n 8202 e la conforme giurisprudenza di legittimità che ne è seguita).
Per quanto precede, mentre il ricorso principale va accolto limitatamente alla dedotta esclusione della condanna ad effettuare la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, il ricorso incidentale va rigettato.
L'esito del giudizio giustifica la compensazione delle spese.
P.Q.M.
LA CORTE riunisce i ricorsi; accoglie parzialmente il ricorso principale e cassa la sentenza impugnata limitatamente al capo concernente la condanna della C. ad effettuare la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale e la conferma nel resto. Rigetta il ricorso incidentale. Compensa le spese.

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