REFORMATIO IN PEIUS

Latino: "riforma in peggio", esprime il principio, secondo il quale, in tema di impugnazioni, il giudice non può emettere una sentenza che decide in senso più sfavorevole al ricorrente rispetto a quella caducata. In diritto processuale civile, il divieto di reformatio in peius non è sancito espressamente dal legislatore, ma si considera ugualmente vigente in tema di appello, in quanto l'appellante domanda al giudice di secondo grado una riforma in meglio della sentenza impugnata, per cui, in virtù del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, una riforma in senso peggiorativo non sarebbe consentita; tuttavia, una riforma in peggio potrebbe scaturire dall'accoglimento dell'eventuale appello incidentale proposto da controparte. In diritto processuale penale, l'art. 597, c.p.p. dispone espressamente che "quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie e quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici"; il giudice, in effetti, può solamente attribuire al fatto illecito una definizione più grave, purché rientri sempre nei limiti della competenza del giudice di primo grado.