Procedura Civile. Dichiarazione e accertamento dell'obbligo del terzo.



Avv. Liliana Rullo

1. Il dettato normativo.

Ai sensi dell’art. 547 c.p.c. il terzo può decidere di dichiarare spontaneamente se e quali crediti o cose appartenenti al debitore siano in suo possesso ( è detta dichiarazione di quantità) e quando avrebbe dovuto eseguire il pagamento o la consegna.

Ai sensi dell’art. 543 c.p.c. il terzo rilascia la dichiarazione di quantità con le seguenti modalità:

- se il pignoramento ha ad oggetto somme dovute a titolo di stipendio, salario o altre indennità derivanti da un rapporto di lavoro: all’udienza di comparizione, personalmente, o a mezzo di procuratore  speciale ovvero di difensore munito di procura speciale;

- se il pignoramento ha ad oggetto tutti gli altri tipi di crediti: mediante lettera raccomandata da inviare al creditore procedente nei 10 giorni successivi alla notificazione del pignoramento.

Il terzo può rilasciare una dichiarazione positiva, comunicando di possedere delle cose appartenenti al debitore o di dovergli delle somme di denaro sulle quali non grava alcun vincolo o restrizione. Tale dichiarazione ha l’effetto di accertare in modo definitivo l’esistenza dei beni o dei crediti, che in tal modo vengono destinati e vincolati all’espropriazione ( Cass. 17 novembre 2003 n. 17367).

Accertata l’esistenza e l’entità dei beni presso il terzo, si apre la fase destinata all’assegnazione o alla vendita degli stessi, finalizzata a soddisfare il credito spettante al creditore.

Se il terzo non compare all’udienza stabilita o compare ma si rifiuta di rendere la dichiarazione o, ancora, rilascia una dichiarazione in ordine alla quale sorgono contestazioni, può venire istruito un autonomo giudizio di cognizione volto all’accertamento dell’obbligo del terzo.

Il giudizio sull’accertamento dell’obbligo del terzo è un giudizio autonomo  che  si innesca in via incidentale in quello esecutivo; segue le regole proprie del processo ordinario di cognizione  e si conclude con una sentenza di accertamento.

Il giudizio di accertamento può essere richiesto sia creditore procedente che dal debitore esecutato che sono litisconsorzi necessari unitamente al terzo pignorato.

La competenza nel giudizio di accertamento spetta al giudice dell’esecuzione competente per il processo esecutivo.

Il giudizio di accertamento ha ad oggetto soltanto la verifica circa l’esistenza di un credito del debitore nei confronti del terzo o di un bene del debitore che sia in possesso del terzo; comporta la sospensione di diritto del processo esecutivo.

Alla parte che ha promosso il giudizio di accertamento spetta l’onere di provare il fatto costitutivo da cui scaturisce l’obbligo del terzo. Il terzo è a sua volta gravato dall’onere di provare di aver estinto la sua obbligazione prima del pignoramento, con la conseguenza  del venir meno della pretesa creditoria da parte del creditore pignorante  (Cass. 8 giugno 1994 n. 5547).

Qualora il terzo produca una quietanza volta a dimostrare l’estinzione del credito a favore del debitore, in difetto di data certa, spetta al giudice decidere l’ammissione dei mezzi di prova prodotti dal terzo per accertare la data.

Il giudizio viene definito con sentenza soggetta ai normali mezzi di impugnazione. Se il giudice ha accertato l’esistenza del diritto del debitore nei confronti del terzo, concede alle parti, con la sentenza un termine perentorio per la riassunzione della causa, da cui consegue la prosecuzione del processo esecutivo.

• Il perfezionamento del pignoramento si ottiene con l’eliminazione delle incertezze in ordine all’esistenza del bene nel patrimonio del debitore esecutato.

L’incertezza sull’esistenza del bene può essere risolta in due modi:

1. Con la dichiarazione positiva del terzo ex art. 547 c.p.c.

2. Con la sentenza che si ottiene successivamente all’instaurazione del giudizio incidentale di cognizione previsto dall’art. 548 c.p.c. per avere il terzo reso dichiarazione negativa o contestata o non averla resa affatto.

Giova precisare che la dichiarazione del terzo soddisfa una duplice funzione: quella di specificare l’oggetto del pignoramento in conformità alla destinazione fondamentale di questo vincolo, stabilendo in modo inequivocabile l’identità del bene, sul quale esso si imprime e quella di acquisire, nel medesimo tempo, tramite il riconoscimento del terzo un sintomo di appartenenza del bene al debitore, che sia idoneo a vincere il sintomo contrario, fornito dalla situazione di disponibilità del terzo.

L’allegazione del rapporto debitore – terzo adempie alla finalità di specificazione  e presta quest’indizio di appartenenza che, nella previsione del legislatore, equivale, in questo tipo di espropriazione alla disponibilità del bene per il debitore, che giustifica l’apprensione esecutiva diretta.

La dichiarazione del terzo viene vista come facoltà del terzo stesso di rinunciare al diritto di pretendere che la sua qualità di debitor debitoris sia accertata in un ordinario giudizio di cognizione (tale rinuncia si attua rendendo una dichiarazione positiva).

Giurisprudenza dominante ha affermato l’esclusione di un obbligo di dichiarazione del terzo: a seguito del pignoramento di somme di denaro dovute da un terzo al debitore, il terzo citato per rendere la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. “non diviene parte in giudizio, né assume l’obbligo, giuridicamente sanzionato, di rendere la menzionata dichiarazione, derivando dalla sua mancata comparizione all’udienza pretoriale, dal rifiuto di fare la dichiarazione o dalle constatazioni che insorgono in ordine a quest’ultima; l’unica conseguenza che egli potrà subire è un eventuale giudizio volto all’accertamento del credito ai sensi dell’art. 548 c.p.c.

L’art. 547, 1° comma c.p.c. ci dice chiaramente che la dichiarazione deve essere resa all’udienza.

Si tratta di verificare se sia comunque efficace una dichiarazione resa in altro luogo.

A tale riguardo vi è una sentenza della S. C. che ci indica la via da seguire nel rispondere al quesito che si siamo posti:

La dichiarazione del terzo pignorato deve essere fatta all’udienza tenuta dal pretore in veste di giudice dell’esecuzione, davanti al quale il terzo è citato a comparire, e nel contraddittorio del creditore istante e del debitore. E’ nulla, quindi la dichiarazione del terzo fatta al cancelliere fuori dall’udienza, e tale nullità non è suscettibile della sanatoria prevista dal comma 3 dell’art. 156 c.p.c.”

Parte della giurisprudenza qualifica come evidente la nullità della dichiarazione ricevuta dal cancelliere fuori dall’udienza, la quale mancherebbe, tra l’altro, del requisito spaziale esplicitamente richiesto dalla legge.

Si è più volte fatto notare che una dichiarazione resa in cancelleria non avrebbe valore confessorio, né potrebbe consentire l’immediata assegnazione: essa invaliderebbe anche l’eventuale giudizio successivo e il giudice potrebbe rilevarne d’ufficio il difetto; per i più è da escludere  anche l’ipotesi di dichiarazione resa da un notaio.

L’art. 547 c.p.c. ci dice anche che la dichiarazione può essere resa dal terzo sia personalmente che a mezzo di mandatario speciale: la dichiarazione deve essere emessa in prima persona e sottoscritta; la sottoscrizione la rende valida anche se il contenuto sia verbalizzato in terza persona.

2. La dichiarazione negativa.

La dichiarazione negativa rappresenta una di quelle ipotesi che possono dar luogo al successivo giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo. Infatti se la dichiarazione manca o è negativa o si di essa sorgono contestazioni, su istanza di parte si instaura il giudizio di cognizione di cui all’art. 548 c.p.c.

E’ attraverso il giudizio di cognizione, che si specificheranno le cose e le somme dovute dal terzo e si accerterà l’esistenza del diritto nel patrimonio dell’esecutato, con forza di giudicato.

Le contestazioni che possono essere sollevate sulla dichiarazione resa dal terzo possono essere formali o di merito: solo quelle di merito possono portare al giudizio ex art. 548 c.p.c.

Per quanto riguarda invece le contestazioni formali si è invece in presenza di contestazioni che rientrano nella opposizione agli atti esecutivi.

Si tenga anche in considerazione che se il terzo non rende la sua dichiarazione o ne rende una del tutto negativa (per esempio del tipo: non detengo alcunché, il debito non esiste oppure il debito è estinto) e i creditori non insorgono, il procedimento esecutivo si estingue, poiché si viene così a rivelare che il pignoramento è stato promosso perperam.

Si considerino ora alcuni esempi che ci offre la giurisprudenza.

Secondo la S. C., nell’ipotesi di pignoramento o di sequestro presso il terzo, il contenuto della dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c. va valutato con riferimento al momento in cui essa è resa e, pertanto, deve essere qualificata come negativa la dichiarazione con la quale il terzo assuma che il suo debito verso l’esecutato o il sequestrato, esistente al momento del pignoramento o del sequestro, sia venuto meno successivamente.  

Nella medesima circostanza la S. C. afferma anche che è ricorribile in cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., dato il suo carattere decisorio e definitivo, l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che abbia revocato una precedente ordinanza di assegnazione del credito, emanata in presenza di una dichiarazione negativa del terzo. Inoltre è revocabile dal giudice dell’esecuzione, su istanza di parte del terzo pignorato, in ogni tempo ed anche se sia stata eseguita, l’ordinanza di assegnazione del credito, emanata nonostante la dichiarazione negativa del terzo (nella motivazione si precisa che il terzo non ha l’onere di proporre né l’appello, né l’opposizione agli atti esecutivi).

3. La responsabilità del terzo in caso di dichiarazione falsa, reticente, elusiva.

La S. C. ha affermato che il caso in cui il terzo renda una dichiarazione altamente reticente od elusiva, che allontani nel tempo la realizzazione del credito fatta valere nel procedimento esecutivo, costituisce un comportamento antigiuridico che impone al terzo stesso l’obbligo di risarcire eventuali danni in favore del creditore esecutante.

Ciò è ribadito in modo più ampio da un’altra sentenza della S. C. per cui nell’ambito dell’espropriazione presso terzi, il terzo che attraverso una dichiarazione altamente elusiva e fuorviante allontani nel tempo la definizione del processo esecutivo, può essere chiamato a risarcire i danni prodotti a carico del creditore esecutante qualora venga dimostrata la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2043 c.c.

All’autore della dichiarazione mendace o fuorviante non può essere invece addebitata la responsabilità aggravata prevista dall’art. 96 c.p.c., dal momento che questa norma non è volta a regolare le conseguenze dell’illecito perpetrato da un collaboratore o ausiliario del giudice, quale è il terzo al momento della dichiarazione di cui all’art. 547 c.p.c.

Un’altra questione è: il terzo ha l’obbligo di dire la verità?

Se si accogliesse l’ipotesi della dichiarazione intesa come testimonianza, allora si dovrebbe rispondere affermativamente.

Ma poiché, come si è visto, non sembra sia percorribile una simile strada, è opportuno concludere che il terzo, deponendo anche su fatto proprio, non è disinteressato testimone e, di conseguenza, non è tenuto al vero, così che la sua dichiarazione potrà essere contestata senza che da ciò ne possano conseguire effetti di carattere penale.

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