AMMINISTRATIVO. Difensore civico e accesso agli atti.



DIRITTO AMMINISTRATIVO. Difensore Civico e Accesso agli Atti

Avv. Salvatore Braghini – Foro di Avezzano

Contributo inviato in anteprima agli iscritti alla newsletter n. 11/2014.

Nell’ultimo ventennio la disciplina del diritto d’accesso è stata oggetto di una graduale ma vigorosa evoluzione. I cambiamenti della disciplina sui documenti amministrativi sono avvenuti in stretta connessione con il processo di ammodernamento dell’apparato amministrativo al fine di conseguire i principi di ordine costituzionale e comunitario dell’efficienza, della trasparenza e della funzionalità. Il diritto di accesso, disciplinato dagli artt. 22 ss. della l. 7 agosto 1990, n. 241, riformata dalla l. n. 15 del 2005, si ispira principalmente al principio cardine della trasparenza amministrativa di cui all’art. 1 della stessa l. n. 241 del 1990, quale “accessibilità totale” alle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle Pubbliche Amministrazioni. Quest’ultimo principio deve essere in effetti sempre rispettato, salvo in ipotesi eccezionali in cui concorrono interessi di sovraordinata importanza e che costituiscono peraltro oggetto di annose dispute dottrinali e giurisprudenziali.

Il nuovo art. 22 fornisce una definizione di diritto di accesso, inteso come “diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi”. Intorno alla qualificazione giuridica dell’”accesso” il dibattito non ha trovato una sua soluzione unanime: parte della giurisprudenza propende per la tesi secondo la quale esso si qualifica come interesse legittimo; altra parte, invece, ritiene si sostanzi in un diritto soggettivo.

L’orientamento che ravvisa il profilo di interesse legittimo viene supportato dall’Adunanza plenaria con la sentenza n. 16 del 1999; altresì assumendo, da una parte, che la P.A., nell’esprimersi sulla richiesta di accesso, effettua una valutazione dell’interesse pubblico e pertanto esercita un potere discrezionale, e dall’altra, che l’esercizio del diritto soggettivo non richiede giustificazione, mentre l’istanza di accesso deve essere sempre corredata di motivazione.

A proposito si evidenzia l’ulteriore distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo come incidente ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, il quale, essendo chiamato a giudicare sull’accesso agli atti, ne riproverebbe la natura di interesse legittimo, utilmente considerando che l’art. 103 Cost. considera oggetto principale della giurisdizione del giudice amministrativo l’interesse legittimo.

A detta di altri invece le innovazioni introdotte con la l. n. 15 del 2005 sembrano orientarsi verso una qualificazione in termini di diritto soggettivo del diritto di accesso, evincendolo sostanzialmente dal tenore letterale dell’art. 22 comma 2 e dall’art. 25 comma 5, ultimo alinea, della legge 241/90.

Del resto, in questo caso, adottare l’una delle due soluzioni non determina il prevalere di una tesi sul piano puramente speculativo, atteso che la qualificazione del diritto di accesso come diritto soggettivo comporta inevitabilmente delle conseguenze di non secondario rilievo.

Propendendo per la natura giuridica di diritto soggettivo, anzitutto il decorso del termine per proporre il ricorso contro il diniego all’accesso non precluderebbe all’interessato la possibilità di far valere il diritto di accesso nell’ordinario termine di prescrizione; dappoi, la mancata notificazione del ricorso ad almeno uno dei controinteressati non renderebbe inammissibile il ricorso stesso, ma obbligherebbe il giudice ad ordinare il contraddittorio al fine di assicurare ai liticonsorti la partecipazione al giudizio, ai sensi dell’art. 102 c.p.c.; da ultimo, nell’ambito del giudizio dinanzi al giudice amministrativo, la P.A. dovrebbe poter addurre nuove ragioni che l’hanno indotta a rifiutare l’accesso.

La tutela del diritto di accesso agli atti, prescindendo ora dalla qualificazione giuridica che lo inquadra in un senso o nell’altro, si esercita ai sensi dell’art. 25 commi 4 e 5 non soltanto mediante la tutela giurisdizionale affidata al giudice amministrativo - decorsi 30 giorni dalla data in cui è stato comunicato il diniego della P.A. alla ostensione degli atti, espresso o tacito (silenzio-rigetto) - ma anche attraverso il ricorso al difensore civico regionale o provinciale (a seconda dell’ambito territoriale della istituzione o ente al quale si è inoltrata la richiesta di accesso) ovvero presso la commissione di cui all’art. 27 l. 241/90 nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato. Ma chi è il difensore civico? E perché tale figura è stata implicata nella tutela del diritto di accesso agli atti dell’amministrazione? Possiamo definire il difensore civico un alto funzionario indipendente, dotato di attribuzioni ispettive e di poteri conoscitivi nei confronti dell’Amministrazione, portatore delle istanze dei cittadini lesi dall’inerzia della stessa o dai suoi comportamenti illegittimi.

Il difensore civico si colloca in una posizione intermedia tra gli organismi amministrativi ed il cittadino, alla portata di quest’ultimo ma, allo stesso tempo, organo della stessa Amministrazione, sebbene in una posizione di “indipendenza”, con tutte le garanzie di imparzialità e neutralità.

La difesa civica è volta anche ad assicurare l’efficienza ed il buon andamento della P.A., quale strumento di attuazione dei sopra menzionati principi costituzionali e comunitari. Nella sua formula originaria tale istituto ha preso a modello il c.d. Ombudsman di matrice scandinava, previsto per la prima volta nella Costituzione del Regno di Svezia del 1809 e nominato dal Parlamento al fine di verificare l’osservanza delle leggi da parte dei tribunali e dei pubblici funzionari, soggetti all’Esecutivo regio e da questo nominati. In tale contesto l’Ombudsman era preposto a garantire l’equilibrio tra i poteri dello Stato ed in tal senso, diversamente dal suo attuale ruolo, era estraneo alla tutela degli interessi individuali.

Nell’ordinamento italiano il ruolo del difensore civico si esprime soltanto nell’ambito degli Enti territoriali, non avendo il Parlamento provveduto alla creazione di una difesa civica nazionale. Il legislatore ha previsto, ai sensi dell’art. 25 della L. 241/90, una forma di ricorso supplementare a quella dinanzi al giudice amministrativo, che coinvolge l’ufficio del difensore civico.

L’individuazione dell’ufficio di difesa civica si differenzia sulla base del collegamento territoriale tra l’amministrazione e il difensore civico. Se questi non è presente, la domanda andrà presentata al difensore civico competente per l'ambito territoriale immediatamente superiore, previsione quanto mai necessaria, in quanto, secondo il Testo Unico degli Enti Locali (T.U.E.L.), “Lo statuto comunale e quello provinciale possono [non debbono] prevedere l'istituzione del difensore civico” (art. 11 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267); potendo altresì delegare l’intera attività di difesa civica al difensore regionale, tanto che, la legge finanziaria del 2010 – condizionata da una ormai imperante ideologia della “spending review” - ha soppresso la figura del difensore civico comunale, o meglio, non essendo mi stata istituita come obbligo ex lege, ne impedisce la nomina da parte del consiglio comunale. La richiesta di intervento agli organi amministrativi, difensore civico e commissione per l’accesso, assume le sembianze di un rito abbreviato ispirato al principio di celerità, che prevede un termine perentorio di 30 giorni per ricorrere avverso le determinazioni amministrative in materia di accesso e trascorso inutilmente questo termine, l’interessato non potrà rinnovare la richiesta.

I trenta giorni utili per fare istanza di riesame presso il difensore civico (o presso la commissione in caso di amministrazione centrale o periferica dello Stato) iniziano a decorrere quando siano trascorsi infruttuosamente 30 giorni dall’istanza per l’accesso (nella forma del provvedimento di diniego o di silenzio-rigetto) e il ricorso si intende respinto. È fatta salva la possibilità di addurre fatti nuovi, sopravvenuti o meno, che giustifichino una nuova decisione da parte dell’amministrazione presentando la domanda dinanzi Tar.

L’interessato può ricorrere senza bisogno del patrocinio di un avvocato secondo quanto previsto dall’articolo 4 della l. 205/2000. Nel caso in cui il difensore o la commissione chiamati in causa dal cittadino ritengano illegittimo il diniego dell’amministrazione, dovranno provvedere ad informare tempestivamente il richiedente e l’autorità che ha interdetto l’accesso.

Non si tratta però di una decisione vincolante per l’amministrazione e tantomeno di una decisone definitiva ma servirà da indirizzo e da stimolo alla P.A. al fine di rivedere il proprio operato.

L’amministrazione, infatti, a seguito della decisione del difensore o della commissione, potrà emanare un provvedimento confermativo di diniego o di differimento continuando a negare l’accesso. In realtà il provvedimento con cui l’amministrazione conferma la precedente decisione sul diniego d’accesso, dovendo essere necessariamente motivata, si configura solo in apparenza come “confermativa”; infatti, nonostante venga titolato come provvedimento confermativo, tale disposizione origina un nuovo esercizio del potere e come tale è impugnabile.

L’amministrazione regionale o sub-regionale può invece permettere l’accesso al richiedente mediante provvedimento conformativo al parere/giudizio espresso dall’invocata difesa civica. In questo secondo caso una copia del provvedimento che dispone l’accesso verrà inviata per conoscenza al difensore civico. Ma esiste una terza possibilità, vale a dire che l’amministrazione interessata lasci trascorrere infruttuosamente 30 giorni: in questa evenienza, il silenzio (in senso diametralmente opposto al valore di rigetto del silenzio qualificato nella fase della primigenia richiesta di accesso inoltrata dal cittadino) assumerà il significato di consenso tacito alla presa visione (o estrazione di copia) dei documenti oggetto di richiesta.

In caso di provvedimento negativo per l’istante, quest’ultimo non potrà impugnarlo nuovamente innanzi alla commissione o al difensore, nel segno dell’adeguamento al principio processuale del ne bis in idem.

Per i casi in cui l’amministrazione reiteri il diniego senza fornire motivazione alcuna, il ricorrente potrà impugnare l’atto in sede giurisdizionale al fine di eludere la decisione amministrativa illegittimamente immotivata. Occorre sottolineare che in tale esito, l’organo giudiziario si pronuncerà sulla validità del provvedimento non motivato e non nel merito della determinazione sull’esistenza del diritto d’accesso.

Per i casi di diniego legittimo, la commissione e il difensore devono informare dell’esito del riesame l’istante, il quale potrà, nei trenta giorni successivi, esperire il ricorso giurisdizionale davanti al tribunale amministrativo competente per territorio.

Va infine rilevato che scegliendo la via del ricorso al difensore civico viene meno la tutela, prevista espressamente dal codice del processo amministrativo per i casi di riesame davanti al T.A.R., a favore di quei soggetti controinteressati, che dall’esibizione dell’atto possano vedere leso il loro diritto di riservatezza. I controinteressati infatti possono opporsi al trattamento dei dati personali sulla base dell’art. 7 del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che tutela anche la comunicazione dei dati dei controinteressati a terzi. Ma va ricordato che pur se non possono far valere i propri interessi dinanzi al difensore civico, qualora vengano a conoscenza del provvedimento confermativo da parte dell’amministrazione che esegue l’ordine di riesame emesso dalla difesa civica, potranno adire alternativamente, nel termine dei 30 giorni, il giudice amministrativo o il Garante per la protezione dei dati personali (o ancora il giudice ordinario), secondo quanto previsto dall’art. 145 del codice sulla privacy.

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