Società di fatto e fallimento in estensione ai soci illimitatamente responsabili.

In presenza di una società di persone irregolare insolvente, della quale uno o più soci illimitatamente responsabili siano costituiti da s.r.l., il fallimento in estensione di queste ultime è una conseguenza prevista "ex lege" dall'art. 147 l. fall.



La Corte si è pronunciata, sulla scia di un'altra sentenza sempre del 2016, sulla configurazione fallimentare della responsabilità come risposta all'abuso dello schermo societario.

Ha sancito l'estensione del fallimento come conseguenza prevista dall'aert. 147 legge fallimentare concludendo però nel merito che  occorrerà sempre l'accertamento che la società in questione presentasse un'affectio societatis con la persona fisica e che la società di fatto riconosciuta esprimesse una sua autonoma e affatto propria insolvenza, alla cui verifica poter giungere anche eventualmente muovendo - quale fatto indiziante - da quella di uno o più dei suoi soci, ovvero del socio cui era inizialmente imputabile la attività economica, ma senza alcuna automatica traslazione ovvero dogmatico esaurimento in esse della prova richiesta, come per tutti gli insolventi fallibili, dalla L. Fall., art. 5. 

Ne è così scaturito il principio di diritto secondo il quale in presenza di una società di persone irregolare insolvente, della quale uno o più soci illimitatamente responsabili siano costituiti da s.r.l., il fallimento in estensione di queste ultime è una conseguenza prevista "ex lege" dall'art. 147 l. fall., senza che sia necessario accertarne la specifica situazione di insolvenza, e ciò anche nel caso in cui la partecipazione alla società di fatto sia stata assunta in assenza di previa deliberazione da parte dell'assemblea, dal momento che la disposizione di cui al comma 2 dell'art. 2361 c.c. è dettata in via esclusiva per le s.p.a. 

IL CASO

Il Fallimento, in persona del curatore, impugnava la sentenza della Corte di Appello con cui, in riforma della sentenza Trib. Firenze 17.11.2014 e così in accoglimento del reclamo, revocava il fallimento reso dal predetto tribunale verso la società di fatto già ritenuta esistente tra la società, già dichiarata fallita e Tizio, oltre che di quest'ultimo personalmente e della società a responsabilità limitata, quali soci illimitatamente responsabili.

Ritenne la corte d'appello che in nessuna sua parte la L. Fall., art. 147, potrebbe giustificare l'estensione del fallimento, già dichiarato in capo ad una società a responsabilità limitata, altresì ad un terzo, da qualificare socio esterno illimitatamente responsabile con essa, in un sodalizio di fatto così preposto alla titolarità di una comune "impresa irregolare".

Le uniche ipotesi di estensione, verso il socio occulto ma da una società di persone ovvero verso la società di fatto ma muovendo dal fallimento individuale, non si attagliavano alla fattispecie.

In via sistematica, il coinvolgimento personale dei soggetti operanti abusivamente sotto lo schermo sociale potrebbe invero avvenire solo in virtù di specifici canoni di responsabilità, dovendosi all'opposto ribadire il principio della responsabilità limitata nella società di capitali, l'inestensibilità ad essa di un fallimento diretto come socia di una società di fatto con un terzo e dunque, conclusivamente, la tutela per la massa dei creditori costituita dal capitale sociale e dalla responsabilità personale dei suoi organi, palesi o occulti.

  • La decisione della Corte di Cassazione. 

Già recentemente con la sentenza n. 1095/2016 la Corte ha dato risposta positiva all'interrogativo sulla fallibilità di una società di capitali, nella specie società a responsabilità limitata, che si accerti essere socia di una società di fatto insolvente, allorchè la partecipazione sia stata assunta in mancanza della previa deliberazione assembleare e della successiva indicazione nella nota integrativa al bilancio, richieste dall'art. 2361 c.c., comma 2 (Cass. 1095/2016), atti dettati a tutela dei soci e, rispettivamente, dei creditori sociali.

E stato deciso che proprio la partecipazione di una società a responsabilità limitata in una società di persone, anche di fatto, non esige il necessario rispetto dell'art. 2361 c.c., comma 2, dettato per le società per azioni, e costituisce un atto gestorio proprio dell'organo amministrativo, il quale non richiede - almeno allorchè l'assunzione della partecipazione non comporti un significativo mutamento dell'oggetto sociale - la previa decisione autorizzativa dei soci, ai sensi dell'art. 2479 c.c., comma 2, n. 5.

Con esclusivo riferimento alle s.r.l., si è anche aggiunto che l'art. 111 duodecies disp. att. c.c. - che detta prescrizioni in tema di bilancio delle società in nome collettivo e in accomandita per azioni i cui soci illimitatamente responsabili siano unicamente società di capitali - si limita ad annoverare le s.r.l. fra le società che possono assumere partecipazioni in società di persone. Il riferimento contenuto nella norma all'art. 2361 c.c., comma 2, vale ad individuare la fattispecie (partecipazione in impresa comportante l'assunzione della responsabilità illimitata) da cui deriva l'obbligo di redazione del bilancio secondo la disciplina richiamata, ma non estende le prescrizioni formali di cui all'art. 2361 cit. alle s.r.l.

 Va escluso, poi, che la partecipazione della s.r.l. ad una società di persone rientri nelle operazioni comportanti "una rilevante, modificazione dei diritti dei soci" che, ai sensi dell'art. 2479 c.c., comma 2, n. 5, sono - come detto riservate alla competenza dell'assemblea: la modifica derivante dall'acquisto della partecipazione consiste infatti nell'assunzione da parte della s.r.l. della responsabilità illimitata per le obbligazioni della partecipata, mentre non muta la posizione dei soci, che continuano ad essere vincolati nei limiti del conferimento.

L'operazione di acquisto potrebbe piuttosto rientrare fra quelle, sempre riservate alla competenza dell'assemblea dei soci, che comportano "una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo", ma in questo caso occorrerebbe accertare - come ripetuto - che la partecipazione in una società personale sia così eterogenea rispetto ai fini sociali da modificare in concreto l'oggetto (Cass. 10507/2016).

La seconda decisione permette altresì di aggiornare l'ampio catalogo motivazionale di Cass. 1095/2016, dovendosi sottolineare - in modo pertinente rispetto alla vicenda di causa, attenente alla regolazione giuridica del fenomeno di fatto della supersocietà - che quand'anche ricorra un vizio genetico nell'atto costitutivo della società fra una società a responsabilità limitata ed una persona fisica, come avvenuto nel caso, se ne trarrebbero comunque conseguenze di ordine sostanziale: per il principio di conservazione degli atti posti in essere in forza di un contratto di società nullo, se ne darebbe la conversione in una causa di scioglimento, con necessaria apertura della fase di liquidazione, al fine di definire i rapporti pendenti (per la declaratoria di nullità della società di persone equiparata, quoad effectum, allo scioglimento della stessa, Cass. 565/1995, 9124/2015).

Ma si tratterebbe di una società nulla, e tuttavia considerata valida per il passato e, per il futuro, società valida nello (e per lo) stato di liquidazione, senza caducazione retroattiva della sua esistenza, in forza della peculiarità delle nullità societarie, applicabili anche alle società di persone, ai sensi della valenza generale del principio di cui all'art. 2332 c.c., commi 2 e 4.

Pertanto, accertata l'esistenza di una società di fatto insolvente della quale uno o più soci illimitatamente responsabili siano costituiti da società a responsabilità limitata, il fallimento in estensione di queste ultime costituisce una conseguenza ex lege prevista dalla L. Fall., art. 147, comma 1, senza necessità dell'accertamento della loro specifica insolvenza.

Alla supersocietà di fatto sciolta si attaglierebbero invero lo statuto della società in nome collettivo irregolare e quello dell'imprenditore commerciale che, se insolvente e nei limiti eccedenti le soglie di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, appunto fallisce.

Nè è di ostacolo a tale conclusione, va meglio esplicitato, - afferma la Corte -  il meccanismo organizzativo di tale accertamento in estensione, per come in realtà meramente esemplificato nella L. Fall., art. 147, commi 4 e 5: la ripercussione del fallimento di società con soci illimitatamente responsabili anche al socio la cui esistenza risulti in un momento successivo al primo fallimento e del pari la scoperta di un sodalizio di fatto che avvenga dopo l'iniziale dichiarazione di fallimento individuale, non escludono - a pena di una lettura non conforme al paradigma costituzionale dell'eguaglianza, stante l'identità di ratio, per Cass. 10507/2016 - che una dichiarazione di fallimento del soggetto collettivo irregolare, all'insegna del principio di effettività, sia pronunciata con un primo ed unitario atto ovvero promani dalla medesima evoluzione accertativa in via logica (ancorchè non descrittiva) presupposta dal comma 5.

Quest'ultimo, ove prevede una progressione dal fallimento individuale a quello della società della quale l'imprenditore individuale sia invece il socio (Cass. 3621/2016), inquadra un più ampio fenomeno di accertamento della reale impresa, definito anche, in dottrina, come subornazione dell'imprenditore palese da parte dell'imprenditore occulto.

In realtà, se il paradigma effettuale guida la ricognizione della materiale costituzione organizzativa del titolare dell'attività economica, cioè di colui che la promuove imputandone a se stesso gli effetti e, se occorra, nel suo nome prima ancora gli atti, così da riferire - secondo la dizione sostanziale utilizzata dalla L. Fall., art. 147, comma 5, soggettivamente l'attività stessa, la tutela dei terzi ed in particolare dei creditori, anche involontari, ha conseguito nel nostro ordinamento livelli ancora differenziati e, per certi versi, avanzati rispetto al dogma della spendita del nome come criterio ricognitivo chiuso dell'imputazione anche sostanziale della responsabilità.

Va invero ricordato che, pacifica la fallibilità delle società di fatto - nella presente vicenda disputandosi solo sulla compatibilità della figura allorchè si atteggi nella sua articolazione plurisoggettiva facendo capo anche ad una società regolare ed in combinazione gestoria con una persona fisica - accanto a quella degli imprenditori individuali di fatto, cioè prescindenti le une e gli altri da una formale iscrizione nel registro delle imprese, è altrettanto incontroverso che, anche nelle ipotesi delle società occulte ovvero dei soci occulti di società palesi, si ha comunque riguardo a fenomeni di fatto, realmente esistenti ed invero solo per tale ragione apprezzabili, dunque e sempre "che risultino" secondo le locuzioni della L. Fall., art. 147.

E' così più coerente dare conto di uno spettro della fallibilità che censisce soggetti, cui sia riferibile l'attività economica (organizzata ad impresa secondo la L. Fall., art. 147, comma 5) ovvero la partecipazione uti socius, solo parzialmente occulti, nella limitata considerazione di una non emersa caratterizzazione come tali e nei confronti di tutti i terzi e però accertati nella loro dimensione fattuale, che deve essere esistita nell'apprezzabilità dei rapporti connotativi l'impresa, verso l'esterno (ancorchè la società o il socio non siano nella condizione iscrizionale o altrimenti formale) o anche solo verso l'interno (nelle relazioni infrasoggettive).

Tale realità ha giustificato, sino a questo momento, la fallibilità - oltre che dell'imprenditore individuale di fatto e palese, eventualmente nelle condizioni di holder (Cass. 3724/2003, 1439/1990) - delle società di fatto e dei soci di fatto, eventualmente occulti ad una parte dei terzi ma non a tutti, nè ovviamente ai soci (Cass. 23344/2010) e la non fallibilità invece del solo imprenditore individuale occulto, che tale sia verso tutti.

La ampiezza di tutela dei creditori, anche involontari o privi di adeguata informazione, unitamente alla esigenza di protezione dell'affidamento, hanno infine concorso a fondare la teorica della società apparente, fallibile anch'essa e nonostante l'inesistenza di un contratto di società concluso fra i suoi partecipi ed invece per la sufficienza di un'apprezzabile aspettativa di responsabilità diretta confidata dai terzi verso un fenomeno organizzativo che della società abbia assunto le sembianze e per quanto non voluto dai suoi attori.

Si descrive la fattispecie nella giurisprudenza di questa Corte avendo riguardo a due o più persone che operino in modo da ingenerare l'opinione che esse agiscano come soci, suscitando il legittimo affidamento sull'esistenza della società, affidamento che, per il principio di tutela della buona fede dei terzi e dell'apparenza del diritto, attribuisce a coloro che si comportino esteriormente come soci, la responsabilità solidale per le obbligazioni assunte, come se la società esistesse (Cass. 4529/2008).

Ma anche in tal caso, potrebbe dirsi che l'imputazione sostanziale di atti - e di atti qualificati siccome d'impresa collettiva - ad un soggetto non formalmente e realmente costituito secondo le regole generali poste a presidio di un modello astratto e tipico poggia su una effettività di condotte riconosciute all'esterno invece quali tipiche del contratto di società, dunque tali, se così percepite dai terzi, da imporsi alla stregua delle conseguenze di realtà relazionali giuridicamente tutelate rispetto alla realtà non contrattuale che abbia governato il diverso rapporto fra apparenti soci. Una volta comunque stabilito, senza controindicazioni a livello di compatibilità costituzionale di tale latitudine (su cui invero Corte cost. nn. 274/2014 e 15/2016 hanno meramente preso atto dello stato incerto e non definitivo del formante giurisprudenziale), che nella disciplina delle società a responsabilità limitata eventuali limiti autorizzatoti assembleari verso gli atti di amministrazione e diretti alla partecipazione di simili società a società di persone anche irregolari, non reagiscono in termini di validità (o almeno di validità per gli effetti di diritto comune) del tipo societario comunque determinatosi, anche l'insolvenza dell'imprenditore così organizzato risponderà alle regole comuni dell'agire imprenditoriale.

Acquisito cioè, secondo un procedimento in dottrina efficacemente definito ascendente, che la cooperazione fra un soggetto persona fisica ed una società a responsabilità limitata ha operato anche solo per fatta concludentia sul piano societario, secondo i consolidati tratti dell'esercizio in comune dell'attività economica, della esistenza di fondi comuni (da apporti o attivi patrimoniali) e dell'effettiva partecipazione ai profitti e alle perdite, dunque di un agire nell'interesse (ancorchè diversificato e non però contro l'interesse) dei soci, nonchè dell'assunzione ed esteriorizzazione del vincolo anche verso i terzi, ne deriva, in via discendente, dalla conseguente società di persone, di fatto ed irregolare, la necessaria responsabilità personale dei suoi componenti, così instaurandosi il presupposto per le rispettive dichiarazioni di fallimento, diretta quanto al soggetto collettivo e per ripercussione quanto ai suoi soci, ai sensi della L. Fall., art. 147, colto nella sua valenza precettiva generale quanto al comma 1, e ritenute le due vicende dei commi 4 e 5, soltanto esemplificative e di valore organizzatorio.

I citati livelli di protezione dei creditori e dei terzi dell'imprenditore effettivo, individuale e collettivo e dell'imprenditore apparente societario, per come fissati nei principi regolatori della fallibilità soggettiva, esprimono un contemporaneo sacrificio dei creditori dei soggetti che, nel procedimento per la dichiarazione di fallimento e solo in esso, subiscono la reiscrizione dei rispettivi patrimoni all'interno di meccanismi riorganizzativi della responsabilità secondo i criteri della concorsualità e, in caso di società, della destinazione dell'attivo al pagamento dei debiti dell'imprenditore collettivo.

Tale constatazione va ripetuta, per come tenuta presente nel primo arresto cui questo Collegio aderisce, soprattutto con riguardo ai soci e ai creditori di società di capitali, ai quali viene imposto il mutamento del titolo della responsabilità della società loro debitrice ove questa fallisca ai sensi della L. Fall., art. 147, e dunque come socia di una società di fatto con un terzo: la condizione di già fallita in proprio come imprenditore si evolve nell'altra di socio fallito, divaricandosi solo gli effetti della concorsualità completati dalla seconda dichiarazione di fallimento (tant'è che l'eventuale revoca del fallimento individuale, nel frattempo perseguita e ottenuta, di per sè non produce la revoca del secondo fallimento, Cass. 3621/2016).

Va poi aggiunto che l'utilizzo strumentale di una o più società di capitali al fine di una diversificazione e delimitazione degli investimenti e della responsabilità di chi le proietta ideativamente, le dirige e le governa, anche con un sistema di direzione coordinato, di per sè non trasmoda in un abuso, posto che proprio tale schema organizzativo è immanente al paradigma delle diverse responsabilità limitate.

E nemmeno permette che il predetto beneficio sia perduto dal singolo (oltre che società o ente) per il sol fatto di aver operato - agendo nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui, ma violando i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società dominate - dunque nell'interesse contrario a quello delle società stesse, costituendone reazione ordinamentale espressa, in tal caso, la responsabilità risarcitoria di cui all'art. 2497 c.c., eventualmente di concorso. In tale evenienza, la dichiarazione d'insolvenza delle società dominate conferisce all'organo concorsuale unicamente la predetta azione, e soltanto per il profilo di tutela spettante ai creditori sociali.

La configurazione fallimentare della responsabilità non è pertanto la prima risposta all'abuso dello schermo societario, essendo diverse le due fattispecie, ma, per potersi dare, esige il rigoroso accertamento dei parametri organizzativi ed essenziali del contratto di società, nel senso sopra inteso e quale principio fissato al giudice del rinvio, finendo solo per questa via con il risolversi la predetta responsabilità nel riflesso della dichiarazione di fallimento.

E dunque saranno la prassi e le conseguenti ricerche empiriche, e non una gerarchia di principi, che potranno significare se alla residualità astratta dello schema tratteggiato corrisponda anche, e in che termini, la marginalità quantitativa delle vicende di responsabilizzazione ivi organizzate nelle cd. supersocietà di fatto.

A tale compito, anche nella presente vicenda, saranno tenuti i giudici del merito che, arrestatisi alla preliminare questione della fallibilità, si sono erroneamente attestati sull'indirizzo, qui censurato, dell'impossibile ricorso alla figura della società di fatto tra la società a responsabilità limitata e la persona fisica ad essa socia.

Nel merito, occorrerà pertanto l'accertamento (ovvero la discussione del motivo di reclamo non esaminato perchè assorbito) che la società in questione presentasse un'affectio societatis con la persona fisica e che la società di fatto riconosciuta (dal Tribunale di Firenze) esprimesse una sua autonoma e affatto propria insolvenza, alla cui verifica poter giungere anche eventualmente muovendo - quale fatto indiziante - da quella di uno o più dei suoi soci, ovvero del socio cui era inizialmente imputabile la attività economica, ma senza alcuna automatica traslazione ovvero dogmatico esaurimento in esse della prova richiesta, come per tutti gli insolventi fallibili, dalla L. Fall., art. 5. 

LA MASSIMA

In presenza di una società di persone irregolare insolvente, della quale uno o più soci illimitatamente responsabili siano costituiti da s.r.l., il fallimento in estensione di queste ultime è una conseguenza prevista "ex lege" dall'art. 147 l. fall., senza che sia necessario accertarne la specifica situazione di insolvenza, e ciò anche nel caso in cui la partecipazione alla società di fatto sia stata assunta in assenza di previa deliberazione da parte dell'assemblea, dal momento che la disposizione di cui al comma 2 dell'art. 2361 c.c. è dettata in via esclusiva per le s.p.a. Cass. 13 giugno 2016 n. 12120 

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