PROCESSUALE PENALE. Patteggiamento: i termini della pattuizione non possono essere oggetto di ricorso per cassazione. Cass. pen. n. 30881/2011



Nota della Dott.ssa Lucia Antonazzi.

In sede di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., tutte le statuizioni non illegittime concordate dalle parti e recepite in sentenza, in quanto manifestazione di un generale potere dispositivo che la legge riconosce con questo istituto alle parti e che il giudice ratifica, non possono essere poi rimesse in discussione dalle parti medesime con il ricorso per cassazione. 

 
Ne consegue che la parte che abbia prestato il proprio consenso all’applicazione di un determinato trattamento sanzionatorio non può poi dolersi della successiva ratifica del patto da parte del giudice, neppure sotto il profilo del difetto o del vizio di motivazione, in quanto ha implicitamente esonerato quest'ultimo dell'obbligo di rendere conto dei punti non controversi della decisione.
 
 
La Corte di Cassazione nella sentenza in commento torna ad affermare un principio su cui da tempo è unanime l’orientamento della giurisprudenza di legittimità.
 
Rigettando il ricorso presentato da due imputati condannati in concorso per il reato di detenzione a fini di spaccio (art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990), la Suprema Corte rifiuta di valutare le doglianze relative all’accordo intercorso tra le parti e che il Gip ha ritenuto ammissibile, deliberando ai sensi dell'art. 444 c. p. p..
 
L’istituto del patteggiamento previsto all’art. 444 c.p.p. conclude in modo negoziale il procedimento con una delibazione che, da un lato accerta la sussistenza dell’accordo tra le parti, la correttezza della qualificazione giuridica del fatto, dell’applicazione e valutazione delle circostanze, la congruità della pena patteggiata ed eventualmente la concedibilità della sospensione condizionale; dall’altra l’assenza di cause di non punibilità, procedibilità o estinzione del reato. 
 
A tal fine sul giudice incombe sì l’obbligo di motivazione imposto dagli art. 111 Cost. e art. 125 comma 3 Cost.  ma che, tuttavia, andrà adattato alla particolarità del rito speciale. 
Di conseguenza, pur non potendo ridursi il compito del giudice ad una mera presa d’atto dell’accordo concluso, non di meno lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione (Cass. Sez. Un. 27 marzo 1992, n. 05777; Cass. 22 settembre 1997, Ninivaggi, CED, 209387; Cass. 28 marzo 1995, Lo Cascio, Cass. pen. 1996, 2327; Cass. Sez. Un. 27 settembre 1995, Serafino, ANPP 1995, 840, Cass. 27 gennaio 1999, Forte, ANPP 1999,424).         
 
Il giudice, in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, dopo aver valutato la presenza delle condizioni previste dalla legge per far luogo a tale tipo di giudizio, accetta integralmente le proposte con una motivazione necessariamente sintetica ed essenziale. Di conseguenza l’imputato non può avere interesse a lamentarsi di siffatta motivazione, censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile (Cass. sent. 19 febbraio 1993, in Riv. pen., 93, 763); né è consentito alle parti porre ulteriormente in discussione l’entità della pena con riferimento ai parametri di cui all’art. 133 c.p.p., ovvero alla sussistenza di ulteriori attenuanti od aggravanti non considerate (Cass. sent. 16 maggio 1991, in Cass. pen. 1991, II, 980).
 
La richiesta di applicazione della pena e l’adesione a quella proposta dall’altra parte, integrano un negozio di natura processuale che, una volta perfezionato con la ratifica dal giudice che ne ha accertato la correttezza, non è revocabile unilateralmente. Riconoscendo al patteggiamento la natura di accordo a struttura contrattuale, il negozio processuale potrà dirsi perfezionato con l’intervenuto accordo tra le parti ma efficace solo con la successiva ratifica del giudice, che ne determina il perfezionamento strutturale e la consequenziale irrevocabilità (Cass., 27 marzo 2001, Ciliberti, CED 219852; Cass. pen., 7 gennaio 2000, Lazzoni, G. I 802; Cass., 3 novembre 1998, Gasparini, CED 212679; contra Cass., 24 giugno 1991, Grossi, Cass. pen. 1992, 715).
 
Considerando che la richiesta di applicazione della pena implica la rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa, mediante un atto dispositivo  con cui l’interessato abdica all’esercizio del diritto alla prova, sarà precluso contestare i termini dell’accordo, vincolante per le parti e  conseguentemente insuscettibile di censura in sede di impugnazione (Cass. 13 dicembre 2001, Chanten, DPP,2002, 95; conf.  Cass. sent. 30 marzo 1994, n. 197655 Cass. 21 ottobre 1999, in Cass. pen., 2000, 2354; Cass.8 luglio 2002, Leone, CED, 222959). 
 
Nella sentenza in commento la Suprema Corte dimostra di condividere le posizioni della giurisprudenza citata e ribadisce l’inammissibilità in sede di legittimità di ogni impugnazione contenente eccezioni o censure relative al merito delle valutazioni sottese al consenso prestato. 
 
Afferma pertanto che, in sede di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., tutte le statuizioni non illegittime, concordate e recepite in sentenza, in quanto manifestazione di un generale potere dispositivo che la legge riconosce con questo istituto alle parti e che il giudice ratifica, non possono essere poi rimesse in discussione dalle parti medesime con il ricorso per cassazione. 
 
Ne consegue che la parte che abbia prestato il proprio consenso all’applicazione di un determinato trattamento sanzionatorio, non può poi dolersi della successiva ratifica del patto da parte del giudice neppure sotto il profilo del difetto o del vizio di motivazione, in quanto ha implicitamente esonerato quest'ultimo dell'obbligo di rendere conto dei punti non controversi della decisione.
____________________________
 
 Cassazione penale  sez. fer. 02 agosto 2011  n. 30881
1. Con sentenza in data 5.8.2010 il Gip di Cremona deliberava ai sensi dell'art. 444 c.p.p., accogliendo l'accordo intercorso tra le parti, nei confronti di D.M.A. e F.P. le rispettive pene di quattro anni di reclusione e 18.000 Euro di multa per il primo e, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, di tre anni quattro mesi di reclusione ed Euro 14.447 di multa per il secondo, in relazione alla comune imputazione di concorso nella detenzione a fini di spaccio di 186,40 gr. di cocaina pura al 23,95%.
Il Gip provvedeva altresì in ordine alle pene accessorie ed alla destinazione dei beni in sequestro.
2. Hanno ricorso per cassazione entrambi gli imputati, tramite i rispettivi difensori fiduciari.
2.1 F., con l'avv. S., deduce l'"ingiustizia" della sentenza, per la riduzione di solo un sesto, in luogo del terzo possibile, attribuita alle riconosciute attenuanti generiche, in relazione a condizioni personali e comportamento processuale.
2.2 D.M., con gli avvocati L. e S., propone due motivi:
- violazione di legge ed illogicità della motivazione in ordine alla mancata applicazione dell'attenuante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;
- violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla mancata applicazione delle attenuanti generiche.
3. Il procuratore generale in sede ha presentato conclusioni scritte per l'inammissibilità di entrambi i ricorsi.
4. Il ricorso di F. è inammissibile perchè il motivo proposto è diverso da quelli consentiti, attenendo al merito, oltretutto in contesto nel quale la pena è legittima e coerente alla libera richiesta della parte.
5. Il ricorso di D.M. è inammissibile.
In sede di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., tutte le statuizioni non illegittime concordate dalle parti e recepite in sentenza, in quanto manifestazione di un generale potere dispositivo che la legge riconosce con questo istituto alle parti e che il giudice ratifica, non possono essere poi rimesse in discussione dalle parti medesime con il ricorso per cassazione. Ne consegue che la parte che abbia prestato il proprio consenso all'applicazione di un determinato trattamento sanzionatorio non può poi dolersi della successiva ratifica del patto da parte del giudice, neppure sotto il profilo del difetto o del vizio di motivazione, in quanto ha implicitamente esonerato quest'ultimo dell'obbligo di rendere conto dei punti non controversi della decisione (Sez. 3, sent. 42910 del 29.9 - 11.11.2009).
6. All'inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000 - equa ai casi - a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2000.
Così deciso in Roma, il 2 agosto 2011.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2011
 
 
   

Fai una domanda