Crollo di albero su un passante: l’ente gestore della strada ne risponde?
L’ANAS quale ente gestore della sicurezza stradale può ritenersi responsabile nonostante l’albero sia situato su fondi altrui? Cass. n. 22330 del 22 ottobre 2014.
LA NOTA
A cura della Dott.ssa Federica Di Nardo Di Maio
Una madre, rappresentante volontario del figlio, travolto da un grosso albero che si abbatteva sulla sua auto provocandogli gravissime lesioni, citava in giudizio il proprietario del terreno sul quale sorgeva l’albero stesso.
L’istituto si costituiva negando la sua responsabilità e chiedeva al Giudice di chiamare in causa l’ANAS, il costituitosi in giudizio, negava a sua volta ogni tipo di responsabilità.
Il Giudice monocratico del Tribunale di M.C. riteneva il danno ascrivibile all’Istituto per il 60% e all’ANAS per il 40%, tale sentenza veniva impugnata da tutte le parti in causa per ragione diverse.
In appello veniva accolta la richiesta di aumento del risarcimento del danno richiesta dalla parte attrice e veniva esonerata l’ANAS da qualsiasi responsabilità. La sentenza della Corte d’appello veniva poi impugnata da parte dell’Istituto invocando la violazione dell’art 360 c.p.c, n. 3 per ben cinque motivi.
La Corte di cassazione ha ritenuto infondati i primi due motivi, mentre il terzo motivo di ricorso lo ritiene fondato, assorbendo cosi i restanti due motivi.
La sentenza si sofferma sull’art. 2051 c.c., il quale prevede che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. Tale responsabilità presuppone la sussistenza di un di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte, di escludere i terzi dal contatto con la cosa. La norma non esonera il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva posseduta dalla cosa, mentre sarà a carico del custode dover offrire la prova contraria alla presunzione “iuris tantum” della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità. (Cass., 17 gennaio 2008, n. 858).
Si possono quindi sintetizzare i due presupposti della responsabilità derivante dall’art. 2051 c.c.: il primo viene tradizionalmente identificato nella relazione danno-cosa, che si manifesta nella realizzazione del danno, l’altro presupposto si caratterizza per il custode e nel poter di effettiva disponibilità e controllo della cosa. La norma però, sottolinea come il custode abbia la possibilità di provare la sua estraneità davanti al caso fortuito. Il caso fortuito è caratterizzato dall’imprevedibilità che si incastra nel fatto dell’agente, impedendo l’arresto dell’evento con le sue capacità umane.
Tornando al caso di specie l’Istituto Diocesano ha evidenziato nel proprio ricorso che la Corte d’Appello non avrebbe dato corretta interpretazione dell’art. 2051 c.c., in quanto aveva escluso dalla qualità di custode l’ANAS, per due motivi: in primis in quanto ha l’obbligo legale di vigilare sulle strade e sulle connesse situazioni di pericolo; ed in secondo luogo in quanto aveva volontariamente già tagliato alcuni alberi nel fondo dell’Istituto, adiacenti quello caduto, in tal modo assumendo l’obbligo di custodire l’area dell’intervento.
La Corte di Cassazione ha quindi ritenuto il motivo di ricorso infondato perché l’oggetto di custodia dell’ANAS non è l’albero in sé ma la strada, per cui essendo l’albero situato su fondi privati non poteva ritenersi la stessa ANAS custode di tali fondi.
LA SENTENZA
Cassazione civile n. 22330 del 22 ottobre 2014.
FATTO
1. Nel 1999 la sig.a Mo.Li., dichiarando di agire quale rappresentante volontario del figlio R.M., convenne dinanzi al Tribunale di Massa Carrara l'Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Massa Carrara (d'ora innanzi, per brevità, "l'Istituto"), esponendo che: - il (OMISSIS) R.M. percorreva in auto la strada statale "(OMISSIS)"; - mentre costeggiava un fondo scosceso di proprietà dell'Istituto, un grosso albero (ontano) alto 20 metri, che sorgeva a 7 metri di distanza dal ciglio stradale, si abbattè sul veicolo condotto da R.M., provocandogli gravissime lesioni personali. Concluse pertanto chiedendo la condanna dell'Istituto al risarcimento dei danni patiti da R.M. in conseguenza dei fatti appena descritti.
2. L'Istituto si costituì negando la propria responsabilità, ed allegando che dell'accaduto doveva rispondere l'ANAS, per avere tenuto due condotte colpose:
(a) avere tagliato gli alberi circostanti quello poi caduto, causandone così un sviluppo anomalo;
(b) avere lasciato in situ l'albero, anche dopo che il suo fusto era stato indebolito da un incendio. Chiedeva pertanto il rigetto della domanda attorea, ed in subordine che responsabile del sinistro fosse ritenuto, in tutto od in parte, l'ANAS. L'Istituto non provvedeva tuttavia a chiamare in causa l'ANAS, ma rivolgeva istanza al giudice perchè l'ente fosse chiamato in causa per ordine del giudice, ex art. 107 c.p.c..
3. Il Giudice monocratico del Tribunale di Massa ritenne di ordinare la chiamata in causa dell'ANAS, cui provvide la parte attrice.
4. L'ANAS si costituì negando qualsiasi responsabilità, ed allegando in fatto che: - l'albero caduto sorgeva su un'area privata, di proprietà dell'Istituto; - l'ANAS aveva effettuato tagli di alberi in quell'area sedici anni prima dell'infortunio, epoca in cui l'ontano poi caduto era giovanissimo e di dimensioni modeste, e per tal ragione venne lasciato in situ.
5. Con sentenza n. 324 del 2005 il Tribunale di Messa Carrara ritenne che il danno patito da R.M. fosse ascrivibile a responsabilità dell'Istituto nella misura del 60%, e dell'ANAS nella misura del 40%. Condannò tuttavia i due enti al risarcimento del danno non in solido, ma pro quota, in proporzione della rispettiva responsabilità.
6. La sentenza di primo grado venne impugnata in via principale dalla sig.a Mo.Li., la quale chiese una più cospicui liquidazione del danno (ma non si dolse della condanna pro quota invece che solidale), ed in via incidentale dalle altre parti, ciascuna delle quali invocò dal giudice d'appello l'affermazione della esclusiva responsabilità dell'altra.
7. Con sentenza 25.6.2008 la Corte d'appello di Genova:
(a) accolse l'appello principale, rideterminando in aumento l'ammontare del danno risarcibile;
(b) accolse l'appello incidentale dell'ANAS, escludendone qualsiasi responsabilità.
8. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dall'Istituto, in base a cinque motivi. Hanno resistito con controricorso sia l'ANAS che la sig.a Mo. L..
DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso l'Istituto lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all'art. 360 c.p.c., n. 3. Assume violato l'art. 246 c.p.c.. Espone, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe posto a fondamento della sentenza una testimonianza resa da un teste incapace, e cioè il sig. N.M., all'epoca dei fatti capo cantoniere dell'ANAS.
1.2. Il motivo è inammissibile, per tre ragioni:
(a) sia per inidoneità del quesito di diritto che lo conclude, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., (applicabile ratione temporis al presente giudizio), in quanto con esso non si chiede a questa Corte di affermare alcuna regula iuris, ma di accertare un fatto concerto, e cioè la capacità o l'incapacità a deporre d'un testimone;
(b) sia per difetto del requisito dell'autosufficienza, in quanto il ricorso non indica se e quando l'incapacità a deporre fu eccepita nei gradi di merito;
(c) sia perchè il teste fu indicato ed intimato dallo stesso Istituto, e la nullità non può essere invocata dalla parte che vi ha dato causa, in virtù del principio protestatio contra factum proprium non valet, di cui all'art. 157 c.p.c., comma 3.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso l'Istituto lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all'art. 360 c.p.c., n.3. Assume violato l'art. 2051 c.c.. Espone, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe violato l'art. 2051 c.c., là dove ha escluso che "custode" dell'albero caduto fosse l'ANAS.
Ciò in quanto:
(a) l'ANAS ha l'obbligo legale di vigilare sulle strade e sulle connesse situazioni di pericolo;
(b) l'ANAS aveva volontariamente già tagliato alcuni alberi nel fondo dell'Istituto, adiacenti quello caduto, in tal modo assumendo l'obbligo di custodire l'area dell'intervento.
2.2. Il motivo è infondato. Oggetto della custodia dell'ANAS poteva essere la strada, non l'albero: perchè in nessun caso l'ANAS può dirsi "custode" dei fondi privati. La custodia di cui all'art. 2051 c.c., consiste infatti in un potere di fatto sulla cosa, e l'ANAS - anche ad ammettere che in determinate circostanze possa intervenire sui fondi privati - non ha certo la disponibilità di questi, nè potrebbe agire su essi all'insaputa o contro la volontà del proprietario.
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Anche col terzo motivo di ricorso l'Istituto lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all'art. 360 c.p.c., n. 3. Assume violato l'art. 16 C.d.S., e art. 26 reg. esec. C.d.S., comma 6. Espone, al riguardo, che le norme testè ricordate impongono ai proprietari di fondi privati confinanti con le strade pubbliche di evitare le situazioni di pericolo per queste ultime. L'ANAS, tuttavia, ha il dovere di vigilare su tali situazioni di pericolo, e non lo fece. La Corte d'appello pertanto ha violato le suddette norme, nell'escludere la colpa civile del'ANAS.
3.2. Il motivo è fondato.
La colpa civile, di cui all'art. 2043 c.c., consiste nella deviazione da una regola di condotta. "Regola di condotta" è non soltanto la norma giuridica, ma anche qualsiasi doverosa cautela concretamente esigibile dal danneggiante. Stabilire se questi abbia o meno violato norme giuridiche o di comune prudenza è accertamento che va compiuto alla stregua dell'art. 1176 c.c., comparando la condotta concretamente tenuta dal preteso responsabile, con quella che un soggetto delle medesime qualità e condizioni avrebbe tenuto, nelle stesse circostanze di tempo e luogo. Or bene, l'ente proprietario della strada aperta al pubblico transito è obbligato a garantire la sicurezza della circolazione (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 14), e ad adottare i provvedimenti necessari ai fini della sicurezza del traffico sulle strade (D.Lgs. 26 febbraio 1994, n. 143, art. 2). Da queste previsioni non discende certo, come correttamente ha ritenuto la Corte d'appello, l'obbligo dell'ANAS di provvedere alla manutenzione dei fondi privati. Discende, però, come erroneamente ha trascurato di considerare la Corte d'appello, l'obbligo dell'ANAS di: (a) segnalare ai proprietari confinanti le situazioni di pericolo suscettibili di recare pregiudizio agli utenti della strada; (b) adottare i presidi necessari ad eliminare i fattori di rischio conosciuti o conoscibili con un attento e doveroso monitoraggio del territorio; (c) come extrema ratio, permanendo l'eventuale negligenza dei proprietari dei fondi finitimi nel rimuovere le situazioni di pericolo, chiudere la strada al traffico. La colpa civile dell'ANAS va dunque accertata non già valutando se abbia o meno provveduto alla manutenzione dei fondi privati, ma se abbia adottato le cautele imposte dall'art. 1176 c.c., comma 2, nell'individuare, prevenire o attenuare i rischi derivanti dalla proprietà privata: in primo luogo segnalando ai proprietari interessati la situazione di pericolo; in secondo luogo invitandoli ad eliminarla; in terzo luogo inibendo la circolazione. Ne consegue che l'eventuale inerzia del proprietario nella realizzazione degli interventi idonei a rendere sicuro il terreno adiacente la strada non elimina quella del proprietario della strada su cui l'albero era destinato a cadere, mettendo a repentaglio quella sicurezza della circolazione che, come specificato, costituisce uno dei compiti primari dell'ANAS (in questi esatti termini, con riferimento a fattispecie analogia, si è già pronunciata questa Corte: Sez. 3, Sentenza n. 23562 del 11/11/2011, Rv. 620514).
5. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d'appello V. di Genova, la quale statuirà sulle domande di condanna proposte nei confronti dell'ANAS applicando il seguente principio di diritto: L'ente proprietario d'una strada aperta al pubblico transito, pur non essendo custode dei fondi privati che la fiancheggiano, nè avendo alcun obbligo di provvedere alla manutenzione di essi, ha tuttavia l'obbligo di vigilare affinchè dai suddetti fondi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada e, in caso affermativo, attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere. Ne consegue che è in colpa, ai sensi del combinato disposto dell'art. 1176 c.c., comma 2, e art. 2043 c.c., l'ente proprietario della strada pubblica il quale, pur potendo avvedersi con l'ordinaria diligenza d'una situazione di pericolo proveniente da un fondo privato, non la segnali al proprietario di questa, nè adotti altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione.
6. I restanti motivi di ricorso sono assorbiti dall'accoglimento del terzo. 6. Le spese. Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 3.
PQM
la Corte di cassazione:
- accoglie il terzo motivo di ricorso, cassa e rinvia la causa alla Corte d'appello di Genova in diversa composizione;
- rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e di quelle dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 29 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2014
LA MASSIMA
L'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito, pur non essendo custode dei fondi privati che la fiancheggiano, né avendo alcun obbligo di provvedere alla manutenzione di essi, ha tuttavia l'obbligo di vigilare affinché dai suddetti fondi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada e, in caso affermativo, attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere. Ne consegue che è in colpa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 2043 c.c., l'ente proprietario della strada pubblica il quale, pur potendo avvedersi con l'ordinaria diligenza d'una situazione di pericolo proveniente da un fondo privato, non la segnali al proprietario di questa, né adotti altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione. Cass. n. 22330 del 22 ottobre 2014
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