Coltivazione di stupefacenti: quando la condotta non integra reato?

Esclusa la responsabilità se l'attività di coltivazione riguarda minime dimensioni e viene svolta in forma domestica.



Quando la coltivazione di stupefacenti configura reato?

Il reato di coltivazione di stupefacenti si configura indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell'immediatezza, bastando la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente.

Occorre però valutare una serie di fattori che possono qualificare come non punibile la condotta dell'agente.

In primis se l'attività è svolta in forma domestica, ciò può essere verificato laddove vengano utilizzate tecniche rudimentali e non propriamente tipiche dei coltivatori "professionali".

In secondo luogo altro elemento è senz'altro lo scarso numero di piante coltivate, da cui ricavare un modesto quantitativo di prodotto.

Nel caso posto all'esame della Suprema Corte era stato provato in sede di merito che la condotta dell'imputato era consistita nella coltivazione domestica destinata all'uso personale ed aveva ad oggetto due sole piante di cannabis con produzione di 47 dosi droganti, un quantitativo ritenuto modesto. 

Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell'immediatezza, bastando la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente.

Tuttavia, non integra il reato, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all'uso personale, perché svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modesto quantitativo di prodotto.

Cass. pen., sez. VI, n. 5626 del 12 gennaio 2021

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