Un cervo attraversa la strada ad un motociclista: i danni palleggiati tra Comune, Provincia, Regione e Parco...

Danni causati al motociclista per la presenza sulla carreggiata di un cervo: si può chiedere il risarcimento all'ente responsabile dell'amministrazione e della gestione del territorio.



Il Tribunale di Pescara si è pronunciato sull'annoso tema della responsabilità dell'amministrazione per i danni arrecati ad un motociclista da passaggio sulla strada di fauna selvatica respingendo la domanda del motociclista con addebito delle spese legali di tutte le controparti chiamate in causa. 

IL CASO

Tizio, con atto di citazione, chiamava in giudizio la Provincia ed il Comune per sentirli condannare al pagamento dei risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali a titolo di responsabilità a seguito di un incidente causato dall'attraversamento di un cervo.

Tizio non ha proposta domanda di risarcimento ex art. 2051 c.c., per responsabilità da cose in custodia oppure domanda ex art. 2052 c.c. bensì risarcimento ai sensi dell'art. 2043 c.c.alla Provincia per colpa eplicata in erronee politiche di ripopolamento sia per numero dei capi presenti sul territorio che per il loro stazionamento in arre prossime alla strada. 

Tizio ha sollevato richiesta di risarcimento ex art. 2043 c.c. anche al Comune per non avere predisposto idonei manufatti, atti ad impedire lo sconfinamento della fauna sulle strade, e per non aver apposto opportuna segnaletica stradale; era altresì prospettata l'alternativa ipotesi di responsabilità a titolo di custodia, sub specie di tenere liberi i margini della strada dalla crescita di arbusti, impeditivi della visuale.

Il Comune adito si costituiva per chiedere il rigetto della domanda in quanto il luogo dell'incidente era ricompreso nel perimetro del Parco Nazionale della Majella, ente al quale era affidata la competenza gestionale della fauna selvatica.

La Provincia ugualmente concludeva per il rigetto della domanda, obiettando che, essendo il sinistro avvenuto in area del Parco Nazionale della Majella, al relativo Ente competesse il ristoro di danni causati da fauna selvatica; osservava inoltre che essa era stata bensì delegata dalla Regione in materia di fauna ma esclusivamente in ambito venatario ed al solo line si risarcire i danni cagionati alle colture agricole, permanendo, per quanto concerneva quelli derivanti da sinistri stradali, l'alternativa competenza della Regione.

Il Parco Nazionale della Majella, intervenuta in giudizio, ricusava ogni richiesta nei propri confronti, in primis poiché la richiesta di indennizzi per danni causati da fauna selvatica andava indirizzata alla Regione, che nessuna delega aveva conferito all'Ente sul punto; in secondo luogo, la condotta negligente tenuta dall'attore nella circostanza, non conforme ai parametri di avvedutezza che il percorso dell'area suggerivano, era stata causa esclusiva ed efficiente dell'evento, sì da escludere ogni responsahilita di terzi soggetti.

La decisione del Tribunale. 

Il Tribunale adito rigettava la domanda proposta da Tizio.

Il Tribunale evidenziava quindi che la zona del sinistro rientra nel perimetro del Parco Nazionale della Majella ed è percorribile, come riferito dalla guardia forestale, intervenuto sul posto il giorno successivo, tramite una carreggiata non molto larga; nel punto d'impatto la stessa presenta un andamento rettilineo ed in leggera salita, mentre l'animale era verosimilmente sbucato da un ginestraio non adiacente alla strada e posto alla sua sinistra.

Ha aggiunto che il cervo venne rinvenuto sul lato opposto, sotto un guard rail, precisando che tutta la zona è popolata da grandi mammiferi, quali cervi, appunto, lupi, caprioli, cinghiali e orso; in quel periodo, inoltre, i cervi erano in frenetica attività in quanto stagione degli accoppiamenti.

Dalle foto in atti, si ricava altresì che l'esemplare in parola era di dimensioni prossime a quelle di un adulto, del peso dunque di svariate decine di chili.

  • Sulla legittimazione passiva: chiè competente? 

Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza, la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la indicazione di fatti in astratto idonei fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento.

Laddove, invece, - afferma il Tribunale - come nel caso di specie, la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio della parte interessata (cfr. Cass. Civ., sez. III, 30 maggio 2008, n. 14468; Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 2008, n. 355; Cass. civ., sez. I, 16 maggio 2007, n. 11321; Cass. civ., sez. I, 22 febbraio 2007, n. 4169; Cass. Civ., sez. III, 6 marzo 2006, n. 4796).

Giova premettere che con l'entrata in vigore della legge n. 968 del 1977 non è più possibile fare distinzione, per quanto riguarda la loro appartenenza, tra animali selvatici e animali non selvatici, in quanto tutti gli animali hanno ormai un proprietario e si puo' solo distinguere tra proprietà privata e proprietà pubblica.

Di conseguenza la responsabilità dello Stato per ì danni arrecati ai privati della fauna selvatica, trovando fondamento nel principio "cuius commoda eius et incommoda", potrebbe prima facie essere inquadrata nell'ambito dell'art. 2052 c.c. in quanto lo Stato, collocando la fauna selvatica nel proprio patrimonio indisponibile, ne è divenuto il proprietario.

Nondimeno, la Corte Costituzionale ha chiarito che:

"i danni prodotti dalia fauna selvatica, e quindi da animali che soddisfano il godimento dell'intera collettività, costituiscono un evento puramente naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario e solidaristico di imputazione della responsabilità civile ex art. 2043 c.c.; ne la norma impugnata crea disparità di trattamento tra gli agricoltori e tutti gli altri soggetti danneggiati, non essendo irrazionale una disciplina che, in considerazione della sua specificità, preveda una maggiore tutela per l'attività agricola" (Corte Cost. 4 gennaio 2001, n. 4).

Risulta così oramai pacifica l'inapplicabilità della presunzione operata dall'articolo 2052 del codice civile alla cd. "selvaggina", il cui stato di libertà è considerato incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia, da parte della pubblica amministrazione; chiarissimo, a tal proposito, l'orientamento della Suprema Corte, secondo cui, in tema di responsabilità extracontrattuale, il danno cagionato dalla fauna selvatica ai veicoli in circolazione non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall'art. 2052 c.c., inapplicabile alla selvaggina, il cui stato di libertà è incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della p.a., ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall'art. 2043 c.c., e tanto anche in tema di onere della prova, con la conseguente necessaria individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico (cfr., Cassazione, 4 marzo 2010, n. 5202).

E' altresì consolidato il principio in base al quale "la responsabilità per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all'ente (sia esso regione, provincia, ente parco, federazione o associazione) a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, anche in attuazione della L. 157/1992, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata" (Cassazione, 6 ottobre 2010, n. 20758).

In via di principio e sotto un profilo astratto e generale appare indubbio che, nonostante la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge 11 febbraio 1992, n. 157 attribuisca alle Regioni a statuto ordinario il potere di emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma 3) ed affida alle medesime i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando invece alle Province le relative funzioni amministrative ad esse delegate ai sensi della L. 8 giugno 1990 n. 142 (art. 9, comma 1).

Ne consegue che la Regione, anche in caso di delega di funzioni alle Province, "è responsabile, ai sensi dell'art. 2043 c.c., dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme, a meno che la delega non attribuisca alle Province un'autonomia decisionale ed operativa sufficiente a consentire loro di svolgere l'attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni" (Cassazione, 21 febbraio 2011, n. 4202).

Le argomentazioni spese sul punto dall'attore si compendiano nel riferimento ad una serie di disposizioni che tuttavia attengono esclusivamente all'attività venatoria, come tali ponentisi al di fuori del perimetro normativo in discussione; per di più nessuna prova è stata offerta circa il trasferimento a tali limi territoriali di poteri operativi da esercitarsi in assoluta autonomia, anche finanziaria.

Il Tribunale adito evidenzia altresì che la convenuta Provincia deve reputarsi estranea ad ogni responsabilità per danni causati da fauna selvatica, a fortiori se appartenente a specie non cacciabile, quale è il cervo.

E' escludere anche una responsabilità del Comune sotto il profilo aquiliano.

  • E il Parco Nazionale?

Il Parco Nazionale della Majella è stato istituito dall'art. 34 della legge n. 394/1991.

Il 3° comma dell'art. 15, infatti, dispone che "L'Ente parco è tenuto ad indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco", istituendo "nel proprio bilancio un apposito capitolo, con dotazione adeguata al prevedibile fabbisogno, per il pagamento di indennizzi e risarcimenti, formulando un apposito programma, con opportune priorità" (ultimo comma).

A sua volta, l'articolo 10 della legge regionale n. 10/2003 recita testualmente:

1. La Regione Abruzzo sostiene il reddito degli imprenditori agricoli e zootecnici concorrendo a reintegrare le perdite derivanti dai danni causati alle colture o al patrimonio zootecnico dalla fauna selvatica, nell'ambito del territorio regionale non compreso nei perimetro di Parchi nazionali e regionali.

2, Nell'ambito dello stesso territorio la Regione provvede al risarcimento dei danni per incidenti stradali provocati a veicoli e persone dalla fauna selvatica.".

Può dunque concludersi che i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna competono nel presente caso all'Ente Parco della Majella, con quanto ne consegue in ordine all'attribuzione della responsabilità per danni da quest'ultima causati a terzi.

La lettera dell'art. 11 della citata legge n. 394/1991 fuga ogni residuo dubbio, in quanto il Regolamento che il Parco adotta disciplina l'esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco stesso, intervenendo non solo nella gestione della fauna ma anche per:

a) la tipologia e le modalità di costruzione di opere e manufatti

b) lo svolgimento delle attività artigianali, commerciali, di servizio e agro-silvo-pastorali;

c) il soggiorno e la circolazione del pubblico con qualsiasi mezzo di trasporto;

d) lo svolgimento di attività sportive, ricreative ed educative;

e) lo svolgimento di attività di ricerca scientifica e biosanitaria;

f) i limiti alle emissioni sonore, luminose o di altro genere, nell'ambito della legislazione in materia;

g) lo svolgimento delle attività da affidare a interventi di occupazione giovanile, di volontariato, con particolare riferimento alle comunità terapeutiche, e al servizio civile alternativo;

h) l'accessibilità nel territorio del parco attraverso percorsi e strutture idonee per disabili, portatori di handicap e anziani.

Alla luce di quanto precede e dalla lettura coordinata della richiamata normativa, appare chiaro che l'obbligo risarcitorio per danni causati dalla fauna selvatica vagante per i territori del Parco Nazionale della Majella compete in via esclusiva all'Ente che esercita il controllo e la gestione del territorio, il che assorbe ogni ulteriore indagine circa le deleghe attribuite dalla Regione alle Provincie al riguardo. 

Ne potrebbe argomentarsi a contrario traendo spunto dal disciplinare per l'indennizzo dei danni provocati dalla fauna selvatica nel Parco Nazionale della Majella, con il quale si sono fissate le modalità per l'accertamento, la valutazione, la liquidazione dell'indennizzo dei danni provocati al bestiame e alle colture agricole e forestali in atto causati dalla fauna selvatica all'interno del territorio del Parco, cosi come delimitato dal DPR 05,06.1995, con la precisazione che

"Non sono indennizzabili altri tipi di danno procurati dalla fauna selvatica all'interno del territorio del Parco", trattandosi di fonte normativa regolamentare e, dunque, secondaria, che, in quanto tale, non puo' derogare a fonti di rango superiore, quali indubbiamente sono le leggi, siano esse nazionali ovvero regionali.

Ciò posto, resta da scrutinare l'aspetto della condotta concretamente imputabile all'Ente Parco -al quale la domanda introduttiva si estende automaticamente, vertendosi in ipotesi di garanzia propria- al fine di poterne affermare la responsabilità a lume dei principi posti dall'art. 2043 c.c., ossia individuare il comportamento colposo, anche omissivo, allo stesso in sostanza addebitabile.

E' fuor di dubbio che l'art. 2043 c.c. disciplini il fatto illecito definendolo fonte di lesione dei diritti assoluti altri e fonte di obbligazione di risarcimento del danno provocato (responsabilità extracontrattuale), ponendosi al tempo stesso come clausola generale dell'ordinamento giuridico civile.

Procedendo con ordine, vi è che gli elementi che devono necessariamente ricorrere affinché il danneggiato sia legittimato ad esperire l'azione ex art. 2043 c.c. sono, oltre alla colpevolezza (che caratterizza tale figura rispetto alle forme di responsabilità ed. indiretta ovvero oggettiva), il fatto materiale e l'ingiustizia del danno.

Per quanto concerne l'elemento soggettivo, l'atteggiamento psicologico del danneggiatiti: è di tipo doloso, se ha agito con l'intenzione di cagionare l'evento dannoso, mentre è riscontrabile solo la colpa, allorché, pur non prefiggendosi il risultato lesivo in realtà verificatosi, ha violato il dovere di diligenza, cautela o perizia nei confronti dei terzi. In merito al fatto materiale, è da precisare che tale espressione abbraccia non solo l'evento dannoso, ma anche il comportamento umano, commissivo od omissivo che sia, causa del risultato lesivo.

Tra la condotta dell'agente e il danno, poi, deve sussistere un nesso di causalità, tale da configurare l'evento quale conseguenza immediata e diretta (condicio sine qua non) del danno.

Per quanto riguarda il requisito dell'ingiustizia del danno, è da reputarsi realmente "ingiusto" solo il danno che sì concretizza nella lesione di una situazione soggettiva meritevole di tutela e, quindi, protetta dall'ordinamento con il divieto del nemìnem laedere, tenuto conto dei principi e della scala di valori accolti dall'ordinamento in un dato momento storico.

Ne consegue, in ordine al riparto dell'onere probatorio come innanzi già sommariamente delineato, che in presenza di un fatto storico qualificabile come illecito civile ai sensi dell'art. 2043 c.c. incombe in capo alla parte danneggiata "l'onere della prova degli elementi costitutivi di tale fatto, del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità soggettiva" (cfr. Cass. n. 191/1996; Cass. n. 17152/2002; Cass. n. 390/2008; Cass. n. 11946/2013).

In questa sede appare rilevante enucleare quale sia il fatto illecito addebitabile all'Ente Parco, ossia in cosa precisamente consista il fatto, l'atto o il comportamento doloso o colposo (cioè tenuto con l'intenzione di nuocere ovvero con imprudenza, disattenzione, imperizia) in grado di cagionare ad altri un danno ingiusto.

Come rilevato, nella nozione di fatto illecito possono farsi rientrare sia le condotte commìssive ; che omissive, purché riconducibili, secondo il nesso di causalità, all'evento dannoso ed esìsta un vero e proprio obbligo giuridico di impedire lo stesso.

Non ogni fatto che possa arrecare danno, ovviamente, genera l'obbligo del risarcimento, ma soltanto un danno "ingiusto", in contrasto cioè con un dovere giuridico.

Orbene, secondo le prospettazioni dello stesso attore ì comportamenti censurabili ed addebitabili all'Ente sarebbero sostanzialmente quelli di non aver curato il controllo dei ripopolamenti anche tramite operazioni di abbattimento selettivo e di non aver altresì posto in opera recinzioni che impedissero alla fauna di invadere spazi non propri, quali quelli stradali.

Vale anche per l'Ente Parco al riguardo il principio espresso dalia Suprema Corte per le Regioni (cfr., da ultimo, Cass. Sez. I, Sentenza n, 9276 del 24/04/2014), ossia che "la gestione della fauna incombente sulla Regione (alla, stregua della L. n. 157 del 1992 che all'art. 26 prevede la costituzione di fondo per il risarcimento dei danni alle coltivazioni cagionati dalla detta fauna) non comporta ex se che qualunque danno a vetture circolanti cagionato da essa sia addebitabile alla Regione, occorrendo la allegazione o quantomeno la specifica indicazione di una condotta omissiva efficiente sul piano della presumibile ricollegabilità del danno (quale la anomala incontrollata presenza di molti animali selvatici sul posto - l'esistenza di fonti incontrollate di richiamo di detta selvaggina verso la. sede stradale - la mancata adozione di tecniche di captazione degli animali verso le aree boscose e lontane da strade e agglomerati urbani etc.)".

La genericità e l'apoditticilà delle contestazioni da parte attrice varrebbero di per sé ad escludere che sia stata offerta idonea prova sul punto, non essendo dato comprendere se e quale eccesso di ripopolamento vi sia stato da parte dell'Ente e neppure a quali parametri detto eccesso dovrebbe essere rapportato.

Va rammentato che i parchi nazionali sono per definizione costituiti da aree terrestri, marine, fluviali, o lacustri che contengano uno o più ecosistemi intatti, o solo parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni Fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche d'interesse nazionale od internazionale, per valori naturalistici, scientifici, culturali, estetici, educativi o ricreativi, tali da giustificare l'adozione di norme ad hoc per la loro conservazione, scopo questo predominante rispetto ad ogni altro interesse.

Contrasta dunque con la finalità e la natura stessa del Parco l'adozione dei provvedimenti invocati dall'attore, inattuabili anche sotto il profilo pratico (animali ristretti in recinti sono ; caratteristica degli zoo) se non addirittura contra legem (i piani di abbattimento violerebbero la protezione di non cacciabilità accordata anche ai cervidi).

Si consideri poi che non puo' costituire oggetto di obbligo giuridico la recinzione di tutte le strade e la segnalazione generalizzata di tutti i perimetri boschivi (così Cassazione, sentenza 6 marzo -24 aprile 2014, n. 9276, cit.).

Sotto diverso aspetto, nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, poi, un ruolo essenziale è rappresentato dal nesso di causalità.

Affinchè sorga in capo al soggetto agente l'obbligo del risarcimento del danno, è necessario infatti che lo stesso sia causalmente riconducibile al fatto illecito, ovvero che sussista un rapporto di causa-effetto tale che l'evento dannoso possa dirsi provocato dal fatto compiuto (Cass. n. 7026/2001; Cass. n. 12431/2001; Cass. n. 2037/2000).

Ai fini dell'accertamento dell'insorgere dell'obbligazione risarcitoria, il nesso di causalità va esaminalo sotto un duplice profilo; quello della causalità materiale, ossia della sussistenza di un collegamento tra la condotta illecita e l'evento dannoso, e quello della causalità giuridica, ovvero dell'accertamento di un collegamento giuridico tra l'evento lesivo e le sue conseguenze dannose, allo scopo di delimitare il contenuto della stessa obbligazione risarcitoria.

Con riferimento alla causalità giuridica, l'art. 1223 c.c. (esteso alla responsabilità extracontrattuale dall'art. 2056 c.c.) stabilisce che il danno risarcibile deve essere la conseguenza diretta e immediata della condotta illecita, mentre per quanto concerne la causalità materiale, non definita de iure condito, viene fatto riferimento alle teorìe sviluppate in ambito penalistico (teorìa della causalità adeguata; della sussunzione sotto leggi scientifiche o statistiche, ecc.).

Per quanto osservato, tale causalità va esclusa nella fattispecie, anche sotto il profilo della riconducibilità dell'evento e, dunque, del danno alla condotta negligente dell'attore: il fatto ignoto che egli procedesse ad una velocità non adeguata e certamente elevata in una stretta strada di montagna, è ricavabile presuntivamente ex art. 2729 c.c. da una serie di elementi fattuali certi, costituiti dalla circostanza che il cervo investito, del peso di diverse decine di chili (un cervo maschio adulto arriva a pesare almeno 150 chili), sia stato sbalzato da una corsia all'altra, abbia addirittura scavalcato a seguito dell'urto il guard rail per poi ricadere sul prato sottostante, morendo di fatto sul colpo.

La ridotta superficie di impatto di una moto rispetto a quella di un'auto avvalora e rinforza, tale conclusione.

Il tratto in cui il sinistro è avvenuto è rettilineo, dal che si ricava ulteriormente la tenuta di una guida a velocità eccessiva, che non ha permesso al motociclista di avvedersi e di schivare per tempo l'animale, fatto questo che sarebbe potuto avvenire con una certa facilità se, invece, la velocità stessa fosse stata ridotta.

Non è revocabile in dubbio, infatti, che l'attraversamento con mezzi motorizzati di aree naturali, proprio per le caratteristiche di ubiquità di numerose specie selvatiche, anche di ragguardevoli dimensioni, obblighi gli utenti a tenere una condotta ispirata al massimo della cautela e della prudenza, per la sicurezza propria e delle stesse specie protette.

Né puo' soccorrere, in senso liberatorio, la mancanza su quella strada comunale secondaria l'assenza di segnaletica per attraversamento animali -pur attestata dal citato teste - in quanto la stessa intanto è ampiamente e ben visibilmente apposta nel punto di derivazione dalla strada statale 487 (cfr. testimonianza) ed inoltre il richiamato dovere di attenzione è insito nella percorrenza stessa di una strada posta all'interno di un Parco nazionale.

E' stata infine sollevata da parte attrice la responsabilità del Comune otto il diverso ed alternativo profilo quale custode della strada scenario dell'evento ex art. 2051 c.c..

La già argomentata ricorrenza nella specie del caso fortuito, costituito dalla guida improvvida dell'attore, lascerebbe concludere per la infondatezza della domanda anche sul punto.

Per mera completezza espositiva, va anche ribadito quanto più volte precisato dalla Suprema Corte (cfr. da ultimo Cassazione, ordinanza n. 1896 del 3 febbraio 2015) che la prova del caso fortuito - che consente l'esonero da responsabilità risarcitoria e che si identifica in un fattore estraneo alla sfera soggettiva del custode idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la cose e l'evento lesivo -incombe al custode, ma presuppone che il danneggiato abbia fornito in via prioritaria la prova del nesso di causalità tra l'evento dannoso lamentato e la cosa in custodia.

La natura oggettiva (o 'semioggettiva') della responsabilità da cose in custodia, ricorrendo i presupposti per l'applicabilità dell'art. 2051 c.c., esonera il danneggiato dalla prova soltanto dell'elemento soggettivo della colpa del custode e non anche del nesso di causalità, che invece deve essere fornita.

Solo allorché tale onere sia stato assolto, incomberà a parte convenuta dimostrare il caso fortuito, nei termini sopra specificati, ai fini della liberazione dall'obbligazione risarcitoria.

"Il principio giuridico in esame, lungi dal costituire una questione squisitamente dogmatica, è destinato ad assumere un rilievo determinante nelle applicazioni pratiche, in cui non di rado i passaggi/logici teste richiamati tendono ad essere travisati e sovrapposti tra loro.

È erroneo, in particolare, l'assunto in base al quale l'affermata natura oggettiva della responsabilità da cose in custodia legittimi il danneggiato a ritenere assolto l'onere della prova gravante a suo carico dimostrando di essere caduto in corrispondenza di uno stato di fatto della res, qualunque esso sia e senza alcuna indagine sulle caratteristiche della dedotta 'insidia', riferendo per ciò solo al custode ogni altro onere, sub specie di prova liberatoria del caso fortuito.

Il danneggiato invece, è tenuto a fornire positiva prova anche il nesso di causalità tra il danno e la cosa e, a tal fine, è suo preciso onere dimostrare anzitutto l'attitudine della cosa a produrre il danno, in ragione dell'intrinseca pericolosità ad essa connaturata.

La oggettiva pericolosità (c.d. "insidiosità") della res, avuto riguardo a tutte le circostanze specifiche del caso concreto, costituisce oggetto dell'indagine sul nesso di causalità e, quindi, è riconducibile all'ambito della prova che grava sul danneggiato, la quale a sua volta costituisce un prius logico rispetto alla prova liberatoria, di cui sarà poi onerato il custode.

Nel caso che occupa, non puo' ritenersi oggettivamente pericolosa la strada comunale che conduce alla frazione e ciò sol perché lungo uno dei suoi margini crescano piante di ginestra (senza che invadano tuttavia la carreggiata), fatto questo del tutto naturale e confacente ad un ambiente montano, dovendo semmai la presenza di arbusti suggerire ancora di più una guida moderata.

Come affermato dalla Suprema Corte nella recentissima pronuncia del 7 gennaio 2016 (ordinanza n. 56), nei casi in cui il danno non sia effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (scoppio della caldaia, scarica elettrica, frana della strada o simili), ma richieda che l'agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno.

A ciò deve aggiungersi e ripetersi che l'allocazione della responsabilità oggettiva per custodia in capo al proprietario del bene demaniale per ì danni che esso puo' provocare agli utenti non esime gli utenti stessi dal dover far uso di una ragionevole prudenza, adeguata allo stato dei luoghi, a salvaguardia della propria incolumità.

 

LA MASSIMA

In ipotesi di danni causati al motociclista per la presenza sulla carreggiata di un cervo, è possibile richiedere il risarcimento all'ente responsabile dell'amministrazione e della gestione del territorio e della fauna selvatica ivi presente, diritto al risarcimento che viene meno se è dimostrato che il danneggiato, nel procedere, teneva una guida a velocità eccessiva che non gli ha permesso di avvedersi e di schivare per tempo l'animale. Trib. Pescara 09 febbraio 2016 n. 175

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