DIRITTO CIVILE. Onorario dell'avvocato, tariffa professionale, interessi e potere discrezionale del giudice. Cass. civ. sez. II n. 22982 del 09 ottobre 2013.



Con ricorso ex artt. 636 e 638 c.p.c. un avvocato chiedeva ingiunzione al Comune per il pagamento del compenso per prestazioni professionali. Il comune si opponeva ai sensi dell’art. 645 c.p.c. Il Tribunale accoglieva parzialmente l’opposizione e liquidava la somma di € 4361,82 oltre a spese generali per non avere l’avvocato provato l’esame della delibera di incarico, l’esame dell’avviso del Presidente del Tribunale, la partecipazione alle udienze, l’esame del decreto del Presidente del Tribunale, l’esame della comparsa del nuovo difensore, l’esame della comparsa conclusionale avversa, la corrispondenza e tutte le spese. L’avvocato ha impugnato tale provvedimento ex art. 111 Cost. La Corte di Cassazione con sentenza n. 22982 del 09 ottobre 2013 si è pronunciata evidenziando i seguenti principi di diritto: - la determinazione degli onorari di avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice, che, se contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità a meno che l'interessato specifichi le singole voci della tariffa che assume essere state violate (Cass. n. 14011 del 12.11.2001; Cass. n. 18086 del 07.08.2009). - Il ricorrente infatti ha l'onere dell'analitica specificazione delle voci della tariffa professionale che ritiene violate e degli importi considerati, al fine di consentire il controllo in sede di legittimità senza bisogno di procedere alla diretta consultazione degli atti, in quanto l'eventuale violazione delle tariffe professionali integra un'ipotesi di error in iudicando e non in procedendo (Cass. n. 6864 del 25.5.2000; Cass. n. 15172 del 10.10.2003). - "... se è vero che, in tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato e procuratore a carico del cliente, la disposizione comune alle tre tariffe forensi (civile, penale e stragiudiziale) contenuta nel D.M. 14 febbraio 1992, n. 238 prevede che gli interessi di mora decorrano dal terzo mese successivo all'invio della parcella, quando tuttavia insorge controversia tra l'avvocato ed il cliente circa il compenso per prestazioni professionali, il debitore non può essere ritenuto in mora prima della liquidazione del debito, che avviene con l'ordinanza che conclude il procedimento L. 13 giugno 1942, n. 794, ex art. 28, (che è di particolare, sollecita definizione), sicchè è da quella data - e nei limiti di quanto liquidato dal giudice - e non da prima che va riportata la decorrenza degli interessi (Cass. n. 5240 del 29.05.1999; Cass. n. 11777 del 07.06.2005).

Cass. civ. sez. II n. 22982 del 09 ottobre 2013.

 

 

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