Mobbing immobiliare: la Cassazione lo riconosce?
Le pressioni dei proprietari di immobili per cacciare gli inquilini allo scopo di sfruttare meglio l'immobile...possono configurare il c.d. mobbing immobiliare?
La Corte di Cassazione offre un interessante spunto per la riflessione sul c.d. mobbing immobiliare.
Il mobbing in generale è una "sistematica persecuzione esercitata nei confronti di un individuo.
Tale comportamento "anomalo" può manifestarsi in vari ambiti ed in varie situazioni, professionali e non professionali.
Il caso che ci occupa ha ad oggetto un comportamento "persecutorio" nel settore immobiliare e, nello specifico, nel rapporto tra locatore e conduttore.
- Ma in cosa consiste il c.d. mobbing immobiliare?
Il mobbing immobiliare consiste nelle pressioni, anche illegali, dei proprietari per cacciare gli inquilini allo scopo di sfruttare meglio l'immobile.
- Quando è ravvisabile dunque il mobbing immobiliare?
IL CASO
Tizio proponeva opposizione tardiva avverso ordinanza di convalida di licenza per finita locazione emessa nei suoi confronti dalTribunale su istanza della Fondazione E. e le ulteriori domande proposte dallo stesso nei confronti di controparte di condanna al pagamento di Euro 85.000 oltre Iva e accessori per lavori di miglioria svolti nell'appartamento oggetto del contratto locatizio o in subordine di sua condanna ex art. 2041 c.c., nonchè di sua ulteriore condanna al risarcimento di danno da mobbing immobiliare.
Il Tribunale rigettava la domanda.
Tizio proponeva appello.
La Corte d'Appello lo rigettava.
Tizio presentava ricorso in Cassazione.
- La Decisione della Corte di Cassazione.
Il ricorso è parzialmente fondato.
1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell'art. 668 c.p.c., comma 2. Lamenta il ricorrente che il giudice d'appello abbia ritenuto insussistente la forza maggiore che aveva addotto il ricorrente stesso a fondamento della tardività della opposizione: si sarebbe quindi verificata violazione dell'invocata norma "avendo la Corte territoriale negato valore alla gravità della sindrome ansioso depressiva" che avrebbe impedito a Tizio di opporsi tempestivamente.
Il motivo si snoda criticando gli argomenti fattuali del giudice d'appello sull'assenza della forza maggiore e illustrando su un piano generale i concetti di caso fortuito e di forza maggiore, per affermare poi che la sindrome che avrebbe colpito Tizio poteva giustificare l'ammissibilità della sua opposizione tardiva, poichè la sua psicoterapeuta e il suo psichiatra, "firmatari delle CTP, hanno attestato l'impossibilità assoluta" di Tizio a difendersi per tempo.
La tardività dell'opposizione sarebbe pertanto derivata da causa non imputabile, perchè Tizio non avrebbe avuto "capacità di autodeterminarsi": egli infatti "non era nè cosciente di ciò che compiva nè aveva in sè alcuna consapevolezza e volontà".
Dunque il fatto controverso per cui la motivazione sarebbe "insufficiente e contraddittoria" dovrebbe identificarsi in tale condizione di Tizio.; e si tratterebbe di un fatto decisivo perchè la sua accertata esistenza avrebbe consentito la discussione nel merito dell'opposizione.
Ma la motivazione del giudice d'appello non avrebbe logicamente e congruamente motivato sul reale stato di salute di Tizio "così come emergente dalla documentazione medica sottoposta al Collegio".
Si argomenta poi sulla ratio di tutela propria dell'opposizione ex art. 668 c.p.c., per ribadire che la non opposizione del ricorrente non fu consapevole nè volontaria, e per concludere che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere "infondata" la forza maggiore allegata, visto il contenuto delle consulenze tecniche di parte. Il motivo, pur dilatandosi anche in generiche e irrilevanti osservazioni in ordine ai concetti giuridici di caso fortuito e forza maggiore, si concretizza in realtà in una diretta censura a quanto ha accertato il giudice d'appello in ordine alla esistenza o meno di una forza maggiore che giustificasse la tardività della opposizione del Tizio, attribuendo poi alla motivazione con cui tale accertamento - pervenuto ad esito negativo - è stato esternato contraddittorietà/illogicità e insufficienza/incongruità.
Non rientra però nell'ambito della giurisdizione del giudice di legittimità la verifica della fondatezza o meno dell'accertamento di merito in ordine alla forza maggiore quale evento legittimante l'opposizione tardiva ex art. 668 c.p.c., potendo il giudice di legittimità soltanto vagliare il profilo motivazionale (cfr. p. es. Cass. sez. 3, 23 aprile 2008 n. 10594); e quanto poi alla conformazione della motivazione della sentenza impugnata, non può che applicarsi l'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo attualmente vigente.
Alla luce di quest'ultimo, la corte territoriale ha adeguatamente adempiuto al proprio obbligo motivazionale, fornendo in relazione a quello che effettivamente costituisce un fatto decisivo e controverso, cioè l'asserita impossibilità da parte del V. di opporsi tempestivamente, un'analisi pertinente e concreta, priva di formule di stile e del tutto esente da manifeste illogicità (motivazione, pagine 2-3).
L'ottavo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e vizio motivazionale in ordine alla domanda di risarcimento da mobbing immobiliare.
Infatti, il mobbing immobiliare consisterebbe nelle pressioni, anche illegali, dei proprietari "per cacciare gli inquilini" allo scopo di sfruttare meglio l'immobile o in relazione ad un piano di trasformazione urbanistica.
Secondo il ricorrente dal 1995 "la proprietà ha iniziato tutta una serie di azioni, tutte documentate e tutte risoltesi in favore dell'avv. V., con l'unico scopo di risolvere il contratto di locazione" (al riguardo il ricorrente opera riferimento ai documenti 6-11 del fascicolo di primo grado).
E "una simile serie di azioni giudiziarie nei confronti del medesimo soggetto, tutte infondate e temerarie, tanto da essere sempre rigettate, costituiscono indebita e scorretta forma di pressione sul ricorrente, costretto a subire un pesante stato di stress"; e sarebbe "evidente come siffatte azioni siano chiaramente intentate al solo scopo di "convincere" il conduttore a rilasciare l'immobile"; il ricorrente sarebbe stato "praticamente sempre sotto perenne minaccia di sfratto per motivi ignoti".
Rileva altresì il ricorrente che ai sensi dell'art. 1575 c.c. il locatore è obbligato ad assicurare al conduttore il pacifico godimento (cfr. pure gli artt. 1585 e 1586 c.c.).
Nel caso in esame le condotte del locatore "potevano essere oggetto (sic) di risoluzione anticipata della locazione con richiesta di risarcimento danni"; tuttavia "per il diritto privato italiano" il mobbing immobiliare sarebbe tutelabile solo attraverso l'art. 2043 c.c., della cui fattispecie emergerebbero qui i requisiti.
Ma la corte territoriale si sarebbe limitata a dichiarare inammissibile l'azione, affermando che Tizio avrebbe potuto agire ex art. 96 c.p.c., azione questa che però ha requisiti diversi rispetto a quella esercitata da Tizio.
Non vi sarebbe alcuna inammissibilità e comunque la motivazione risultebbe apodittica e apparente, non avendo d'altronde il giudice d'appello preso "neppure minimamente in esame la documentazione acquisita nel corso dell'istruttoria".
In effetti, in ordine alla domanda risarcitoria per mobbing immobiliare il giudice d'appello così motiva:
"Parimenti inammissibile è anche la domanda risarcitoria motivata dal c.d. mobbing immobiliare e cioè dalle iniziative giudiziarie intraprese in suo danno dall'E., nel corso del tempo, per ottenere il rilascio dell'immobile locatogli, la cui responsabilità, eventualmente, avrebbe dovuto essere fatta valere, di volta in volta, in relazione ai singoli procedimenti, che si assumono temerariamente intrapresi, ai sensi dell'art. 96 c.p.c.".
La motivazione è chiaramente eccentrica rispetto all'oggetto in ordine al quale avrebbe dovuto essere fornita: si limita infatti la corte ad asserire che vi erano i presupposti per agire ex art. 96 c.p.c. in ogni procedimento temerario avviato da locatore nei confronti del conduttore.
Non si vede come ciò possa attenere al c.d. mobbing immobiliare, poichè, nell'ipotesi in cui vi sia stata effettivamente una protratta condotta illecita di molestia e pressione come prospettata dal Tizio, l'illecito non sarebbe stato identificabile nell'avvio del singolo procedimento, e dunque non sarebbe stata certo identificabile la correlata difesa, anche sul piano risarcitorio della reintegrazione della sfera giuridica lesa, in ogni singolo procedimento mediante appunto l'azione ad esso accessoria regolata dall'art. 96 c.p.c..
Invero, Tizio ha prospettato un illecito commesso nei suoi confronti dalla F. E. che si sarebbe realizzato, unitariamente e gradatamente, mediante una sequenza continuativa di pressione giudiziaria: ed è per questo che si avvale dell'espressione "mobbing", talora utilizzata se per integrare l'illecito occorre non un'unica condotta, bensì una pluralità di condotte moleste e/o discriminanti non considerate singolarmente bensì nella loro intrinseca connessione, da cui appunto discende l'illiceità in riferimento a tale fattispecie ontologicamente "plurima" (il caso tipico di un illecito che viene composto da una pluralità di condotte, talvolta anche singolarmente lecite, unificate dallo scopo illecito è ben noto nel mobbing attuato - non necessariamente dal datore di lavoro - nell'ambiente lavorativo - cfr. p. es. Cass. sez. L, 3 marzo 2016 n. 4222, Cass. sez. L, 19 febbraio 2016 n. 3291, Cass. sez. L, 6 agosto 2014 n. 17698, Cass. sez. L, 7 agosto 2013 n. 18836 e Cass. sez. L, 17 febbraio 2009 n. 3785; si è di recente tentato di introdurre la figura del mobbing come illecito civile anche nella vita familiare, allo stato con esito non positivo - Cass. sez. 1, 19 giugno 2014 n. 13983 -, ampiamente controbilanciato peraltro dalla fattispecie penale parimenti "plurima" di cui all'art. 572 c.p.; invero la figura dell'illecito composto necessariamente da una pluralità di condotte che si protraggono nel tempo sussiste pure nel settore penale, dove è recentemente stata incrementata dalla fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p.).
La corte non ha affatto esaminato l'esistenza o meno di una simile sequenza persecutoria della Fondazione nei confronti di Tizio, come se non possa essere configurabile - il che, come si è visto, non può condividersi - un illecito composto da una pluralità di condotte poste in essere in un anche ampio lasso temporale, bensì si è limitata, si ripete, a dare atto della proponibilità ex art. 96 c.p.c. dell'azione per lite temeraria in ogni singolo procedimento (la domanda risarcitoria "avrebbe dovuto essere fatta valere, di volta in volta, in relazione ai singoli procedimenti" ex art. 96 c.p.c.).
Il fatto che sussista una tutela specifica per la lite temeraria ovviamente non ha alcuna pertinenza con l'ipotesi in cui vi sia una condotta persecutoria che si sia concretizzata proprio nella continuativa pluralità di iniziative giudiziarie nei confronti del molestato; e che il punto di vista manifestato nella motivazione dal giudice d'appello fosse assolutamente eccentrico rispetto alla domanda viene per di più confermato dalla - indubbiamente singolare, e comunque per nulla spiegata - qualificazione di questa come inammissibile.
Tale assoluto grado di eccentricità conduce, in ultima analisi, a ritenere effettivamente assente la motivazione sulla domanda risarcitoria in questione, per cui il motivo deve essere accolto, cassando in relazione la sentenza con rinvio ad altra sezione della corte territoriale.
In conclusione, quindi, il ricorso deve essere rigettato quanto ai primi sette motivi, mentre deve esserne accolto l'ottavo, con conseguente cassazione in relazione dell'impugnata sentenza e rinvio alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente grado.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso quanto ai primi sette motivi, accoglie l'ottavo motivo e cassa in relazione con rinvio alla Corte d'appello di Roma anche per le spese del grado.
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