Danno morale...come lo quantifico "equitativamente"?

Ai fini della quantificazione equitativa del danno morale può essere utilizzato il metodo del rapporto percentuale rispetto alla quantificazione del danno biologico?



Il lungo dibattito sul danno morale e sul danno non patrimoniale, anche alla luce degli arresti giurisprudenziali delle c.d. sentenze Gemelle non si è mai sopito e recentemente si è spostato l'asse del dibattito sulla quantificazione del danno morale.

La storia evolutiva del danno non patrimoniale. 

Se prima del 2003 il danno morale era perfettamente sovrapponibile al danno non patrimoniale, dopo il 2003 nel danno non patrimoniale, e quindi nell'alveo applicativo dell'art. 2059 c.c. sono stati ricompresi anche i danni conseguenti alla violazione di diritti fondamentali.

Dopo il 2003 e fino al 2008 vi è stata una "proliferazione" di danni non patrimoniali, proprio in applicazione della importante interpretazione giurisprudenziale del 2003: venivano così richiesti e risarciti danni quali il danno esistenziale, il danno da perdita di relazione affettiva, il danno da spam, il danno alla vita da relazione.

L'esplodere di danni non patrimoniali ha portato anche ad un moltiplicarsi ed anzi ad un "radooppiarsi" delle poste di danno, anche all'interno di un'unica domanda: infatti il confine tra le varie tiopologie di danno non patrimoniale era molto labile in quanto tra gli stessi si era venuta a creare una specie di "osmosi".

Alla luce di tale incontrollata proliferazione giurisprudenziale sono state chiamate a pronunciarsi le Sezioni Unite che con le sentenze nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008 hanno chiarito che "non deve essere consentito al giudice di moltiplicare le tipologie di danni risarcibili" ritenendo così di doversi procedere ad una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale che è uno solo. 

Così la giurisprudenza si è lentamente allineata verso tale dicotomia:

danno biologico - danno morale.

Tale interpretazione ermeneutica ben viene esplicata nella chiara sentenza della Corte di Cassazione del 9 giugno 2015 n. 11815:

Ogni vuluns arrecato ad un interesse tutelato dalla Carta Costituzionale si caratterizza per la doppia dimensione del danno relazione/proiezione esterna all'essere e del danno morale/interiorizzazione intimista della sofferenza. 

La prova del danno non  patrimoniale. 

Per quanto concerne la prova del danno non patrimoniale ricordiamo a noi stessi che chi vuol far valere un danno in giudizio deve provare i fatti che ne costitutiscono il fondamento: è quindi l'attore, (salvi alcuni casi peculiari), a dover provare i fatti costitutivi del diritto azionato.

Anche sulla prova del danno non patrimoniale si è da sempre accesso e mai sopito un ampio dibattito giurisprudenziale sfociato nelle Sezioni Unite del 24 marzo 2006 n. 6572 

Altra interessante pronuncia ha chiarito la liquidazione del danno non patrimoniale evidenziando che "così come non è consentito liquidare due volte il medesimo danno non patrimoniale, sol chiamandolo con nomi diversi, allo stesso modo non è consentito negare il risarcimento di due danni diversi, solo perchè si chiami con nomi identici". 

Per quanto concerne invece la quantificazione equitativa del danno morale la recente sentenza della Cassazione n. 3260 del 19 febbraio 2016 ha chiarito che:

Ai fini della quantificazione equitativa del danno morale, l'utilizzo del metodo del rapporto percentuale rispetto alla quantificazione del danno biologico individuato nelle tabelle in uso, prima della sentenza delle Sezioni Unite n. 26972 del 2008, secondo cui il danno morale soggettivo non può configurarsi come conseguenza immediata e diretta della durata e dell'intensità della lesione psicofisica, con la conseguenza che, se non scompare del tutto, postula una dimostrazione e motivazione specifica, non implica che, accertato il primo (danno biologico), il secondo non abbia bisogno di alcun accertamento, perché se così fosse si duplicherebbe il risarcimento degli stessi pregiudizi.

Viceversa, il metodo suddetto va utilizzato solo come parametro equitativo, fermo restando l'accertamento con metodo presuntivo, attenendo la sofferenza morale ad un bene immateriale, dell'esistenza del pregiudizio subito, mediante l'individuazione delle ripercussioni negative sul valore uomo sulla base della necessaria allegazione del tipo di pregiudizio e dei fatti da cui lo stesso emerge da parte di chi ne chiede il ristoro. (Cass. 19 febbraio 2016 n. 3260)

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