DIRITTO CIVILE. L'obbligo della difesa legale sussiste salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti. Cass. civ. n. 24517 del 30 ottobre 2013.



Sussiste sempre l’obbligo di difesa legale, così come previsto dal codice di procedura civile all’art. 82, comma 3. Non esiste,invero,un diritto assoluto del cittadino all'autodifesa in giudizio, mentre esiste il principio della discrezionalità del legislatore nella scelta dei casi in cui è necessario il patrocinio di un difensore. 

Conf.: Corte Cost. n. 47/1971; Corte Cost. n.188/1980; Cass., 1^Sez. 7786/2008 ,n. 2008; Cass. Civ., n. 12570/2011.

Cass. civ. n. 24517 del 30 ottobre 2013. 

Nota dell'Avv. Maria Migliaccio

L'art. 82 c.p.c. stabilisce che nei giudizi promossi dinanzi al Giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede Euro 516,46, mentre nelle cause che eccedono tale valore il Giudice di pace, in considerazione della natura e dell'entità della causa , con decreto emesso anche su istanza verbale della parte, può autorizzarla a stare in giudizio di persona. Negli altri casi,la medesima norma prevede che la parti non possano stare in giudizio se non con il ministero o con l'assistenza del difensore e che davanti al Tribunale o la Corte d'Appello, salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti, le parti devono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente. Il fondamento di tale regola si ravvisa in un duplice ordine di ragioni.

Per un verso la complessità delle norme, che regolano lo svolgimento del processo, e il tecnicismo nella redazione degli atti richiedono una preparazione e delle competenze che solo un tecnico del diritto il quale è tenuto continuamente ad aggiornarsi sui mutamenti legislativi e giurisprudenziali, è in grado di avere.

Per un altro verso, la collaborazione di un esperto serve a filtrare il processo dalle emozioni e dalla passionalità, che difficilmente mancano nei diretti protagonisti della lite e che potrebbero privarli della necessaria lucidità e attitudine a valutare con serenità e distacco i fatti della controversia e a scegliere la più opportuna e adeguata strategia processuale.

Appare dunque chiaro come il legislatore, nell'esigere la collaborazione del difensore abbia voluto tutelare le parti stesse,garantendo loro nel miglior modo possibile l'esercizio di difesa, costituzionalmente inviolabile in ogni stato e grado del processo art. 24 Cost.).

Nella fattispecie in esame, il ricorrente adiva il Giudice di Pace per ottenere la condanna dello Stato italiano alla spartizione della Sicilia in due zone, la Sicilia orientale e la Sicilia occidentale con la conseguente comunicazione alle Nazioni Unite della sentenza di spartizione della regione al fine di nominare un osservatore che avesse coadiuvato il Capo provvisorio dello Stato delle Camere e del Consiglio federale e per la creazione di una nuova moneta.

Si chiedeva, inoltre, l’emissione dell’ordinanza di sfratto della base aeronavale degli Stati Uniti d’America di (OMISSIS) e la contestuale emissione di una ordinanza di stipulazione con gli Stati Uniti al fine di aprire la sopracitata base aeronavale ai voli commerciali internazionali. Il ricorrente conveniva in giudizio il Presidente e Governatore della Sicilia, il Presidente del Consiglio dei Ministri, l’ex Governatore della Banca di Italia ed il Presidente degli Stati Uniti d’America. Il Giudice di Pace dichiarava la carenza di legittimazione dei soggetti convenuti e la carenza di ius postulandi e di legittimatio ad causam dell’attore. Tale sentenza veniva impugnata dal ricorrente, dinanzi al Tribunale di Catania, senza ministero di difensore, riproponendo tutte le richieste sollevate in primo grado.

Il Tribunale dichiarava inammissibile l’appello osservando che l’impossibilità del ricorrente di costituirsi personalmente, assorbiva gli altri rilievi preliminari all’esame del merito (assenza di condizioni dell’azione,impossibilità di accoglimento della domanda per assenza di possibilità giuridica) e conseguente condanna alle spese. Nei primi motivi di ricorso il ricorrente denunciava la violazione degli artt. 6 della CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali e la conseguente illegittimità costituzionale dell’art 82 c.p.c. 3° comma nella parte in cui non consente di stare in giudizio personalmente.

La Corte dichiarava la manifesta infondatezza della questione. Bisogna precisare che, in ossequio a quanto disposto dall’art. 82 c.p.c. ,la legge dichiara necessario il ministero del difensore, oltre che nei giudizi dinanzi la Corte di Cassazione, nei giudizi dinanzi la Corte d’Appello e davanti ai Tribunali (art. 82, comma 3 c.p.c.). Il ministero del difensore non è invece necessario nei giudizi davanti al giudice di pace, limitatamente alle cause il cui valore non eccede Euro 1.100,00 (art. 82,comma 1° così modificato dalla L. 17 febbraio 2012 n.10).

Nelle cause di valore superiore, la legge richiede di regola il ministero del difensore, salvo consentire al giudice di pace di autorizzare (anche implicitamente) la parte a stare in giudizio personalmente, quando ciò appaia opportuno in considerazione della natura e dell’entità della causa (art. 82,2° comma). Come osservato dalla Corte nella sentenza in esame, è la stessa legge a esigere il patrocinio del difensore per due ordini di ragioni: in primo luogo,per il particolare tecnicismo degli atti del processo, sia con riguardo alla loro disciplina processuale e sia con riguardo al loro contenuto di diritto sostanziale; in secondo luogo, l’ausilio tecnico è richiesto per far fronte all’animosità e alla passionalità che difficilmente mancano nei diretti protagonisti della lite, togliendo a questi ultimi la necessaria attitudine ad esaminare le circostanze con serenità e distacco.

Orbene, è il legislatore ad individuare la necessità della collaborazione del difensore al fine di tutelare le parti stesse e per rendere possibile l’esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Già nella pronuncia n. 47 del 1971 la Corte Costituzionale aveva ritenuto che: “il diritto di difesa deve essere inteso come potestà effettiva dell’assistenza tecnica e professionale di qualsiasi processo e il compito del difensore è di importanza essenziale nel dinamismo della funzione giurisdizionale,tanto che esso può considerarsi esercizio di funzione pubblica”(Corte Cost. n.47/1971).

Per quanto attiene il contrasto con l’art. 6 della Convenzione EDU, la Corte ribadisce il già più volte richiamato orientamento per cui alla invocata Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che prevede la possibilità di autodifesa esclusiva, non può attribuirsi il significato di riconoscimento di un diritto assoluto di difendersi in giudizio da sé, ma solo quello di riconoscimento di un diritto limitato dal diritto dello Stato interessato di emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali (Cass. Civ. n. 12570/2011).

La stessa Corte EDU ha ritenuto che il diritto all'autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia e che il monopolio dei difensori specializzati presso le magistrature superiori risulta giustificato dalla natura delle questioni di diritto trattate, in gran parte inaccessibili a persone prive di formazione giuridica (Corte EDU, grande camera,Meftah and others vs. Francia, giudizio del 26 luglio 2002).

Alla luce di ciò il conflitto tra le già richiamate disposizioni normative, è solo apparente in quanto non esiste un diritto assoluto del cittadino all'autodifesa in giudizio, mentre esiste il principio della discrezionalità del legislatore nella scelta dei casi in cui è necessario il patrocinio di un difensore, principio consacrato dalla Corte Costituzionale. Invero, la Corte costituzionale, fin dalla sentenza n. 188 del 1980, ha osservato che "la Commissione stessa ha avuto occasione di affermare che il diritto all'autodifesa non è assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato interessato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali (ric. 722/60)" e che nei giudizi dinanzi ai Tribunali Superiori "nulla si oppone ad una diversa disciplina purché emanata allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia (ric. 727/60 e, 722/60)".

La Corte ha statuito, inoltre, la manifesta infondatezza circa il motivo di ricorso per cui il ricorrente adduceva la violazione dell’art. 106 TFUE in quanto l’obbligatorietà della difesa prevista dalla legge altro non instaurasse che un monopolio in favore degli avvocati e a danno dei singoli individui e alla concorrenza. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente la Corte, richiamando la sentenza n. 46 del marzo 1957, ha stabilito che i compiti svolti dal difensore rappresentano una funzione pubblica e che la professione dell’avvocato non rientra nelle attività di interesse economico generale esulando l’applicazione dell’art. 106 TFUE.

Infine, il sesto motivo è inammissibile in quanto non riconducibile a nessuno dei motivi indicati dall’art. 360 c.p.c. comma 1. Il giudice di secondo grado ha quindi correttamente operato applicando la regola della soccombenza. Secondo il costante orientamento della Corte in materia di spese processuali, al giudice di merito non consentito porre le spese a carico della parte totalmente vittoriosa ( Cass. Civ. 13229/2011;n. 3083 e 5828/2006).

Cassazione civile sez. VI n. 24517 del 30 ottobre 2013.

FATTO

M.G. senza ministero di difensore conveniva in giudizio davanti al giudice di pace di il Prefetto D.P.A., già Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, e il dr. G.F., Preposto al Servizio di rapporto alle Sezioni riunite e alla Sezione di Controllo della Corte dei Conti per la Regione Siciliana, per ottenere: la condanna dello Stato italiano alla spartizione della Sicilia in due zone, la Sicilia orientale, indipendente e neutrale, e la Sicilia occidentale, autonoma a statuto incompleto da sessanta anni per ostruzionismo e complotto politico del governo unitario accentrato a Roma;

la comunicazione alle Nazioni Unite della sentenza di legittima spartizione in due zone della Regione siciliana in Stato Sovrano Orientale e Stato Ordinario Sicilia Occidentale per la nomina di un osservatore delle Nazioni Unite per coadiuvare il Capo provvisorio in prorogatio, M., ad organizzare le elezioni delle Camere e del Consiglio Federale, la creazione di una moneta Siciliana a potere costante di acquisto, ritirando la Sicilia Orientale dall'Euro e facendo affluire tutte le tasse dovute al Nuovo Stato Sovrano in una Tesoreria controllata preventivamente sulle spese necessarie ed urgenti, decise in Via provvisoria dal Capo provvisorio dello Stato M. e, trascorsi sei mesi, decise dal Capo dello Stato eletto dal Popolo della Sicilia Orientale con sistema proporzionale, senza premio di maggioranza, e la formazione del Governo di coalizione per almeno cinque legislature di cinque anni ciascuna per le Camere e di sette anni per il Consiglio Federale e per il Capo dello Stato Sovrano; l'emissione, in attuazione ed in violazione dell'art. 50, comma 4, del Trattato di Pace con l'Italia, secondo il quale "In Sicilia e in Sardegna è vietato all'Italia di costruire alcuna installazione o fortificazione navale, militare o per l'aeronautica militare, fatta eccezione per quelle opere destinate agli alloggiamenti di quelle forze di sicurezza, che fossero necessarie per compiti di ordine interno", dell'ordinanza di sfratto della base aereonavale degli Stati Uniti d'America di (OMISSIS), la cui attività ed il recente potenziamento con velivoli senza pilota rendeva un pericoloso obiettivo militare per la popolazione catanese;

l'emissione, in considerazione del fatto che M. aveva offerto alla Marina degli Stati Uniti la Super Portaerei (OMISSIS) che gli ingegneri americani non avevano saputo costruire, dell'ordinanza di stipulazione con gli Stati Uniti di una convenzione per aprire immediatamente la Base aerea di (OMISSIS) ai voli commerciali internazionali tra la (OMISSIS) e gli (OMISSIS), utilizzando inizialmente il volo di ritorno degli aerei Galaxi per la esportazione dei prodotti (OMISSIS) negli (OMISSIS), indipendentemente dal fatto che gli Stati Uniti iniziassero la costruzione della super Portaerei galleggiante a moduli di navi larghe 200 metri e lunghe 410 metri, da riunirsi in un'unica pista di atterraggio e di involo lunga 4 Km o più, da sistemare nei mari internazionali a protezione della intangibilità del territorio americano da attacchi esterni. Veniva inoltre richiesta la citazione del Presidente e Governatore della Sicilia, L.R., del Presidente del Consiglio dei Ministri, B.S., dell'ex Governatore della Banca d'Italia, C.A., e del presidente degli Stati Uniti d'America, O.B..

Il giudice di pace dichiarava la carenza di legitimatio ad processum dei soggetti convenuti, di ius postulandi e di legitimatio ad causam dell'attore. Tale sentenza veniva impugnata senza ministero di difensore dal M., il quale riproponeva tutte le richieste avanzate in primo grado, chiedendone l'accoglimento. Il Tribunale di Catania dichiarava inammissibile l'appello, osservando che l'impossibilità di M. G. di costituirsi personalmente, ai sensi dell'art. 82 c.p.c., assorbiva gli altri rilievi sempre preliminari all'esame del merito, tra i quali l'assenza delle condizioni dell'azione e, in particolare, della stessa ipotetica accoglibilità della domanda per difetto di possibilità giuridica. L'appellante veniva condannato al pagamento delle spese di lite, liquidate in 1.000 Euro, per diritti ed onorari, oltre agli accessori di legge.

DIRITTO

Avverso tale provvedimento M.G. ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi ai seguenti motivi: nel primo e nel quarto è stata denunciata la violazione dell'art. 6, comma 3, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali in relazione alla concreta applicazione dell'art. 82 c.p.c., per avere il giudice di secondo grado ritenuto che il ricorrente non potesse difendersi personalmente, senza l'assistenza del difensore; nel secondo è stata dedotta la violazione dell'art. 117 Cost., per non essere stato interpretato l'art. 82 c.p.c., in maniera conforme alla Carta EDU, permettendo al ricorrente di svolgere personalmente le sue difese; nel terzo è stata richiesta la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, affinché quest'ultima valuti la costituzionalità dell'art. 82 c.p.c, comma 3, il quale, come interpretato dal Tribunale di Catania, non consente che la parte possa stare in giudizio personalmente; nel quinto è stata denunciata la violazione dell'art. 106 del TFUE, in quanto l'interpretazione dell'art. 82 c.p.c., fornita dal giudice di secondo grado, in base alla quale è necessario il ministero di un difensore, determina la creazione di un monopolio in favore della categoria degli avvocati, restrittivo della concorrenza e contrario al diritto dell'unione Europea.

Ha sostenuto il ricorrente che la norma determinerebbe un'esclusiva ingiustificata e che non vi sarebbe la prestazione di un servizio pubblico, essendo il diritto di difesa una prerogativa e un diritto individuale di ogni cittadino; nel sesto è stata lamentata la condanna alle spese di giudizio, ritenuta dal ricorrente una sanzione per essere state prospettate dinanzi al giudice di secondo grado senza l'ausilio di un difensore le medesime doglianze già esaminate dal giudice di prime cure. Hanno resistito con controricorso D.P.A. e G. F..

Ritenuto che i primi quattro motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto il ricorrente denuncia con essi sostanzialmente un contrasto tra gli artt. 6 e 47 della Carta EDU e l'art. 82 c.p.c. , che comporterebbe la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale per violazione degli artt. 117 e 11 Cost.; che la questione di legittimità costituzionale appare manifestamente infondata. L'art. 82 c.p.c. stabilisce che nei giudizi promossi dinanzi al Giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede Euro 516,46, mentre nelle cause che eccedono tale valore il Giudice di pace, in considerazione della natura ed entità della causa, con decreto emesso anche su istanza verbale della parte, può autorizzarla a stare in giudizio di persona.

Negli altri casi, la medesima norma prevede che le parti non possano stare in giudizio se non con il ministero o con l'assistenza del difensore e che davanti al tribunale o alla corte d'appello, salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti, le parti debbano stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente. Il fondamento di tale regola si ravvisa in un duplice ordine di ragioni. Per un verso la complessità delle norme, che regolano lo svolgimento del processo, e il tecnicismo nella redazione degli atti richiedono una preparazione e delle competenze che solo un tecnico del diritto, il quale è tenuto continuamente ad aggiornarsi sui mutamenti legislativi e giurisprudenziali, è in grado di avere. Per altro verso, la collaborazione di un esperto serve a filtrare il processo dalle emozioni e dalla passionalità, che difficilmente mancano nei diretti protagonisti della lite e che potrebbero privarli della necessaria lucidità e attitudine a valutare con serenità e distacco i fatti della controversia e a scegliere la più opportuna e adeguata strategia processuale. Appare dunque chiaro come il legislatore, nell'esigere la collaborazione del difensore, abbia voluto tutelare le parti stesse, garantendo loro nel miglior modo possibile l'esercizio del diritto di difesa, costituzionalmente inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 Cost.). La Corte Costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Busto Arsizio in relazione a tutte le norme relative ai difensori, contenute nell'art. 82 c.p.c. , e negli artt. da 84 a 87 c.p.c. , le quali condizionano il diritto di difesa all'obbligo della parte di provvedersi di un difensore e la costringono a sopportare le conseguenze del comportamento processuale di quest'ultimo, ha ribadito che la legge ordinaria può subordinare a modalità particolari l'esercizio del diritto di difesa, con il solo limite che la sua esplicazione non ne risulti impossibile o estremamente difficile. Nella specie ha ritenuto che questo limite non fosse stato superato dall'art. 83 c.p.c., atteso che la parte non viene privata del potere di scelta fra i procuratori e gli avvocati iscritti negli albi, che è il più ampio a tal punto che il mandato conferito per il giudizio può anche essere liberamente revocato, e se non abbiente, gode della protezione che le assicura l'art. 24 Cost., comma 3, (Corte Cost. 47 del 1971). In aggiunta a ciò deve essere ricordato che nella precedente sentenza 8 marzo 1957, n. 46, il giudice delle leggi aveva già chiarito che il diritto di difesa dovesse essere inteso come potestà effettiva dell'assistenza tecnica e professionale in qualsiasi processo, dando al compito del difensore una importanza essenziale nel dinamismo della funzione giurisdizionale, tanto da opinare che esso potesse considerarsi esercizio di funzione pubblica. Alla tesi del ricorrente, il quale ritiene di basare, oltre che sull'art. 24 Cost., anche sull'art. 6, n. 3, lett. c) e art. 47 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali il diritto della parte di stare in giudizio personalmente in ogni caso, va inoltre obiettato che la Corte costituzionale ha sempre riconosciuto la discrezionalità del legislatore in tema di disciplina dei casi in cui è necessario il patrocinio di un avvocato (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 460/2006, n. 193/2003 e n. 481/2002, nonché n. 66/2006) e, nella sentenza n. 188 del 1980, ha osservato che alla richiamata norma della Convenzione, la quale prevede la possibilità di autodifesa esclusiva, non possa attribuirsi il significato di riconoscimento di un diritto assoluto di difendersi in giudizio da sé, ma solo quello di riconoscimento di un diritto limitato dal diritto dello Stato interessato di emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali (cfr. anche Cass. 1^ Sez. pen. 29 gennaio 2008, n. 7786; Cass. Civ. n. 12570 del 2011).

Peraltro la stessa Corte EDU, chiamata ad interpretare l'art. 6, comma 3, 1.c), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ha sottolineato che il monopolio dei difensori specializzati presso le corti supreme risulta giustificato dalla natura delle questioni di diritto trattate, in gran parte inaccessibili a persone prive di formazione giuridica (Corte EDU, Grande Camera, Meftah and Others v. Francia, giudizio del 26 luglio 2002); che il quinto motivo è manifestamente infondato, in quanto il ricorrente interpreta erroneamente l'art. 82 c.p.c., facendo risalire il sistema denunziato alla volontà della legge di proteggere interessi corporativi e di creare un monopolio in favore degli avvocati e a danno dei singoli individui, che potrebbero difendersi da soli nei gradi di merito senza avvalersi delle prestazioni degli iscritti agli albi forensi. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i compiti svolti dal difensore rappresentano esercizio di una funzione pubblica (Corte Cost. sent. 8 marzo 1957, n. 46) e la professione dell'avvocato non costituisce esercizio di impresa, esulando pertanto dal campo di applicazione dell'art. 106 TFUE; che il sesto motivo è inammissibile, per mancata riconducibilità della censura in uno dei motivi di ricorso per cassazione tassativamente indicati dall'art. 360 c.p.c., comma 1, dal momento che non è stata denunciata né una violazione di legge un vizio di motivazione.

Deve peraltro osservarsi che il giudice di secondo grado, in applicazione del principio della soccombenza, ha correttamente posto le spese di lite a carico di M.G., parte soccombente tanto nel giudizio di primo quanto in quello di secondo grado. Infatti secondo il costante orientamento di questa Corte in materia di spese processuali, al giudice del merito non è consentito porre le spese a carico della parte totalmente vittoriosa (ex plurimis Cass. 13229 del 2011; n. 3083 e 5828 del 2006). In conclusione, ove si condividano i predetti rilievi, il ricorso deve essere respinto". Il collegio ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, in quanto esso non è stato sottoscritto da difensore iscritto all'apposito albo speciale dei patrocinanti in cassazione, in violazione dell'art. 365 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 luglio 2013.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2013

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