DIRITTO del LAVORO. Sul diritto alle ferie: libertą , buona fede e correttezza. Cass. sez. lav. n. 1699 del 25 gennaio 2011.



La Corte di Cassazione viene chiamata a pronunciarsi sull’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato al lavoratore subordinato, per essersi recato, in più occasioni, all’estero, dove aveva contratto una malattia tropicale che lo aveva costretto a prolungare l’assenza dal posto di lavoro. In particolare, il datore di lavoro aveva contestato al lavoratore la concessione di un periodo di ferie che, anziché essere fruito per assistere la madre malata, come esplicitamente indicato nella richiesta, era stato impiegato, appunto, per recarsi in Madagascar, come attestato dal certificato medico fatto pervenire dallo stesso proprio dall’isola africana, prima della fine delle ferie.

Per di più, il datore di lavoro aveva contestato al lavoratore di essersi recato di nuovo presso la citata meta esotica, nonostante le malattie contratte in loco e le conseguenze negative che la sua permanenza in tale località avrebbero provocato sulla sua salute, e, di riflesso, sullo svolgimento dell’attività lavorativa.

Giunta la questione dinanzi ai Giudici di Piazza Cavour, il lavoratore lamentava, tra le altre cose, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2110, c.c. («Infortunio, malattia, gravidanza, puerperio»), affermando che tale norma tutela la malattia in sé, a prescindere da un comportamento imprudente del lavoratore, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 36, Cost. e 2109, c.c. («Periodo di riposo»), poiché, sempre a detta del lavoratore, il giudice di prime cure avrebbe sindacato la libertà di disporre del periodo di ferie secondo le singole necessità.
La Cassazione ha reputato del tutto infondate le motivazioni appena enunciate.
Posto che è assolutamente indiscusso il diritto di ciascun lavoratore subordinato di godere liberamente del periodo di ferie, la questione viene incentrata sull’obbligo generale di tenere una condotta rispettosa dell’interesse datoriale, al fine di evitare una lesione della effettiva e corretta esecuzione della prestazione lavorativa.
Difatti, anche «la mancata prestazione lavorativa in conseguenza dello stato di malattia del dipendente intanto trova tutela nelle disposizione contrattuali e codicistiche in quanto non sia imputabile alla condotta volontaria del lavoratore medesimo». Più precisamente, l’art. 2110, c.c., invocato anche dal ricorrente, rappresenta una deroga ai principi generali in materia contrattuale ed appresta una piena tutela al lavoratore, garantendogli anche durante il periodo di malattia la retribuzione o l’indennità per il tempo stabilito dalla legge e riversando sul datore di lavoro il rischio della temporanea impossibilità lavorativa (Cfr. Cass., Sez. Lav., 24 aprile 2008, n. 10706; Cass., Sez. Lav., 1 luglio 2005, n. 14046; Cass., Sez. Lav., 19 dicembre 2000, n. 15916), tuttavia, la medesima disposizione «deve essere armonizzata con i principi di correttezza e buona fede posti dagli artt. 1175 e 1375, c.c. che devono presiedere all’esecuzione del contratto, i quali assumono rilevanza non solo sotto il profilo del comportamento dovuto in relazione a specifici obblighi di prestazione ma anche sotto il profilo delle modalità di generico comportamento delle parti al fine della concreta realizzazione delle rispettive posizioni di diritti e obblighi (Cass., Sez. Lav., 13 maggio 2004, n. 9141, nonché Cass., Sez. III, 16 ottobre 2002, n. 14726)».
Parimenti, «se pure è vero che il lavoratore è pienamente libero nel decidere come e dove utilizzare il periodo delle ferie, è altrettanto vero che (anche) siffatta libertà deve essere coniugata, alla strega dei suddetti principi di correttezza e buona fede posti dagli artt.1175 e 1375, c.c. che impongono alle parti del rapporto sinallagmatico di tenere comunque un comportamento che non pregiudichi la realizzazione delle rispettive posizioni di diritti ed obblighi, con l’esigenza che le scelte dallo stesso operate in materia non siano lesive dell’interesse del datore di lavoro a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa dedotta in contratto». Insomma, continua la Corte, «la finalità specifica delle ferie di consentire al lavoratore di appagare le sue personali esigenze e di ritemprare le proprie energie non può essere soddisfatta in modo tale da compromettere, invece, il recupero delle normali energie psico-fisiche e pregiudicare l’aspettativa del datore di lavoro al corretto adempimento della prestazione lavorativa al termine del periodo feriale»
 
1. La libertà del lavoratore nel decidere come e dove utilizzare il periodo delle ferie deve essere coniugata alla stregua dei principi di correttezza e buona fede posti dagli artt.1175 e 1375, c.c. che impongono alle parti del rapporto sinallagmatico di tenere comunque un comportamento che non pregiudichi la realizzazione delle rispettive posizioni di diritti ed obblighi, con l’esigenza che le scelte dallo stesso operate in materia non siano lesive dell’interesse del datore di lavoro a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa dedotta in contratto.
2. La finalità specifica delle ferie di consentire al lavoratore di appagare le sue personali esigenze e di ritemprare le proprie energie non può essere soddisfatta in modo tale da compromettere, invece, il recupero delle normali energie psico-fisiche e pregiudicare l’aspettativa del datore di lavoro al corretto adempimento della prestazione lavorativa al termine del periodo feriale.
 
Cass. Civ., Sez. IV Lavoro, Sent. 25 gennaio 2011, n. 1699

Fai una domanda