IRPEG, IRAP ed IVA. Conti correnti formalmente intestati a societa' e conti correnti intestati a soci, amministratori o proc. gener.: quale confine...Cass. civ. trib. n. 25474 del 13 novembre 2013.



- In riferimento alle imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 37, l'utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti presso gli istituti di credito non può ritenersi limitata ai conti formalmente intestati all'ente, ma riguarda anche quelli intestati ai soci, amministratori o procuratori generali; sempre che, in siffatta ipotesi, risulti provata dall'amministrazione finanziaria, anche tramite presunzione, la natura fittizia dell'intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all'ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati.

- Ne discende, sul piano della distribuzione dell'onere della prova, che una volta dimostrata la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate, l'Ufficio non è tenuto a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma - al contrario -la corretta interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 impone alla società contribuente di dimostrare l'estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa (cfr. Cass. 20199/10, 15217/12, 12625/12).

- In tema di IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, nn. 2 e 7, l'acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente e l'utilizzazione dei dati da essi risultanti ai fini delle rettifiche e degli accertamenti - qualora il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili - non possono ritenersi limitate, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati alla società, ma riguardano anche quelli intestati ai soci, amministratori o procuratori generali. In tale ultima ipotesi, tuttavia, deve risultare provata dall'amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell'intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all'ente dei conti medesimi o di singoli dati od elementi di essi (cfr., ex plurimis, Cass., 24995/06, 8634/07, 374/09, 11145/11, 5849/12).

- Per quanto concerne l'indebita detrazione dell'IVA su costi indeducibili, poichè non inerenti all'attività di impresa - va osservato che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, consentendo, per le operazioni passive, cioè per i beni o servizi importati o acquistati, al contribuente di portare in detrazione l'imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore o prestatore, quando si tratti di acquisto effettuato nell'esercizio di impresa, richiede, oltre alla qualità di imprenditore dell'acquirente, l'inerenza del bene o servizio acquistato all'attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene o servizio stesso. Detta disposizione, inoltre, non introduce deroga alcuna ai comuni criteri in tema di onere della prova, lasciando la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell'interessato, senza che la sussistenza dei predetti requisiti possa neppure presumersi in ragione della sola qualità di società commerciale dell'acquirente (cfr., tra le tante, Cass. 3518/06, 16739/07, 2362/13, 16853/13).

- In tema di condono fiscale, opera, con riguardo alla persona giuridica, la causa ostativa alla definizione quale prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 1, qualora nei confronti del suo rappresentante legale sia già stata esercitata l'azione penale per gli illeciti di cui al D.Lgs. n. 74 del . Nè è sostenibile la necessità della "doppia conoscenza formale" - prevista da detta norma - dell'esercizio dell'azione penale, in capo alla persona giuridica ed al suo legale rappresentante, ricorrendo la sostanziale inscindibilità nella stessa persona delle due figure di contribuente ed imputato e non potendosi configurare, per le sole persone giuridiche, un'ingiustificata situazione di trattamento favorevole rispetto a quello riservato alle persone fisiche (Cass. 8705/13; conf. Cass. 21795/12, 8324/12). E’proprio il riscontro dell'omessa annotazione di operazioni imponibili e dell'omessa fatturazione (ai fini IVA), nonchè della mancata annotazione di elementi positivi del reddito (ai fini delle imposte dirette), a legittimare - in forza delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 - 37 e D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 - 54 - l'accertamento induttivo sulla base di dati e notizie raccolti dall'Amministrazione anche mediante indagini bancarie, che possono riguardare anche conti e depositi intestati a terzi, e perfino a familiari dei soci. E ciò qualora l'Ufficio abbia fondato motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali della società, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extracontabile - per il che è evidente che la regolarità formale di quella ufficiale non è, all'uopo, sufficiente - allo scopo di porre in essere un'evasione fiscale (Cass. 374/09, 5849/12).

Cassazione civile sezione tributaria n. 25474 del 13 novembre 2013.

FATTO

1. A seguito di indagini esperite dalla Guardia di Finanza, i cui risultati venivano trasfusi nel processo verbale di constatazione del 14.7.00, l'Agenzia delle Entrate di Latina emetteva, nei confronti della società E. s.r.l., un avviso di accertamento ai fini IRPEG, IRAP ed IVA, per l'anno di imposta 1998.

1.1. Nell'atto impositivo l'Ufficio - avvalendosi di riscontri contabili effettuati sui conti correnti bancari intestati all'amministratore ed al procuratore speciale della società - contestava alla contribuente, per quanto concerne l'IRPEG e l'IRAP, un maggior reddito ed un più consistente volume di affari, sulla scorta dell'accertata sussistenza di elementi positivi di reddito non contabilizzati, nonchè dell'esistenza di elementi negativi di reddito fiscalmente non deducibili.

1.2. Ai fini IVA, veniva contestata, inoltre, alla società l'omessa fatturazione per operazioni non giustificate, rilevate sui predetti conti correnti bancari, nonchè l'indebita detrazione su costi non deducibili, poichè non inerenti all'attività di impresa dalla stessa esercitata.

2. L'avviso di accertamento veniva, quindi, impugnato dalla contribuente dinanzi alla CTP di Latina, che rigettava il ricorso. L'appello proposto dalla E. s.r.l. alla CTR del Lazio era, peraltro, parzialmente accolto con sentenza n. 806/40/05, depositata il 27.12.05, con la quale il giudice di seconde cure, per un verso, riteneva non riconducibili all'ente le quote di reddito da attribuire, sulla a scorta degli accertamenti bancari, a P. D. ed a N.M., rispettivamente amministratore e procuratore speciale della società, per altro verso, reputava detraibile l'IVA sulle spese, considerate, invece, dall'Ufficio come costi indeducibili.

4. Per la cassazione della sentenza n. 806/40/05 ha proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate articolando un unico motivo, al quale la E. s.r.l. ha replicato con controricorso, contenente, altresì, ricorso incidentale affidato a tre motivi.

DIRITTO

1. Con l'unico motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 51, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l'omessa, insufficiente, o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n.5.

1.1. Avrebbe errato la CTR - ad avviso della ricorrente -anzitutto nel ritenere non riconducibili alla società le movimentazioni bancarie operate sui conti dell'amministratore e del procuratore speciale della E. s.r.l., e ciò in palese in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51. Tali disposizioni consentirebbero, infatti, all'Amministrazione di porre a base delle rettifiche, ai fini delle imposte dirette e dell'IVA, i dati e gli elementi desumibili dai conti della società e dei soci, laddove questi ultimi non forniscano prove contrarie appaganti in ordine alla natura ed alla finalità extra-societarie di dette operazioni.

1.2. Sotto un diverso profilo, poi, il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere detraibili, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, i costi per compensi al direttore tecnico per lavori eseguiti, nonchè le spese catastali, di trasporto ed altre, pur difettando la dimostrazione del requisito essenziale ai fini della detrazione IVA, rappresentato, oltre che dalla certezza di tali costi e dalla loro adeguata documentazione, della inerenza degli stessi all'attività di impresa esercitata dalla società contribuente.

2. Il ricorso è fondato.

2.1 Questa Corte ha, per vero, più volte avuto modo di affrontare la questione relativa ai poteri degli Uffici finanziari nell'attività di acquisizione dei dati utilizzabili ai fini dell'accertamento, sia in materia di imposte dirette che di IVA, con specifico riferimento al caso - ricorrente nella specie - in cui tali dati siano attinti da conti intestati ai soci o agli amministratori, e non alla società sottoposta ad accertamento.

2.2. Con riferimento alle imposte sui redditi, si è - per vero - osservato che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 37, l'utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti presso gli istituti di credito non può ritenersi limitata ai conti formalmente intestati all'ente, ma riguarda anche quelli intestati ai soci, amministratori o procuratori generali; sempre che, in siffatta ipotesi, risulti provata dall'amministrazione finanziaria, anche tramite presunzione, la natura fittizia dell'intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all'ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati. Ne discende, sul piano della distribuzione dell'onere della prova, che una volta dimostrata la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate, l'Ufficio non è tenuto a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma - al contrario -la corretta interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 impone alla società contribuente di dimostrare l'estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa (cfr. Cass. 20199/10, 15217/12, 12625/12).

2.3. Allo stesso modo, in tema di IVA, questa Corte ha osservato che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, nn. 2 e 7, l'acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente e l'utilizzazione dei dati da essi risultanti ai fini delle rettifiche e degli accertamenti - qualora il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili - non possono ritenersi limitate, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati alla società, ma riguardano anche quelli intestati ai soci, amministratori o procuratori generali. In tale ultima ipotesi, tuttavia, deve risultare provata dall'amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell'intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all'ente dei conti medesimi o di singoli dati od elementi di essi (cfr., ex plurimis, Cass., 24995/06, 8634/07, 374/09, 11145/11, 5849/12).

2.4. Tanto premesso in via di principio, va osservato che, nel caso concreto, l'Amministrazione ha fondato l'atto impositivo su una serie di elementi indiziari e presuntivi, particolarmente significativi, in massima parte desunti dal processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, e che - tra l'altro - la stessa contribuente ha avuto cura di elencare nel controricorso (p. 2).

2.4.1. Tali indizi - rilevanti sia ai fini delle imposte dirette che dell'IVA - si concretano, in particolare:

1) in elementi positivi di reddito non contabilizzati scaturenti dal riscontro sui conti dei soci, e privi di idonea ragione giustificativa;

2) nell'omessa fatturazione per accreditamenti non giustificati in alcun modo, a seguito degli accertamenti bancari;

3) nell'omessa fatturazione di operazioni imponibili e nell'omessa dichiarazione IVA;

4) nella mancata regolarizzazione di acquisti senza fattura, derivanti da prelievi bancari non giustificati dai soci. Inoltre, come riferito anche dalla stessa resistente (p. 7 del controricorso), nei confronti dell' amministratore e dei soci della E. s.r.l. era stata esercitata l'azione penale, per gli stessi fatti oggetto dell'avviso di accertamento impugnato.

2.4.2. Ebbene, a fronte dei succitati elementi, di particolare pregnanza sul piano indiziario e presuntivo, la contribuente si è - di contro - limitata, anche nel presente giudizio di legittimità, a mere allegazioni, del tutto sfornite del necessario riscontro probatorio, circa il carattere extra-aziendale delle operazioni sottese alle movimentazioni bancarie suindicate, rinviando del tutto genericamente, in proposito, ai documenti prodotti nei giudizi di merito.

2.4.3. Per quanto concerne, poi, più specificamente l'IVA - in ordine alla quale è stata contestata alla contribuente l'indebita detrazione dell'IVA su costi indeducibili, poichè non inerenti all'attività di impresa - va osservato che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, consentendo, per le operazioni passive, cioè per i beni o servizi importati o acquistati, al contribuente di portare in detrazione l'imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore o prestatore, quando si tratti di acquisto effettuato nell'esercizio di impresa, richiede, oltre alla qualità di imprenditore dell'acquirente, l'inerenza del bene o servizio acquistato all'attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene o servizio stesso. Detta disposizione, inoltre, non introduce deroga alcuna ai comuni criteri in tema di onere della prova, lasciando la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell'interessato, senza che la sussistenza dei predetti requisiti possa neppure presumersi in ragione della sola qualità di società commerciale dell'acquirente (cfr., tra le tante, Cass. 3518/06, 16739/07, 2362/13, 16853/13). Senonchè, nel caso di specie, - al di là di mere allegazioni e del generico rinvio alla documentazione prodotta nei precedenti gradi del giudizio - nessuna prova ha fornito, al riguardo, la resistente anche con riferimento a siffatto requisito essenziale ai fini della detraibilità dell'imposta in parola.

2.5. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso principale dell'Agenzia delle Entrate deve essere accolto.

3. Passando, quindi, all'esame del ricorso incidentale proposto dalla E. s.r.l., osserva la Corte che il gravame si palesa del tutto infondato, per le ragioni che si passa ad esporre in relazione ai singoli motivi di ricorso.

3.1. A tal fine, va rilevato che, con il primo motivo, la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 15.

3.1.1. Si duole, invero, la ricorrente del fatto che la CTR abbia erroneamente ritenuto che l'azione penale esercitata nei confronti dell'amministratore e dei soci della E. s.r.l., per gli stessi fatti oggetto dell'avviso di accertamento impugnato, potesse precludere alla medesima il condono L. n. 289 del 2002, ex art. 15, pur non essendovi, nella specie, identità soggettiva tra il contribuente (società), che si avvale della definizione, ed il soggetto (persone fisiche) destinatario dell'azione penale.

3.1.2. Il motivo è infondato.

3.1.2.1. Questa Corte ha, invero, più volte affermato che, in tema di condono fiscale, opera, con riguardo alla persona giuridica, la causa ostativa alla definizione quale prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 1, qualora nei confronti del suo rappresentante legale sia già stata esercitata l'azione penale per gli illeciti di cui al D.Lgs. n. 74 del . Nè è sostenibile la necessità della "doppia conoscenza formale" - prevista da detta norma - dell'esercizio dell'azione penale, in capo alla persona giuridica ed al suo legale rappresentante, ricorrendo la sostanziale inscindibilità nella stessa persona delle due figure di contribuente ed imputato e non potendosi configurare, per le sole persone giuridiche, un'ingiustificata situazione di trattamento favorevole rispetto a quello riservato alle persone fisiche (Cass. 8705/13; conf. Cass. 21795/12, 8324/12).

3.1.2.2. Ne discende che, nel caso concreto, l'azione penale proposta nei confronti dell'amministratore e del procuratore speciale della E. s.r.l. non poteva che precludere alla società - come correttamente affermato dal giudice di appello - l'accesso al condono, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 15.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso, la E. s.r.l. denuncia, poi, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5.

3.2.1. Si duole sostanzialmente la ricorrente del fatto che l'autorizzazione agli accertamenti bancari sui conti dei soci non sia stata data, come previsto dalle norme succitate, dal direttore centrale o regionale dell'Agenzia delle Entrate, ovvero dal comandante regionale della Guardia di Finanza, bensì dal Procuratore della Repubblica, organo che potrebbe, invece, rilasciare solo l' autorizzazione all'accesso ai locali adibiti ad abitazioni o ad effettuare perquisizioni personali (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52).

3.2.2. Il motivo è infondato.

3.2.2.1. Ed invero, in forza delle disposizioni succitate esclusivamente la mancanza dell'autorizzazione, e sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio al contribuente, può determinare l'illegittimità dell'atto impositivo (Cass. 16874/09, 14023/07), e non certo il fatto che essa sia stata comunque rilasciata, sebbene da un organo - per di più dotato di più ampie e rilevanti attribuzioni - diverso da quello cui la competenza è formalmente attribuita dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51.

3.2.2.2. Anche la censura in esame non può, pertanto, che essere disattesa.

3.3. Con il terzo motivo di ricorso, la E. s.r.l. denuncia, infine, la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. 3.3.1. Avrebbe, invero, errato la CTR - a parere della ricorrente in via incidentale - nel ritenere legittimo l'atto impositivo fondato sulle indagini bancarie condotte su conti bancari intestati a soggetti diversi dalla società sottoposta a verifica, e pur in presenza di una contabilità formalmente regolare tenuta dalla medesima.

3.3.2. Il motivo è infondato, per le medesime ragioni già esposte a proposito del ricorso principale proposto dall'Agenzia delle Entrate. Vale solo la pena di rimarcare, al riguardo, che è proprio il riscontro dell'omessa annotazione di operazioni imponibili e dell'omessa fatturazione (ai fini IVA), nonchè della mancata annotazione di elementi positivi del reddito (ai fini delle imposte dirette), ricorrente nel caso di specie, a legittimare - in forza delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 - 37 e D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 - 54 - l'accertamento induttivo sulla base di dati e notizie raccolti dall'Amministrazione anche mediante indagini bancarie, che possono - come dianzi detto - riguardare anche conti e depositi intestati a terzi, e perfino a familiari dei soci. E ciò qualora l'Ufficio abbia fondato motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti (nella specie suelencati), che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali della società, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extracontabile - per il che è evidente che la regolarità formale di quella ufficiale non è, all'uopo, sufficiente - allo scopo di porre in essere un'evasione fiscale (Cass. 374/09, 5849/12).

3.4. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso incidentale della contribuente deve essere rigettato.

4. L'accoglimento del ricorso principale comporta la cassazione dell'impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell'esercizio del potere di decisione nel merito di cui all'art. 384 c.p.c., comma 1, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della resistente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione; accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale; cassa l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; condanna la resistente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 13.000,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 7 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2013

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