DIRITTO PENALE. Quando si commette "plagio" nella stesura di una tesi di laurea? Cass. pen. 12 maggio 2011 n. 18826.



Nota dell'Avv. Augusto Careni.

Interessante e sempre attuale l’argomento sul quale è chiamata a pronunciarsi la Suprema Corte, ovvero il reato di plagio previsto dall’art. 1 della L. n. 475/1925, che nel caso di specie riguarda la copiatura di una tesi di laurea della facoltà di Medicina.

Il ricorrente, condannato dalla Corte di merito per aver svolto una tesi costituente mera copiatura – seppur con minime variazioni – di altri tesi di laurea,  sostiene come principale motivo di ricorso che i giudici di merito non effettuato alcuna valutazione dell'oggettiva personalizzazione dello studio altrui, tipica del lavoro compilativo, come dimostrava, ad esempio, la scelta di anteporre le tabelle alla bibliografia rispetto alla tesi di altro laureando. Ed ancora, secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nell’individuare nella riproposizione di citazioni comprensive di virgolettato, gli elementi significativi del plagio, trascurando invece di considerare gli elementi diversificanti.
Con altro motivo di ricorso deduceva la violazione dell'articolo 597 c.p.p., comma 3 in quanto la Corte di merito aveva effettuato un’estensione analogica di una norma sanzionatoria applicata in assenza di una specifica impugnazione del Pubblico Ministero, nel caso in esame la cancellazione del diploma di laurea.
Il reato in esame è dunque quello previsto dalla L. 19 aprile 1925, n. 475, la quale sanziona penalmente la condotta di chiunque "in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l'abilitazione all'insegnamento ed all'esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri".
La finalità della norma è quella di tutelare l'interesse alla genuinità di un elaborato che deve essere esaminato dai componenti di una commissione incaricata della valutazione, assicurando che l'aspirante ad un titolo o ad un impiego sia realmente in possesso dei requisiti richiesti per conseguirlo e che il giudizio dell'autorità che procede alla relativa valutazione non sia fuorviato dall'accreditare come proprio il lavoro altrui. 
Viene pertanto tutelata quella che è stata definita la "pubblica fede personale".
I giudici della III sez. penale della Cassazione rilevano in primis che una tesi compilativa dovrebbe essere connotata, quantomeno, da una elaborazione critica dei dati acquisiti da fonti diverse e posti a confronto verificandone l'attendibilità e traendo conclusioni che, in quanto frutto di una personale riflessione, offrano un contributo scientifico autonomamente apprezzabile; non può certamente concretarsi nella mera riproduzione grafica di un diverso elaborato di produzione altrui con modeste aggiunte che non incidono minimamente sull'impianto complessivo del testo.
Osservano inoltre che, in base al contenuto del provvedimento impugnato, la descrizione dei contenuti dell'elaborato pare deporre inequivocabilmente per una tesi di natura sperimentale e risulta significativa la circostanza che il ricorrente, volendo comporre, come afferma in ricorso, una tesi compilativa, non abbia avvertito la necessita di citare l'autore dal quale aveva ricavato gli unici dati utilizzati ne' di esprimere un giudizio di mera adesione o di dissenso sulle conclusioni cui lo stesso perveniva e che pedissequamente riproponeva.
Ed ancora non ha rilevanza, sempre per i giudici di legittimità, sostenere che l'originalità o l'altruità del lavoro andava considerata secondo i parametri propri della commissione di laurea, che nulla aveva obiettato, pur conoscendo entrambi gli elaborati, trattandosi di considerazioni cui la Corte territoriale non era tenuta ed essendo pienamente sufficiente, per pervenire ad un giudizio privo di contraddizioni, il dato oggettivo della pressochè totale riproduzione di un diverso lavoro offerto, secondo la prassi, solo in visione ai laureandi.
Per la Corte di piazza Cavour, pertanto, i giudici di merito hanno correttamente proceduto ad una puntuale analisi degli elementi di identità fra l'elaborato prodotto dal ricorrente e quello altrui dallo stesso utilizzato, pervenendo alla conclusione di trovarsi di fronte ad una copiatura "pressochè integrale" con minime variazioni.
Per quanto attiene il secondo motivo di ricorso, ovvero la cancellazione del diploma di laurea dell'imputato ai sensi della Legge n. 475 del 1925, articolo 5, comma 2 disposto dalla Corte d’Appello, osserva la Suprema Corte che sia nella decisione del Tribunale che della Corte d’Appello la falsa attribuzione del lavoro altrui risulta solo “implicitamente” dalla motivazione e non formalmente dichiarata in dispositivo, mentre l'ordine di cancellazione del provvedimento derivato dal plagio, omesso dal primo giudice, è stato disposto dal giudice dell'appello.
In tal senso la statuizione relativa alla falsità, alla cancellazione del documento che ne è derivato ed alla pubblicazione della sentenza, obbligatoriamente imposta dall'articolo 5 della sopra citata, se non disposta dal giudice di primo grado, non può essere ordinata dalla Corte d'Appello in assenza di specifica impugnazione, e, pertanto, la Cassazione decide per l’annullamento senza rinvio in merito alla cancellazione del diploma di laurea.
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Corte di Cassazione, Sezione III penale Sentenza 12 maggio 2011, n. 18826
CONSIDERATO IN FATTO.
Con sentenza del 28 maggio 2010, la Corte d'Appello di Cagliari confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Cagliari, in data 11 luglio 2006, condannava D'. An. per il reato di cui alla Legge n. 475 del 1925, articolo 1, disponendo la cancellazione del diploma di laurea ai sensi dell'articolo 5 della medesima Legge.
D'. An. era stata infatti accusata di aver presentato, nel corso dell'anno accademico (OMESSO) ed al fine di conseguire la laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Universita' di (OMESSO), una tesi, dal titolo "omesso”, costituente la mera copiatura, seppure con minime variazioni, della tesi di specializzazione in Ortopedia e Traumatologia presentata presso la medesima facolta', nell'anno accademico (OMESSO), dal dott. CA.An. ed avente stesso titolo, stesso svolgimento, stesso indice e stessa bibliografia.
Avverso tale decisione la predetta proponeva ricorso per cassazione.
Con un primo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di motivazione.
Osservava che trattavasi di tesi cd. compilativa, la cui identita' con il lavoro che si assume copiato non era stata rilevata dalla commissione di laurea ed i cui contenuti erano stati erroneamente valutati dalla Corte di merito, la quale aveva omesso di considerare che il giudizio su un elaborato compilativo non puo' prescindere dall'esame della condivisione che l’autore fa con l'elaborato altrui e dalla rilevanza che ogni aggiunta assume attribuendogli un inequivoco connotato di originalita'.
In cio' si rilevava la carenza della decisione impugnata, che non avrebbe effettuato alcuna valutazione dell'oggettiva personalizzazione dello studio altrui, tipica del lavoro compilativo, come dimostrava, ad esempio, la scelta di anteporre le tabelle alla bibliografia rispetto al lavoro del dott. CA. .
Aggiungeva che l'evidente illogicita' della motivazione era immediatamente percepibile laddove venivano individuate in caratteristiche tipiche dell'elaborato compilativo, quali la riproposizione di citazioni comprensive di virgolettato, gli elementi significativi del plagio, trascurando di considerare gli elementi diversificanti (una parte dedicata all'epidemiologia ed altra riguardante la biomeccanica) ed equivocando sul significato della riproduzione della casistica che, sebbene riferibile ad un periodo incompatibile con il suo percorso di studi, era tuttavia il risultato di una verifica effettuata sulla scorta di documentazione clinica.
Faceva inoltre rilevare come la sentenza impugnata non aveva adeguatamente considerato la rilevanza, anche con riferimento all'elemento psicologico del reato, della dimostrata prassi presente nella facolta' di medicina, di fornire ai laureandi, a titolo esemplificativo e quale guida nella stesura della tesi, elaborati precedentemente redatti, tanto piu' che non risultava contestata ai docenti la violazione della Legge n. 475 del 1925, articolo 2.
Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione dell'articolo 597 c.p.p., comma 3 con riferimento alla cancellazione del diploma di laurea disposta dalla Corte territoriale ai sensi della Legge n. 475 del 1925, articolo 5, erroneamente considerata come provvedimento obbligatorio e frutto, al contrario, di una indebita estensione analogica di una norma sanzionatoria applicata, peraltro, in assenza di una specifica impugnazione del Pubblico Ministero.
Insisteva, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è solo in parte fondato.
La Legge 19 aprile 1925, n. 475 sanziona penalmente la condotta di chiunque "in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorita' o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l'abilitazione all'insegnamento ed all'esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri".
Come la giurisprudenza di questa Corte ha gia' avuto modo di osservare, la legge ha la finalita' di tutelare l'interesse alla genuinita' di un elaborato che deve essere esaminato dai componenti di una commissione incaricata della valutazione (Sez. 3 n. 2139, 1 marzo 1979) assicurando che l'aspirante ad un titolo o ad un impiego sia realmente in possesso dei requisiti richiesti per conseguirlo e che il giudizio dell'autorita' che procede alla relativa valutazione non sia fuorviato dall'accreditare come proprio il lavoro altrui (Sez. 3 n. 9673, 6 novembre 1984).
Viene pertanto tutelata quella che e' stata definita la "pubblica fede personale" (Sez. 5 n. 626, 4 settembre 1989).
Si è così prevista un'ipotesi di reato qualificabile di mera condotta, seppure finalizzata alla produzione di un evento antigiuridico che assume il ruolo di circostanza aggravante (Sez. 6 n. 9489, 8 settembre 1995; Sez. 5 n. 9906, 2 novembre 1993; Sez. 3 n. 9673/84 cit.).
Si è ulteriormente specificato che il riferimento all'opera di altri, che la legge contiene, non riguarda il lavoro compilato interamente da un soggetto diverso da quello che figura come autore, ma anche il fatto oggettivo "che il lavoro non sia proprio, cioè non sia frutto del proprio pensiero, svolto anche in forma riepilogativa od espositiva, ma che esprime tuttavia quello sforzo di ripensamento di problematiche altrui che si richiede per saggiare le qualità espositive di un candidato'" (Sez. 3 n. 2139/79 cit.).
Si tratta, peraltro, di un fenomeno particolarmente diffuso, che ha subito un considerevole incremento con la introduzione delle nuove tecnologie, come emerge dalla lettura delle menzionate decisioni, le quali evidenziano un progressivo evolversi delle tecniche utilizzate e, soprattutto, dallo sviluppo di Internet, che ha agevolato e velocizzato la ricerca di informazioni e, conseguentemente, favorito indirettamente anche il fenomeno del plagio, cui pure ha fatto seguito lo sviluppo di specifici strumenti per il rilevamento di contenuti duplicati.
La casistica riguarda, oltre le tesi di laurea, anche il conseguimento di altri titoli scolastici, i concorsi pubblici e l'abilitazione professionale, anche se risulta particolarmente contenuta se raffrontata al periodo di vigenza della legge, tanto che, ancora trent'anni addietro, un chiarissimo Autore, nel negare in generale l'efficacia della consuetudine abrogatrice nel diritto penale, utilizzava come esempio la Legge n. 475 del 1925 ricordandone la vigenza e deprecando l'uso di non dare seguito a quelli che definiva "deplorevolissimi fatti".
Così inquadrato l'ambito di applicazione della disposizione presa in esame dalla sentenza impugnata, appare opportuno riepilogare brevemente, per una migliore comprensione dei fatti, le argomentazioni poste a sostegno della decisione.
La Corte di merito ha proceduto ad una puntuale analisi degli elementi di identita' fra l'elaborato prodotto dalla ricorrente e quello altrui dalla stessa utilizzato, pervenendo alla conclusione di trovarsi di fronte ad una copiatura "pressochè integrale" con minime variazioni.
In particolare la Corte d'Appello ha accertato che:
era identica la suddivisione in capitoli e paragrafi l'indice era integralmente copiato ad accezione dei riferimenti alle pagine, conseguenti alla diversa formattazione (22 righe anziche' 20), tanto che non risultava considerata la anteposizione delle tabelle alla bibliografia nel corpo del testo era identica la composizione grafica anche negli "a capo" e nell'uso del grassetto e del corsivo erano identiche le modalita' di citazione, senza note nel testo e con l'indicazione del solo nome dell'autore ad eccezione dell'indicazione di due testi e la correzione di un refuso tipografico, era identica anche la bibliografia erano identiche le tabelle finali, alle quali era stato modificato il solo carattere tipografico e corretto un refuso erano identici i casi clinici esaminati. La Corte territoriale rileva, sul punto, che si trattava di casi risalenti a cinque anni addietro, nonostante il tema fosse di particolare attualita' e presentati come direttamente osservati, titolando il paragrafo relativo come "Casistica personale", nonostante la palese incompatibilita' con il corso di studi seguito dalla ricorrente e la sua eta' anagrafica che porterebbero a collocare tale diretta osservazione dei pazienti ad un periodo in cui la stessa frequentava ancora il liceo l'apparato iconografico, ad eccezione di tre fotografie, era identico il testo e la forma erano identici medesime erano, infine, le conclusioni.
I giudici dell'appello individuano, per contro, le seguenti differenze:
sostituzione di pochi termini, correzioni di qualche refuso e piccole modifiche della punteggiatura e delle forme verbali la presenza di una introduzione con considerazioni di natura discorsivo - sociologica sei righe aggiunte al capitolo "Biomeccanica e cinematica del rachide cervicale" otto righe aggiunte al paragrafo sui rischi del trattamento chirurgico quasi due pagine aggiunte e relative all'epidemiologia.
A fronte di tali dati obiettivi, la Corte di merito fornisce puntuale risposta alle doglianze mosse con l'atto di appello e, segnatamente, all'ipotesi della natura compilativa della tesi che, da un lato, e' stata esclusa in quanto l'elaborato contiene un esplicito riferimento all'osservazione diretta di casi clinici e, dall'altro, dalla evidente mancanza di originalita', sottolineando anche l'irrilevanza della asserita e non dimostrata diffusione del plagio nella letteratura medica scientifica.
Tale coerente apparato argomentativo, del tutto solido ed immune da vizi logici, non viene in alcun modo intaccato dalle considerazioni svolte in ricorso che, pur se riferite alla contraddittorieta', illogicita' e manifesta infondatezza della decisione, si risolvono in una richiesta di diversa valutazione del compendio probatorio acquisito che non puo' pero' avere ingresso in questa sede di legittimita'.
Del resto, gli elementi che la Corte di merito pone a sostegno delle proprie conclusioni non paiono suscettibili di letture alternative, consistendo in dati obiettivi non confutabili che evidenziano in modo non equivocabile la identita' tra la tesi di laurea della ricorrente e l'elaborato dalla quale e' stata pressoche' integralmente copiata.
Del tutto coerente risulta, in particolare, la esclusione della natura compilativa dell'elaborato.
Come si e' detto, tale caratteristica e' esclusa dal riferimento specifico all'osservazione di pazienti, in realta' mai avvenuta, come dimostrato dai giudici dell'appello con una semplice valutazione del dato cronologico e dalla mancanza di originalita' conseguente ad una specifica elaborazione del materiale utilizzato.
Peraltro, una tesi compilativa dovrebbe essere connotata, quantomeno, da una elaborazione critica dei dati acquisiti da fonti diverse e posti a confronto verificandone l'attendibilita' e traendo conclusioni che, in quanto frutto di una personale riflessione, offrano un contributo scientifico autonomamente apprezzabile e non puo' certo concretarsi nella mera riproduzione grafica di un diverso elaborato di produzione altrui con modeste aggiunte che non incidono minimamente sull'impianto complessivo del testo.
Va poi aggiunto che, in base al contenuto del provvedimento impugnato, la descrizione dei contenuti dell'elaborato pare deporre inequivocabilmente per una tesi di natura sperimentale e risulta significativa la circostanza che la ricorrente, volendo comporre, come afferma in ricorso, una tesi compilativa, non abbia avvertito la necessita di citare l'autore dal quale aveva ricavato gli unici dati utilizzati ne' di esprimere un giudizio di mera adesione o di dissenso sulle conclusioni cui lo stesso perveniva e che, a quanto risulta, pedissequamente riproponeva.
Ne' vale, infine, sostenere che l'originalita' o l'altruita' del lavoro andava considerata secondo i parametri propri della commissione di laurea, che nulla aveva obiettato, pur conoscendo entrambi gli elaborati, trattandosi di considerazioni cui la Corte territoriale non era tenuta ed essendo pienamente sufficiente, per pervenire ad un giudizio privo di contraddizioni, il dato oggettivo della pressoche' totale riproduzione di un diverso lavoro offerto, secondo la prassi, solo in visione ai laureandi.
Per quanto riguarda, poi, il secondo motivo di ricorso, occorre rilevare quanto segue.
La Corte di merito ha disposto la cancellazione del diploma di laurea dell'imputata ai sensi della Legge n. 475 del 1925, articolo 5, comma 2 ritenendolo provvedimento obbligatorio che consegue necessariamente alla condanna, cosi integrando la sentenza appellata.
La ricorrente contesta la legittimita' del provvedimento che assume essere stato emesso in violazione del divieto di reformatio in pejus stabilito dall'articolo 597 c.p.p., comma 3.
La disposizione applicata specifica testualmente che "la sentenza di condanna o quella che dichiara che il fatto sussiste, ordina la cancellazione del provvedimento che ne sia derivato, la cancellazione si effettua secondo le norme contenute nei capoversi 2/a e seguenti dell'articolo 576 c.p.p., in quanto siano applicabili".
Il riferimento all'articolo 576 c.p.p. vigente alla data di emanazione della legge corrisponde, come gia' osservato (Sez. 5 n. 626. 4 settembre 1989), agli articoli 380 e 480 codice 1930 relativi, rispettivamente, ai provvedimenti della sentenza di proscioglimento all'esito dell'istruzione formale che accerta la falsita' di atti e documenti e di quelli. analoghi, da assumere all'esito della sentenza definitoria del giudizio di primo grado.
Tali disposizioni trovano oggi corrispondenza nell'articolo 425 c.p.p., u.c. e articolo 537 c.p.p..
La Legge n. 475 del 1925, menzionato articolo 5 prevede una statuizione obbligatoria che il giudice deve emettere a tutela della fede pubblica quando sia accertata l'attribuzione di lavori altrui (Sez. 3 n. 736, 31 dicembre 1968; Sez. 5 n. 626, 4 settembre 1989).
Le modalita' della cancellazione sono effettuate con le procedure stabilite per i provvedimenti riparatori previsti in materia di falsita' degli atti dal codice di rito.
L'esigenza di tutela della fede pubblica che rende necessaria detta statuizione determina, in sostanza, una esplicitazione della accertata falsita' del documento o dell'attribuzione dell'opera, diretta a rigenerare le normali condizioni di comune affidamento sull'autenticita' del documento o la paternita' dell'opera.
Va inoltre rilevato che l'articolo 537 c.p.p. stabilisce come conseguenza ineluttabile dell'accertata falsita' di un documento la sua declaratoria da parte del giudice, ma prevede che i provvedimenti riparatori di cui al secondo comma non siano adottati quando siano pregiudizievoli degli interessi di terzi non intervenuti nel procedimento (cfr. SS.UU. n. 20, 3 dicembre 1999).
Tale distinzione si rileva anche nel menzionato articolo 5 il quale stabilisce, al comma 1 che "nei procedimenti relativi ai reali previsti dalla legge, qualora il fatto sia accertato, deve essere dichiarata nella sentenza la esistenza di esso, anche se, per qualsiasi motivo, non si debba procedere o non possa essere pronunciata condanna" indicando poi, nel comma successivo, i provvedimenti ripristinatori.
Va altresi' rilevato che l'articolo 537 c.p.p., contrariamente a quanto avveniva nel codice penale previgente, prevede espressamente, al comma terzo, che la falsita' sia anche autonomamente impugnabile con il mezzo previsto dalla legge per il capo che contiene la decisione sull'impugnazione.
Tale previsione si rende evidentemente necessaria in quanto il provvedimento in esame e' comunque idoneo ad incidere sulla sfera giuridica del soggetto interessato.
Resta da osservare che il lungo periodo di vigenza della Legge n. 475 del 1925 rende palesi le difficolta' di coordinamento con le disposizioni che si assumono attualmente richiamate che non risultano perfettamente sovrapponigli.
Sembra, tuttavia, che possa ritenersi certamente suscettibile di impugnazione anche la statuizione circa la falsita' nell'attribuzione della paternita' dell'opera in quanto produttiva di nocumento nei confronti del soggetto interessato anche nel caso in cui lo stesso non sia stato condannato.
Cio' posto, occorre ulteriormente rilevare che, nella fattispecie, tanto nella sentenza di primo grado che in quella di appello la accertata falsa attribuzione del lavoro altrui risulta solo implicitamente dalla motivazione e non formalmente dichiarata in dispositivo, mentre l'ordine di cancellazione del provvedimento derivato dal plagio, omesso dal primo giudice, e' stato disposto dal giudice dell'appello. Entrambi i giudici del merito, infine, nulla hanno disposto circa l'ordine di pubblicazione della sentenza di condanna pure disposto dal menzionato articolo 5, al comma 3 e necessario trattandosi di esame di laurea.
Il Pubblico Ministero e' rimasto del tutto inerte, mentre solo l'imputata ha proposto appello concernente l'affermazione di responsabilita' penale da parte del giudice di prime cure.
La Corte territoriale, in tale contesto ha, come si e' detto, disposto i provvedimenti riparatori che erano conseguenza di una falsita' non espressamente dichiarata, confermando nel resto la decisione impugnata ed evidenziando conseguentemente, sul punto, profili di illegittimita' che consigliano l'annullamento.
Resta da osservare che all'omessa statuizione sulla falsita', sulla cancellazione del provvedimento e sulla pena accessoria della pubblicazione della sentenza non puo' porsi rimedio in questa sede di legittimita' in assenza, come si e' gia' detto, dell'impugnazione del Pubblico Ministero.
In definitiva, vanno condivisi i principi in precedenza richiamati con l'ulteriore precisazione che la redazione di una tesi di laurea, asseritamente di natura compilativa ma, in realta', contenente la mera trasposizione grafica di altro elaborato di diverso autore con alcune correzioni e l'aggiunta di minimi elementi di novita', senza alcun contenuto frutto di personale elaborazione o, comunque, di valutazione critica della fonte utilizzata, configura il reato di cui alla Legge 19 aprile 1925, n. 475, articolo 1.
La statuizione relativa alla falsita', alla cancellazione del documento che ne e' derivato ed alla pubblicazione della sentenza, obbligatoriamente imposta dall'articolo 5 della medesima legge, se non disposta dal giudice di primo grado, non puo' essere ordinata dalla Corte d'Appello in assenza di specifica impugnazione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'impugnata sentenza limitatamente alla cancellazione del diploma di laurea. Rigetta nel resto
 

 

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