DIRITTO PROCESSUALE CIVILE. Sentenze definitive e sentenze non definitive. Cass. civ. n. 8862 del 18 aprile 2011.
NOTA dell'Avv. SILVIA GENNARO - Foro di CHIETI -
E’da considerarsi non definitiva, in caso di cumulo di domande tra gli stessi soggetti agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza con la quale il giudice si pronunci su una -o più'- di dette domande con prosecuzione del procedimento per le altre, senza disporre la separazione ex art. 279, II comma n. 5, c.p.c. e senza provvedere, nemmeno implicitamente, sulle spese in ordine alla domanda -o alle domande- così decise, rinviandone la relativa liquidazione all'ulteriore corso del giudizio.
Nei suddetti termini si potrebbe riassumere la sentenza in commento resa dalla sezione III civile della Corte di Cassazione n. 8862 del 18 aprile 2011, che consente dunque di soffermarsi sulla natura , di ordinanza o di sentenza, dei provvedimenti del collegio ed anche sul carattere definitivo o non definitivo di queste ultime decisioni.
Si è soliti pensare che il processo si chiuda sempre semplicemente con la pronuncia di sentenze che definiscono il giudizio e che entrano anche nel merito.
In realtà le cose possono andare in maniera ben più complessa, e ciò in base un meccanismo che il legislatore del 1942 ha posto tra l'articolo 187 e l'articolo 279.
Vi possono essere sentenze definitive che non decidono nel merito, ad esempio perché accertano che vi è un difetto di competenza o di giurisdizione, oppure sentenze definitive che chiudono immediatamente il processo nel merito quando si presenta una questione preliminare di merito, come ad esempio un'eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto.
D'altro canto può accadere che il collegio pronunci sì delle sentenze, ma queste non chiudano il giudizio e siano non definitive. Ad esempio, si pensi al caso del convenuto che solleva un'eccezione preliminare di merito o pregiudiziale di rito, da sola in grado di decidere tutto il processo.
Il giudice istruttore, che non può decidere la causa, se ritiene fondata l'eccezione, rimette le parti davanti al collegio facendogli precisare sempre le conclusioni.
Il collegio, se ritiene fondata l'eccezione sollevata dal convenuto pronuncia sentenza definitiva, con cui chiude il giudizio; se invece il collegio non ritiene fondata l'eccezione sollevata dal convenuto, pronuncia sentenza non definitiva attraverso cui respinge l'eccezione, e con ordinanza rimette le parti davanti al collegio.
Si tenga presente che seguito alla riforma del processo civile (legge n. 69\2009), in vigore dal 4.07.2009, le decisioni relative alle questioni di competenza, non sono prese più con sentenza ma con ordinanza; di conseguenza le sentenze (definitive e non definitive) non possono più riguardare questioni relative alla competenza.
Più nello specifico va detto che nel caso in esame la Suprema Corte di Cassazione si trova a risolvere una spinosa controversia originata da una richiesta di risarcimento danni promossa in primo grado, con citazione notificata in data 13 luglio ed 8 agosto 1992 nei confronti, rispettivamente, dell’ing. (...). cui era stata precedentemente affidata la progettazione e direzione di lavori in relazione ad immobili di proprietà degli attori, siti in un complesso condominiale ed altresì nei riguardi dell’impresa R. alla quale veniva invece affidata l'esecuzione dei medesimi lavori.
I motivi di doglianza riguardavano sostanzialmente il fatto che, sia il direttore dei lavori, sia l'impresa deputata alla loro esecuzione, non si fossero attenuti a quanto approvato, con la conseguenza, da un lato, di ulteriori esborsi rispetto a quanto preventivato e, dall’altro, il mancato completamento dell’opera stessa.
Si costituivano in giudizio entrambi i convenuti, deducendo l’infondatezza della domanda.
Il direttore dei lavori spiegava altresì domanda riconvenzionale chiedendo il pagamento delle competenze professionali maturate. Al giudizio de quo venivano riuniti un primo giudizio originato da un decreto ingiuntivo richiesto dall’impresa R. per il pagamento delle proprie competenze ed opposto da Ca.Ge., C.G. oltre che da F. S., delegato del Condominio dello stabile cui ci si riferisce, ed un secondo che scaturiva dal medesimo decreto ingiuntivo, richiesto dall’impresa. ed opposto dal C.G., da Ca.Ge. e da F.S. i quali avevano eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, i primi due perchè i lavori avevano riguardato solo le parti comuni dello stabile, il terzo perchè non era amministratore dello stabile ma solo un delegato a riscuotere le somme ex lege n. 219 del 1981.
Con sentenza non definitiva del 17.01.02 il Tribunale adito dichiarava la regolarità della legittimazione attiva e passiva delle parti in causa e dichiarava la nullità degli atti istruttori intervenuti dopo lo scioglimento della riservata del 31 luglio 1993 in quanto, nè le ordinanze pronunciate fuori udienza, nè l'atto di riassunzione del giudizio, già interrotto per il decesso di C.G., erano stati comunicati e notificati al procuratore del F..
Avverso tale decisione proponevano appello il R. ed il D. L. ed in parziale accoglimento del gravame, la Corte D’Appello dichiarava F.S. validamente costituito in primo grado a mezzo di altro legale e condannava gli appellati al pagamento delle spese processuali del secondo grado..
Avverso la suddetta detta sentenza il R. ed il D.L. proponevano ricorso per cassazione articolato in un unico motivo - cui resistevano F.S. e C.N. - consistente nel fatto che la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare la sentenza di primo grado definitiva, in quanto “ l'onere di riassunzione della causa impartito dal giudice non poteva assolvere la funzione dell'ordinanza ex artt. 279 e 280 che si accompagna alle sentenze non definitive, con la conseguenza che il giudice d'appello avrebbe dovuto esaminare il merito della causa, non esaminata dal giudice di primo grado a causa della pretesa nullità degli atti processuali, erroneamente ritenuta, che era stata superata dall'accoglimento parziale del gravame.”
Il ricorso principale, riunito a quelli incidentali, veniva tuttavia rigettato.
In linea generale è orientamento consolidato dalla giurisprudenza che “al fine di stabilire se un provvedimento abbia o meno carattere di ordinanza o di sentenza e sia quindi o meno soggetto ai mezzi di impugnazione previsti per quest’ultima, deve aversi riguardo non alla sua forma esteriore o alla denominazione datagli dal giudice che lo ha pronunziato, ma all’effetto giuridico che essa è destinato a produrre, per cui si è in presenza di un’ordinanza quando il provvedimento dispone circa il contenuto formale delle attività consentite alle parti, mentre si è innanzi una sentenza quando il giudice, nell’esercizio del suo potere giurisdizionale, si pronuncia in via definitiva o non definitiva sul merito della controversia o su presupposti e condizioni processuali “(Cass. II n.11537 del 2000; cnf. Cass. Civ. sez. lav. n.4225 del 1995).
Per ciò che riguarda poi l’individuazione di una sentenza definitiva rispetto ad una che riveste tale carattere, già vent’anni fa le Sezioni Unite ritenevano non definitiva la sentenza, che abbia deciso alcune delle domande proposte proseguendo il procedimento per le altre, senza disporre la separazione dei giudizi e senza provvedere sulle spese, rinviandone la liquidazione all'esito dell'ulteriore corso del giudizio, pronuncia che sostanzialmente ricalca la successiva di un decennio, con particolare riferimento al caso di cumulo di domande tra gli stessi soggetti ai fini della riserva di impugnazione differita (Cass. Sez. Un. n 1577 del 1990; Cass. Sez. Un.n. 711 del 1999).
Più recentemente, le Sezioni Unite hanno ribadito che per sentenza "definitiva ma non conclusiva" deve intendersi la decisione che pronunci parzialmente sulla controversia qualora il giudice abbia emesso un espresso provvedimento di separazione ovvero abbia implicitamente disposto tale separazione pronunciando sulle spese in ordine alle statuizioni adottate (Cass. Sez.Un. n. 22753 del 2009).
Nel caso de quo, a detta dei giudici della Suprema Corte di Cassazione ed in ossequio, dunque, al consolidato orientamento giurisprudenziale, “è da considerarsi non definitiva la sentenza resa su questioni preliminari alla decisione finale e che non contenga quegli elementi formali sulla base dei quali va operata la distinzione, cioè la pronuncia sulle spese o in ordine alla separazione dei giudizi.”
Ben statuiva, pertanto la Corte d’Appello, quando sosteneva che nonostante la mancanza di separata ordinanza in primo grado con la quale si dettano i provvedimenti per il prosieguo del giudizio e per la rinnovazione degli atti istruttori dichiarati nulli, non per questo il giudice di prime cure si fosse voluto “spogliare” del processo.
Nel caso di successione nell’ambito del medesimo processo di una decisione parziale e una decisione definitiva non comporta una progressione, in virtù della quale ad una prima risposta giurisdizionale provvisoria segua una risposta definitiva, che la prima sia in grado di infirmare. La prima sentenza è detta non definitiva solo perché non esaurisce l’oggetto del contendere, decidendo solo una parte delle questioni controverse in causa, ma nell’ambito di tali questioni è comunque decisione piena, non sommaria o provvisoria (Cass. Civ. sez. I, n. 8969 del 2000).
Altre le questioni attinenti ai due ricorsi incidentali - riuniti al principale in quanto afferenti alla stessa materia del contendere- rispettivamente promossi dal F. e da C.N.
In riferimento alla prima, sull'individuazione dell'effettivo procuratore da parte del giudice del merito, è appena il caso di osservare come si tratti di una censura di fatto, come tale inammissibile in sede di legittimità, “nella misura in cui, pur deducendo formalmente un vizio di violazione di legge nonchè un vizio motivazionale, contesta l'accertamento effettuato dal giudice del merito sulla base della documentazione in atti e mira in sostanza ad una nuova valutazione della stessa”.
Per ciò che attiene invece il secondo, si tratta –a detta di chi a proposto la doglianza- di un’applicazione irrituale da parte della Corte d’Appello dell’art. 91 c.p.c, in quanto lo stesso ricorrente incidentale si era semplicemente limitato a seguire “passivamente” le eccezioni prospettate al consorte in lite F.S., non considerando le differenti “posizioni”nonché la totale mancanza di solidarietà. Anche tale argomentazione è da disattendere in virtù del fatto che la condanna al pagamento delle spese processuali è regolata dal principio normativo della soccombenza, che altro non è che un ‘applicazione del principio di causalità, “che vuole non esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico, ha comunque provocato la necessità dell'introduzione del processo o anche del suo prosieguo negli ulteriori gradi vuoi con il comportamento tenuto fuori del processo vuoi con il darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto” (Cass civ.sez. III, n. 7182 del 2000, Paoletti c. Festa).
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Cass. civile sez. III n. 8862 del 18 aprile 2011
Con citazione notificata in data 13 luglio ed 8 agosto 1992 Ra.Ro., C.G., Ca.Ge., C. A. e C.E., premesso di aver affidato all'ing. D.L.A. la progettazione e direzione di lavori, riguardanti immobili di loro proprietà in (...), ed a R.F. l'esecuzione dei medesimi lavori, deducendo che il direttore dei lavori e l'impresa non si erano attenuti a quanto oggetto dell'approvazione con aggravi di costi nè avevano completato i lavori, li convenivano in giudizio chiedendone la condanna al risarcimento dei danni. Si costituivano in giudizio sia il R. che il D.L. deducendo l'infondatezza della domanda; il D.L. spiegava altresì domanda riconvenzionale chiedendo il pagamento delle competenze professionali maturate. Al giudizio de quo venivano riuniti altri due giudizi: il primo dei quali (n. 149/92 R.G.) era stato originato da un decreto ingiuntivo richiesto dal R. per il pagamento delle proprie competenze ed opposto da Ca.Ge., C.G. oltre che da F. S., delegato del Condominio dello stabile della citata (...), mentre il secondo (n. 2633/92) era stato originato dal medesimo decreto ingiuntivo, richiesto dal R. ed opposto dal C.G., da Ca.Ge. e da F.S. i quali avevano eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, i primi due perchè i lavori avevano riguardato solo le parti comuni dello stabile, il terzo perchè non era amministratore dello stabile ma solo un delegato a riscuotere le somme ex lege n. 219 del 1981.
Con sentenza non definitiva del 17.1.02 il Tribunale adito dichiarava la regolarità della legittimazione attiva e passiva delle parti in causa e dichiarava la nullità degli atti istruttori intervenuti dopo lo scioglimento della riservata del 31 luglio 1993 in quanto nè le ordinanze pronunciate fuori udienza nè l'atto di riassunzione del giudizio, già interrotto per il decesso di C.G., erano stati comunicati e notificati all'avv. Giuseppe Cocchiaro, procuratore del F..
Avverso tale decisione proponevano appello il R. ed il D. L. ed in esito al giudizio la Corte di Appello di Napoli con sentenza depositata in data 15 giugno 2005, in accoglimento per quanto di ragione del gravame, dichiaravano F.S. validamente costituito in primo grado a mezzo dell'avv. Raffaele Cocchiaro e non già dell'avv. Giuseppe Cocchiaro e condannavano gli appellati al pagamento delle spese processuali del grado di appello.
Avverso la detta sentenza il R. ed il D.L. hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo.
Resistono con controricorso F.S. e C.N., i quali hanno altresì proposto appello incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare, vanno riuniti il ricorso principale e quelli incidentali, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
Procedendo all'esame del ricorso principale, deve osservarsi che con un'unica doglianza, deducendo il vizio di violazione degli artt. 279 e 280 cpc nonchè il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, i ricorrenti hanno dedotto che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che la sentenza di primo grado fosse una sentenza non definitiva, e non invece una sentenza definitiva. E ciò, in quanto, ad onta della qualificazione datane, l'onere di riassunzione della causa impartito dal giudice non poteva assolvere la funzione dell'ordinanza ex artt. 279 e 280 che si accompagna alle sentenze non definitive. Con la conseguenza - questa, la conclusione dei ricorrenti - che il giudice d'appello avrebbe dovuto esaminare il merito della causa, non esaminata dal giudice di primo grado a causa della pretesa nullità degli atti processuali, erroneamente ritenuta, che era stata superata dall'accoglimento parziale del gravame.
La censura è infondata. A riguardo, deve premettersi che, ai fini della qualificazione del provvedimento, la giurisprudenza ha affermato costantemente il principio della prevalenza del contenuto sostanziale sulla forma e ciò guardando all'effetto giuridico che esso è destinato a produrre (Sez. Un. n. 3816/2005, Cass. n. 709/2004, n. 10946/2004, n. 260/2001, n. 480/99, n. 696/99). Ed infatti la natura di un provvedimento giudiziale deve essere desunta non dalla forma in cui è stato emanato nè dalla qualificazione attribuitagli dal giudice ma dal suo effettivo contenuto in relazione alle disposizioni che regolano la materia. Ciò premesso, quanto all'individuazione di una sentenza come definitiva, deve sottolinearsi che già in passato le Sezioni Unite hanno ritenuto non definitiva la sentenza, che abbia deciso alcune delle domande proposte proseguendo il procedimento per le altre, senza disporre la separazione dei giudizi e senza provvedere sulle spese, rinviandone la liquidazione all'esito dell'ulteriore corso del giudizio. (Sez. Un. 1577/90).
Successivamente intervenute, le Sezioni Unite hanno quindi disposto che, in caso di cumulo di domande tra gli stessi soggetti, e, da considerarsi non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza con la quale il giudice si pronunci su una (o più') di dette domande con prosecuzione del procedimento per le altre, senza disporre la separazione ex art. 279 e senza provvedere sulle spese in ordine alla domande (o alle domande) così decise, rinviandone la relativa liquidazione all'ulteriore corso del giudizio. (Sez. Un. n. 711/99). Di recente, le Sezioni Unite hanno ribadito che per sentenza "definitiva ma non conclusiva" deve intendersi la decisione che pronunci parzialmente sulla controversia (con conseguente prosecuzione del processo) solo qualora il giudice abbia emesso un espresso provvedimento di separazione ovvero abbia implicitamente disposto tale separazione pronunciando sulle spese in ordine alle statuizioni adottate (S.U. 22753/09).
Alla luce del costante orientamento di questa Corte, deve essere pertanto disattesa la doglianza in esame in quanto è da considerarsi non definitiva la sentenza resa su questioni preliminari alla decisione finale e che non contenga quegli elementi formali sulla base dei quali va operata la distinzione, cioè la pronuncia sulle spese o in ordine alla separazione dei giudizi. Ne deriva che non merita censura la decisione impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha evidenziato che, anche se la sentenza di primo grado non risultava corredata dalla separata ordinanza con la quale si dettano i provvedimenti per il prosieguo del giudizio e per la rinnovazione degli atti istruttori dichiarati nulli, si doveva tenere in debito conto il fatto che i "capi ordinatori si appalesassero agevolmente evincibili all'interno dell'unitaria pronuncia giudiziale e che il Tribunale con la resa decisione non avesse inteso "spogliarsi" definitivamente del processo. Consegue il rigetto del ricorso principale.
Passando all'esame del ricorso incidentale proposto dal F., va osservato che con la prima doglianza per violazione dell'art. 129 c.p.c. e per omessa insufficiente contraddittoria motivazione il ricorrente ha lamentato che la Corte d'Appello avrebbe sbagliato perchè invece di rilevare che non c'era stata alcuna impugnativa della nullità della costituzione, onde la validità della costituzione come effettuata, si è posta il problema di sostituire un difensore ritualmente esercitante con un altro, "distinto per effetto di impressioni e mancanza di documenti". Inoltre - ed il rilievo sostanzia la seconda doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione dell'art. 83, 165, 168, 182, 215 e 365 c.p.c. e art. 1716 c.c., nonchè della motivazione contraddittoria - il giudice di appello avrebbe errato quando ha voluto" arrogarsi la potestà di sostituire il legale che aveva firmato, aveva autenticato, aveva notificato l'atto di opposizione e la costituzione cosi come appare chiaramente nell'atto senza equivoci".
Le due censure, che vanno trattate unitariamente per l'intima connessione che le lega, sono assolutamente infondate: la prima, in particolare, in considerazione del rapporto di antecedenza logica tra la l'identità del vero procuratore del F. e la nullità dell'istruttoria, in quanto l'individuazione dell'effettivo verifica, di ufficio, della regolarità di costituzione del contraddittorio, da cui discendeva la validità o meno della successiva attività istruttoria. Quanto all'asserita non correttezza dell'individuazione dell'effettivo procuratore, da parte del giudice del merito, è appena il caso di osservare come si tratti di una censura sostanzialmente di fatto, come tale inammissibile in questa sede, nella misura in cui, pur deducendo formalmente un vizio di violazione di legge nonchè un vizio motivazionale, contesta l'accertamento effettuato dal giudice del merito sulla base della documentazione in atti e mira in sostanza ad una nuova valutazione della stessa, richiedendo un'attività che non è consentita in sede di legittimità. Quanto al ricorso incidentale, proposto da C.N., lo stesso si duole perchè la Corte avrebbe applicato irritualmente l'art. 91 c.p.c. trascurando che tra lui, che aveva solo seguito passivamente le eccezioni prospettate dal consorte in lite F. S. e quest'ultimo, non esisteva solidarietà nè posizione identica.
La censura è infondata trascurando che, in tema di spese processuali, il principio normativo che regola la condanna al loro rimborso è quello della soccombenza, la quale costituisce un'applicazione del principio di causalità, che vuole non esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico, ha comunque provocato la necessità dell'introduzione del processo o anche del suo prosieguo negli ulteriori gradi vuoi con il comportamento tenuto fuori del processo vuoi con il darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto.
Alla luce di tutte le pregresse considerazioni devono essere pertanto disattesi anche i ricorsi incidentali esaminati. Il tenore dell'adottata decisione, con il rigetto dei ricorsi riuniti, giustifica ampiamente la compensazione fra le parti costituite delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese di questo giudizio di legittimità tra le parti costituite.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 marzo 2011.
Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2011
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