Falcidia IVA nelle procedure di sovraindebitamento: parola alla Corte Costituzionale.

Il Tribunale di Udine con ordinanza del 14 maggio 2018 ha rimesso alla Consulta la valutazione sulla costituzionalità dell'art. 7 comma 1, terzo periodo, della Legge 3/2012.



A cura dell'Avv. Augusto Careni

La falcidiabilità dell’IVA all’interno delle procedure di sovraindebitamento previste dalla Legge 3/2012 è un tema caldamente dibattuto da commentatori e dalla stessa giurisprudenza di merito sin dall’entrata in vigore della normativa. Il tanto interesse dietro questo argomento proviene dal fatto che tra i debiti maggiormente inseriti nelle procedure di sovraindebitamento vi è proprio quello con l’erario e nella specie una rilevante incidenza è dell’IVA.

La questione sorge ovviamente non sull’inserimento nei piani dell’IVA, aspetto sul quale non vi sono dubbi circa la possibilità, ma sulla falcidiabilità della stessa, ovvero se sia possibile proporre all’erario una “soddisfazione” parziale di tale imposta.

Cosa dice al riguardo la norma. L’art. 7, comma 1, terzo periodo, della Legge 3/2012, riporta: "In ogni caso, con riguardo [...] all'imposta sul valore aggiunto [...], il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento ". Dunque soffermandosi ad una interpretazione letterale, il pagamento dell’IVA da parte del debitore potrebbe essere soltanto dilazionato ma non ridotto.

E la giurisprudenza? I tribunali di merito si sono schierati quasi in modo unanime nel ritenere non falcidiabile l’IVA, dunque attenendosi ad una interpretazione molto rigorosa della richiamata norma. Solo in pochissime eccezioni, invece, i Giudici che si sono visti depositare ricorsi con la proposta di falcidia dell’IVA hanno ritenuto di aderire a tale tesi (cfr. Trib. Torino del 7.8.2017; Trib. Pistoia del 26.4.2017; Trib. di Pescara del 22.10.2017).

Il Tribunale di Torino (Trib. Torino del 7.8.2017) ha evidenziato che la disciplina dell'Iva rientra senza dubbio nella sfera di competenza dell’Unione Europea alla luce della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio,(c.d. "direttiva Iva"). L'art. 273 di tale direttiva obbliga ogni Stato membro ad assicurare l'esatta riscossione dell'Iva e ad evitarne le evasioni, nel rispetto della parità di trattamento; tali disposizioni sono state interpretate dalla Corte di Giusitiza UE nel senso che ogni Stato membro beneficia di una certa libertà circa l'individuazione dei mezzi a disposizione.

Tale libertà sarebbe in ogni caso limitata all'obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione, non ammettendosi misure nazionali volte ad una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell'IVA, mentre non vi sarebbero ostacoli a che lo Stato preveda una norma nazionale che permetta ad un imprenditore commerciale in stato di insolvenza di pagare solo parzialmente il suo debito IVA, qualora ciò avvenga nel quadro di una procedura seria, rigorosa e garantita. Secondo questo orientamento, pertanto, sarebbe legittimo procedere alla "non applicazione" dell'obbligo di pagamento integrale dell'IVA di cui all'art. 7 comma 1, terzo periodo, Legge 3/2012, perché l'ordinamento dell'U.E. considera lecito, a determinate condizioni, che lo Stato consenta un recupero solo parziale dell'IVA dovuta, purché ricorrano tutti i presupposti richiesti (messa a disposizione di tutti i beni; attestazione di un esperto indipendente sul fatto che il creditore privilegiato falcidiato non potrebbe trovare migliore soddisfazione in una procedura di liquidazione; possibilità di voto per i creditori degradati al chirografo, compreso lo Stato; possibilità per l'Erario di far valere dinanzi al giudice le proprie ragioni).

Il Tribunale di Pistoia (Trib. di Pistoia del 26.4.2017) ha dal proprio canto affermato che l'art. 7 citato, secondo questa decisione, si limiterebbe infatti a replicare, in modo affatto neutrale, la regola eurounitaria espressa, secondo cui gli Stati membri hanno l'obbligo di assicurare il prelievo integrale dell'Iva sul territorio. Ma così come nella normativa unitaria non è esplicitata la regola derivata, desumibile implicitamente dalla sentenza Degano Trasporti e secondo cui gli Stati membri, ove non sia possibile la riscossione integrale dell'IVA dovuta, possono/devono garantire il miglior ricavo possibile, per come accertato nell'ambito di un procedimento sottoposto a controllo giurisdizionale e nell'ambito del quale sia garantita la possibilità di voto e di opposizione del creditore (il concordato preventivo), ugualmente-dovrebbe dirsi in riferimento alla regola sull'IVA contenuta nell'art. 7 della Legge 3/2012. L'interpretazione conforme prospettata consentirebbe di ritenere che il divieto di falcidia dell'IVA, previsto dalla norma sull'accordo del sovraindebitato, faccia implicitamente salva l'ipotesi che la proposta preveda un trattamento migliore rispetto a quello consentito dalla alternativa liquidatoria, esprimendo così una regola generale rispetto alla quale l'eccezione deve ritenersi non esclusa, ma implicita.

Ed ancora il Tribunale di Pescara (Trib. di Pescara del 22.10.2017) per il quale premesso che, in via generale e per costante giurisprudenza dell'Unione europea, sussiste l'obbligo per il giudice nazionale di far ricorso a tutte le risorse ermeneutiche disponibili al fine di conseguire il risultato voluto dall'ordinamento dell'Unione Europea, contribuendo all'adeguamento dell'ordinamento interno all'ordinamento sovranazionale ed alla realizzazione del processo di integrazione tra gli ordinamenti, ne consegue che nell'interpretare la disposizione contenuta nell'art. 7. comma I, terzo periodo, della Legge 3/2012, si dovrà prediligere una interpretazione conforme alle prescrizioni del diritto dell'Unione Europea in materia di IVA, così come declinati nella sentenza del 7 aprile 2016 della Corte di Giustizia UE. Secondo tale pronuncia, pertanto, deve ritenersi che il divieto di falcidia dell'IVA previsto dall'art. 7 faccia implicitamente salva l'ipotesi che la proposta preveda un trattamento migliore rispetto a quello consentito dalla alternativa liquidatoria di cui all'art. 14-ter, esprimendo così la regola generale rispetto alla quale l'eccezione deve ritenersi non esclusa, ma implicita.

Qual’è invece l’orientamento offerto dal Tribunale di Udine nella sentenza del 14 maggio 2018?

Per tale Tribunale, partendo dal presupposto che la disposizione in discussione non è in contrasto con norme dell'U.E. aventi effetto diretto e contenuto precettavo chiaro, preciso e incondizionato, non si pone un problema di sua "non applicazione" e la vicenda deve essere risolta soltanto nel quadro dell'ordinamento interno.

Dunque in sostanza si discosta dai profili riguardanti la diretta applicazione delle norme dell’UE, ma ritiene di dover affrontare il problema sotto l’aspetto dell’eventuale contrasto con la Costituzione italiana, in primis con l’art. 3 Cost.

In effetti, come osserva il Tribunale di Udine,in sede di concordato preventivo, è consentito prevedere una soddisfazione non integrale dei creditori privilegiati, purché ci si mantenga nei limiti del valore ricavabile dalla vendita forzata dei beni su cui la prelazione si esercita, avuto riguardo al valore ad essi attribuibile sulla scorta di una valutazione di un esperto indipendente. Nessuna prescrizione particolare sussiste circa la misura di tale soddisfazione, ed il carattere tributario o meno del credito non comporta deviazioni rispetto a tale principio. Stesso discorso valevole anche per la transazione fiscale che si intenda raggiungere nell'ambito di un accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis Legge Fallimentare, dove l'Amministrazione è legittimata ad aderire ad una proposta del debitore che preveda un pagamento parziale dei crediti privilegiati che gestisce, se sono rispettate le consuete regole della falcidia nel limite della capienza dei beni gravati.

Deve quindi evidenziarsi come tale regola non valga nell’attuale previsione della Legge 3/2012 per qualsiasi debitore insolvente non soggetto alle procedure di cui alla Legge Fallimentare,tra cui ad esempio l'imprenditore commerciale per qualsiasi motivo sottratto al fallimento, o l'imprenditore agricolo, i quali laddove intendano gestire il proprio sovraindebitamento con strumenti ugualmente concorsuali ed a base negoziale sotto il controllo del tribunale – quali ad esempio l’accordo di ristrutturazione - può prevedere un trattamento dei creditori, privilegiati con falcidia nel limite della capienza dei beni gravati ma, con deroga assoluta ed imperativa, deve sempre prevedere il pagamento per intero del credito IVA, a pena di inammissibilità della proposta.

Il Tribunale di Udine evidenzia quindi come vi sia un trattamento diverso per identiche situazioni, laddove in sostanza la falcidiabilità dei crediti privilegiati, purché pagati in misura corrispondente al valore ricavabile in via di esecuzione forzata dai beni destinati per legge alla loro soddisfazione, è ormai comune in tutte le procedure concorsuali che consentano una soluzione di un'insolvenza qualsiasi, riguardi essa imprenditori commerciali grandi e piccoli, ovvero imprenditori agricoli di ogni tipo,mentre coloro che hanno a disposizione solo le procedure concorsuali negoziate previste dalla Legge 3/2012 devono pagare sempre e per intero i crediti privilegiati rappresentata dal credito IVA. Appare in effetti evidente come tale soluzione sia in contrasto con l'art. 3 Cost., che esige dalla legge uguaglianza di trattamento nei confronti di tutti i soggetti (persone fisiche, giuridiche, enti collettivi in generale) che si trovino nelle medesime condizioni. Tale trattamento pare attuare una discriminazione anche fra gli stessi imprenditori commerciali, laddove chi ha dimensioni limitate può accedere a procedure concordatarie previste dalla Legge 3/2012 per risolvere la propria insolvenza e falcidiare i crediti privilegiati incapienti, ma a costo di versare per intero l'IVA; gli altri invece possono prescindere da tale ultima imposizione, procedendo ad una falcidia generalizzata. La dimensione dell'impresa commerciale in tal caso non pare essere criterio discretivo sufficiente, anche perché essa è mutevole nel tempo ed un soggetto, nel corso della sua attività economica, potrebbe o meno essere soggetta alle disposizioni della legge fallimentare a seconda di mere contingenze.

Il Tribunale friulano ha quindi ritenuto che l'art. 7, comma 1, terzo periodo, Legge 3/2012 (limitatamente alle parole "all'imposta sul valore aggiunto") disciplina in modo irragionevolmente diverso situazioni simili, qualora dedotte in procedure concorsuali regolate dalle medesime cadenze di massima e dalle stesse finalità. Oltre alla violazione dell'art. 3 Cost., la sentenza del Tribunale di Udine solleva d’ufficio anche una eventuale contrasto del citato art. 7 con l'art. 97 Cost., secondo cui la legge deve organizzare i pubblici uffici in modo da assicurarne il buon andamento. Tale assunto deriverebbe da quanto stabilito dalla Corte di Giustizia UE nella famosa sentenza del 7 aprile 2016, nella quale è stato stabilito che "l'ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato d'insolvenza, nell'ambito di una procedura di concordato preventivo non contrasta con gli obblighi degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell'IVA sul territorio nonché con la necessità di assicurare la riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione perché la procedura di concordato preventivo prevista dalla normativa italiana consente allo Stato membro interessato di accertare se,a causa dello stato di insolvenza dell'imprenditore, non possa recuperare il proprio credito IVA in misura maggiore". Infatti la previsione criticata, quando rende necessariamente inammissibile la proposta di accordo che non preveda il pagamento integrale dell'Iva, priva la P.A. del potere di valutare autonomamente ed in concreto se la proposta è davvero in grado di soddisfare tale credito erariale in misura pari, o, addirittura superiore al ricavato ottenibile nell'alternativa liquidatoria, e dunque di determinarsi nel caso concreto al voto favorevole o contrario. Ciò non assicura il principio costituzionale del buon andamento, perché preclude in radice alla P.A. di condursi secondo criteri di economicità e di massimizzazione delle risorse nel caso concreto, anche quando in realtà ciò sarebbe possibile consentendo ad un pagamento del credito IVA parziale, ma in termini più rapidi ed in misura non inferiore alle alternative meramente liquidatorie.

In conclusione il Giudice del Tribunale friulano ha ritenuto di dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 comma 1, terzo periodo, Legge 3/2012, limitatamente alle parole "all'imposta sul valore aggiunto" e ha quindi rimesso alla Consulta affinché si pronunci sull’eventuale incostituzionalità del citato articolo.

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