DIRITTO CIVILE. Impugnazione delibere assembleari: ricorso o citazione? Cass. Sez.Un. n. 21220 del 14 ottobre 2010 - ordinanza -



Nota di: NUNZIA LIBERATOSCIOLI - AVVOCATO del FORO di CHIETI -

Intervenendo su un’annosa questione, la Corte di Cassazione, mediante l’ordinanza del 14 ottobre 2010, n. 21220, chiede al Primo Presidente di assegnare la controversia alle Sezioni Unite, al fine di dirimere il contrasto giurisprudenziale sul mezzo tecnico attraverso il quale proporre l’impugnazione contro le deliberazioni dell’assemblea condominiale: ricorso o atto di citazione?

Premesso che tutti i condomini sono obbligati a rispettare le deliberazioni adottate dall’assemblea condominiale, secondo le modalità positivamente indicate, l’art. 1137, commi II e III, Cod. Civ. consente espressamente la facoltà di impugnare “le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio”: in particolare, tale facoltà viene attribuita a ciascun condomino “dissenziente”, il quale “può fare ricorso all’autorità giudiziaria”, a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni, che, per i meri dissenzienti, decorre dalla data della deliberazione, mentre, per gli assenti, decorre dalla data di comunicazione della decisione.
In assenza di un procedimento ad hoc per impugnare le deliberazioni assembleari, proprio il termine “ricorso” impiegato nella citata disposizione ha fatto sorgere non pochi dubbi interpretativi, consentendo la formazione di contrapposti orientamenti: secondo la giurisprudenza di legittimità, l’espressione in esame dovrebbe essere intesa in senso tecnico e non come mero sinonimo di istanza giudiziale; al contrario, secondo la tesi maggioritaria, il termine “ricorso” sarebbe da considerare in senso a-tecnico, poiché indicherebbe la mera possibilità del condomino di rivolgersi all’autorità giudiziaria, ma senza derogare alle forme dell’ordinario giudizio di cognizione, consentendo così al soggetto dissenziente di scegliere il mezzo più opportuno.
Ma la scelta dell’uno o dell’altro mezzo di impugnazione non è certo priva di conseguenze pratiche: è chiaro che se la deliberazione viene impugnata con atto di citazione, la questione potrà essere presa in esame dal giudice sicuramente dopo il termine di novanta giorni concesso al convenuto per comparire in giudizio (ex art. 163 bis, c.p.c.); invece, impugnando la deliberazione con ricorso potrebbe essere soddisfatto quel carattere di urgenza insito nella disposizione sopra menzionata, consentendo una sollecita definizione della controversia, in modo da evitare di intralciare o paralizzare la gestione dell’intero condominio.
Ed allora, nel dubbio, non ci resta che attendere la decisione delle Sezioni Unite!
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Con atto di citazione notificato il 12 marzo 1998, (…) e (…) convennero in giudizio innanzi al TribunaJe di Bergamo il Condominio (…), per sentir dichiarare la nullità della deliberazione assembleare in data 12 febbraio 1998, che aveva deciso la ripartizione delle spese di copertura di autorimesse interrate, ponendole a carico dei soli proprietari delle autorimesse interessate dai lavori e non di tutti i condomini.Con la sentenza n. 1658 del 2000, il Tribunale adito ritenne inammissibile la impugnazione perché proposta tardivamente, e cioè con atto di citazione depositato il 20 marzo 1998, e comunque perché erroneamente diretta contro la delibera assembleare del 12 febbraio 1998, che aveva solo deciso sulla ipotesi di revoca della deliberazione in data 14 gennaio 1998, che aveva approvato il criterio di ripartizione di quelle spese.Con altro atto di citazione, notificato il giorno 11 settembre 1998, il (…) e la (…) proposero opposizione al decreto ingiuntivo del Tribunale di Bergamo con il quale era stato loro ingiunto il pagamento, in favore del predetto condominio, della somma di lire 9.394.180 per spese di copertura di autorimesse interrate, eccependo la carenza di legittimazione attiva del condominio, l’incompetenza per valore del giudice adito e l’illegittimità della pretesa creditoria. Il condominio, costituitosi, chiese il rigetto delle eccezioni avversarie ed osservò che la delibera condominiale che aveva ripartito le spese non era stata impugnata nei termini.Con la sentenza n. 1450 del 2000, il Tribunale respinse la opposizione. Le due sentenze furono impugnate dal (…) e dalla (…).Riunite le due cause, fu respinto il gravame nei confronti delle due sentenze.

Per quanto ancora rileva nella presente sede, la Corte giudicò infondata la censura relativa alla ritenuta tardività della contestazione della delibera. Gli appellanti assumevano la tempestività della impugnazione della delibera condominiale in quanto ritualmente proposta con atto di citazione notificato il 12 marzo 1998, contrariamente alla pronuncia di primo grado secondo la quale per la tempestività della impugnazione varrebbe la data di deposito in cancelleria dell’impugnazione e non quella della notifica alla controparte. La Corte richiamò al riguardo il principio giurisprudenziale secondo il quale l’impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea dei condomini si propone con ricorso, alla stregua della formulazione adottata dall’art. 1127 cod. civ., e osservò che la instaurazione del giudizio di appello coincide con la data del deposito nella cancelleria del giudice adito e non con la data della notificazione alla controparte, in ossequio alla finalità di rendere più agevole per la parte la impugnazione senza farne derivare l’operatività dall’attività di terzi, quali l’ufficiale giudiziario o il giudice adito.

Nel caso di specie, essendo stata la citazione introduttiva depositata in cancelleria il 30 marzo 1998, il termine di impugnazione di trenta giorni previsto a pena di decadenza - concluse la Corte d’appello di Brescia - era inutilmente decorso. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso il (…) e la (…), sulla base di due motivi. Ha resistito con controricorso il Condominio Paola, che ha anche depositato memoria illustrativa.

Primo orientamento: Cass. nn. 6205/1997, 2081/1988, 1716/1975. Secondo orientamento: Cass. nn. 8440/2006, 14560/2004, 1662/1938.  
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Cassazione civile – Sez. II – Ordinanza 14 ottobre 2010, n. 21220

Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la insufficiente e contraddittoria motivazione con riguardo al convincimento espresso dalla Corte di merito sulla tardività della impugnazione della delibera condominiale proposta dai coniugi (…)-(…). Il giudice di secondo grado ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la impugnazione di cui si tratta si propone con la forma del ricorso, e la instaurazione del giudizio coincide con la data del deposito nella cancelleria del giudice adito e non con la data della notificazione alla controparte. Tuttavia - osservano i ricorrenti - la stessa giurisprudenza richiamata nella sentenza impugnata precisa che detta impugnazione può essere proposta anche con atto di citazione purché questo venga notificato al condominio entro i trenta giorni dall’adozione o comunicazione della delibera, poiché, in tale ipotesi, l’amministratore viene a conoscenza della impugnazione nel termine previsto dall’art. 1137 cod. civ. e, nel caso in cui sia stato fissato un termine di comparizione eccessivo, può richiederne l’abbreviazione ai sensi dell’art. 163-bis cod. proc. civ. Nella specie, essendo stata adottata la forma della citazione, contraddittoriamente la Corte territoriale sarebbe pervenuta alla statuizione di tardività della impugnativa.

2. - Alla stregua di analoghe argomentazioni i ricorrenti censurano la sentenza per la erronea applicazione dell’art. 1137 cod. civ. in relazione agli artt. 99 e 163 cod. proc. civ., fondata su quell’indirizzo giurisprudenziale già richiamato nel corso della illustrazione della prima censura.
3.1. - Le doglianze pongono all’esame della Corte le questioni della individuazione del mezzo tecnico di impugnazione delle delibere condominiali, e della data da considerare quale dies a quo ai fini del computo del rispetto del termine per la impugnazione.
3.2. - L’art. 1137, secondo comma, cod. civ. stabilisce che contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino dissenziente può fare “ricorso” all’autorità giudiziaria, precisando che il ricorso non sospende l’esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità stessa. Il comma successivo dispone che il ricorso sia proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti.
Secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, la espressione “ricorso” che figura ripetutamente nel testo richiamato art. 1137 cod. civ., non può ritenersi adoperata in senso atecnico, quale mero sinonimo di istanza giudiziale (v. Cass., sentenze 9 luglio 1997, n. 6205; 27 febbraio 1988, n. 2081; 5 maggio 1975, n. 1716). Tale indirizzo si fonda sul rilievo della diversa formulazione della norma richiamata rispetto alle altre disposizioni codicistiche che, in ipotesi analoghe, in materia di consorzi e società (artt. 2606, 2377), come in materia di comunione in generale (artt. 1107, 1109), non richiedono espressamente il rimedio del ricorso come mezzo di impugnativa delle deliberazioni degli organi collegiali.
La ragione della scelta del predetto mezzo risiederebbe nel carattere di urgenza che generalmente riveste la impugnazione delle delibere condominiali, sottoposta al breve termine di trenta giorni, allo scopo di risolvere celermente le questioni che possano intralciare o paralizzare la gestione del condominio. L’adozione della forma del ricorso consentirebbe al giudice di fissare un termine breve per la comparizione della controparte e per la eventuale sospensione della delibera.
3.3. - Nell’ambito di tale orientamento, è insorto, peraltro, contrasto in ordine all’attività che il condomino ricorrente deve svolgere prima della scadenza del termine di trenta giorni. Secondo un primo indirizzo, sarebbe sufficiente il deposito del ricorso presso il giudice competente: lo stesso ricorso andrebbe poi notificato alla controparte unitamente al provvedimento di fissazione della udienza di comparizione, entro il termine che sarà stabilito dal giudice (v. Cass., sent. n. 1716 del 1975, cit.).
In senso contrario, si è invocato il principio, sostenuto anche in dottrina, secondo il quale nei casi in cui l’atto introduttivo di un giudizio contenzioso è costituito dal ricorso, per la instaurazione del rapporto processuale è sufficiente il deposito di tale atto nella cancelleria (v. Cass., sent. n. 2081 del 1988, cit.). In tale prospettiva, si è osservato che, ricollegando la instaurazione del rapporto processuale alla notifica del ricorso, l’inammissibilità della impugnazione prescinderebbe dall’attività del ricorrente e dipenderebbe dalla tempestiva emanazione del provvedimento giudiziale di fissazione dell’udienza di comparizione e di assegnazione del termine per la notificazione del relativo decreto alla controparte, in quanto, nel caso di ritardata pronuncia del provvedimento, sarebbe difficile, se non impossibile, per il ricorrente effettuare la notifica nel termine di trenta giorni. E nell’ipotesi, poi, di deposito del ricorso in cancelleria nell’ultimo giorno previsto dalla legge, la inammissibilità dello stesso costituirebbe la regola, essendo improbabile che la notificazione possa essere eseguita entro il termine di decadenza, salvo che la emanazione del provvedimento da parte del giudice sia immediata e ad essa segua la notifica ad horas del ricorso e del decreto.
3.4. - In senso contrario alla tesi secondo la quale il termine “ricorso” sarebbe stato utilizzato, nell’art. 1137 cod. civ., nel suo significato tecnico, si potrebbe osservare che le norme con le quali il legislatore ha inteso stabilire una deroga al principio generale previsto dall’art. 163 cod. proc. civ. - secondo il quale la domanda si propone con citazione - sono formulate in modo differente (v. artt. 703, 706, 712 cod. proc. civ.), precisandosi in esse espressamente che la “domanda” viene proposta con ricorso e indicandosi il giudice competente. In tali procedimenti, poi, il giudice competente o il presidente del tribunale, ove non ritenga di emettere provvedimenti immediati, fissa il termine per la comparizione delle parti davanti a sé (artt. 690, 706 cod. proc. civ.) o davanti al giudice istruttore (art. 713 cod. proc. civ.) e per la notifica del ricorso e del relativo decreto; mentre di una tale attività non vi è menzione nell’art. 1137 cod. civ.
È, poi, incontestabile che l’atto introduttivo della impugnazione delle delibere in tema di comunione è la citazione, e un diverso regime in ordine alla impugnativa delle delibere delle assemblee condominiali non potrebbe fondarsi sulla osservazione che per le delibere in materia di comunione non sussisterebbe l’esigenza di risolvere sollecitamente le questioni concernenti la gestione del condominio.
In dottrina, si è altresì osservato che, interpretata letteralmente, la precisazione del legislatore che il ricorso non sospende l’esecuzione è praticamente priva di senso, in quanto un atto depositato nella cancelleria del giudice, e del quale il destinatario ignora l’esistenza, non potrebbe da solo provocare la sospensione della esecutorietà della deliberazione, mentre la espressione di cui si tratta può avere un significato allorché si interpreti il termine “ricorso” nel senso più generico di proposizione dell’impugnazione, mediante la rituale notifica della citazione.
3.5. - Le argomentazioni svolte indurrebbero a ritenere che, con l’adozione del termine “ricorso” nell’art. 1137 cod. civ., il legislatore non abbia inteso prescrivere il mezzo tecnico attraverso il quale deve essere proposta la impugnazione contro le delibere invalide, ma abbia semplicemente voluto garantire la possibilità del condomino di rivolgersi all’autorità giudiziaria, senza derogare alle forme del giudizio ordinario di cognizione, ricalcando la formulazione dell’art. 26, primo comma, del r.d.l. 15 gennaio 1934, n. 56.
Del resto, secondo alcune pronunce di questa Corte, l’impugnazione delle delibere assembleari può essere proposta anche con atto di citazione, purché lo stesso venga notificato al condominio nel termine indicato dall’art. 1137 cod. civ., con la precisazione che, in tale ultima ipotesi, ai fini del rispetto del termine di cui alla citata disposizione codicistica, occorre tener conto della data di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, anziché di quella del successivo deposito in cancelleria, che avviene al momento della iscrizione a ruolo della causa (v. Cass., sentenze 11 aprile 2006, n. 8440, 30 luglio 2004, n. 14560, 16 febbraio 1938, n. 1662), restando in potere dell’amministratore del condominio, in tal caso, chiedere l’abbreviazione del termine a comparire di cui all’art. 163 cod. proc. civ., nel caso in cui sia stato fissato un termine eccessivo.
In senso contrario, si è osservato in dottrina che, se è vero che non vi sono motivi ostativi alla sanatoria ex art. 156, terzo comma, cod. proc. civ. nell’ipotesi di proposizione del giudizio mediante citazione ove sia previsto il ricorso, è altrettanto vero che la convalida dell’atto nullo può ritenersi operante solo nel momento in cui questo produca la medesima situazione processuale propria dell’atto valido cui viene equiparato, e cioè, nella specie, con il deposito della citazione in cancelleria, che determina l’effetto proprio del ricorso. Ne conseguirebbe la illogicità dell’attribuzione alla notificazione della citazione di quella efficacia che la disposizione dell’art. 1137 cod. civ. riconnette esclusivamente all’esperimento dell’azione giudiziaria, in quanto, di per sé, la notificazione non è idonea a determinare la pendenza del giudizio in quelle ipotesi in cui il procedimento debba avere inizio necessariamente con il deposito del ricorso, in armonia con quanto questa Corte ha affermato con riferimento alla ipotesi in cui l’opposizione a decreto ingiuntivo pronunciato in controversie di lavoro sia stata introdotta con citazione anziché con ricorso.
4. - In considerazione dei contrastanti orientamenti espressi da questa Corte sul tema, ed avuto comunque riguardo alla particolare importanza delle questioni di massima sollevate, si ravvisa la opportunità della rimessione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
La Corte rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

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